Perché l’acqua è importante? Glossario tra istinto e materia

Perché l’acqua è importante? Glossario tra istinto e materia

Capire l’impatto dell’uomo sull’acqua e come questa influenzi la nostra vita, conoscere le storie di chi si impegna a proteggerla e scoprire le azioni utili a riscriverne le sorti. In dieci parole

Tempo di lettura: 41 min.

“Siamo davvero sicuri di vivere sul pianeta Terra?”. Forse, come lo chiama oggi la Nasa, quello che abitiamo è in realtà un Ocean World, un “mondo oceano” dove l’acqua che copre circa i tre quarti della superficie è un elemento simbiotico per ogni essere vivente.

L’immensità acquorea concentrata negli oceani è uno dei due polmoni del Pianeta che produce metà dell’ossigeno presente nell’atmosfera, ed è la rete di correnti tiepide che regolano il clima. Acqua è la schiuma delle onde che ci avvolge mentre nuotiamo, ripetendo ad ogni bracciata la formula di un antico incantesimo e rinsaldando il legame immemore dell’animale umano con questo vasto mondo, che oggi è in pericolo a causa della crisi climatica e dell’inquinamento. In questo senso, la domanda iniziale scritta dal filosofo Simone Regazzoni nelle prime pagine del suo saggio “Oceano”, suona come un invito: è tempo di capire bene le cose, di chiamarle con il loro nome e di agire per cambiare in positivo.

A questo serve il glossario dell’acqua. Qui è dove traduciamo in chiave semplice ed esaustiva dieci parole fondamentali per interpretare fenomeni come la siccità e la crisi idrica in corso. Qui è dove ascoltiamo le esperienze di chi ogni giorno si batte per l’inclusività sociale attraverso gli sport acquatici o ha ritrovato l’equilibrio psicofisico su una tavola da surf. Infine, il glossario è una mappa attraverso cui proviamo ad orientarci verso possibili soluzioni per la salvaguardia dell’ambiente marino, oceanico, fluviale, lacustre. Si parte il 22 marzo con la parola “cambiamento” al centro della Giornata mondiale dell’acqua 2023, per finire l’8 giugno in occasione della Giornata mondiale degli oceani. Benvenuti sul Pianeta Acqua. 

1. Cambiamento

cambiaménto
s. m. [der. di cambiare]. – Il cambiare, il cambiarsi: cambiamento di casa, di stagione, di temperatura; fare un cambiamento, specie nelle abitudini; cambiamento di stato d’aggregazione della materia. In sociologia, cambiamento sociali e culturali, quelli che determinano trasformazioni nella struttura sociale
e culturale di un gruppo.

Secondo i dati dell’ultimo rapporto pubblicato dalle Nazioni Unite proprio in occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2023, sono circa 2 miliardi le persone in tutto il mondo che non hanno accesso all’acqua potabile sicura e quasi metà della popolazione mondiale (3,6 miliardi) vive senza accesso a servizi igienico-sanitari (Wash) gestiti in sicurezza. Questi numeri, purtroppo, sembrano destinati ad aumentare, esacerbati dai cambiamenti climatici e dalla crescita della popolazione. “L’acqua è la linfa vitale dell’umanità, ma stiamo percorrendo alla cieca un sentiero pericoloso”, si legge nel documento. “Gli obiettivi legati all’acqua sono le tessere di un puzzle estremamente vasto e complesso. Sarà possibile comporre il puzzle solamente attraverso la cooperazione. E ciascuno di noi, nessuno escluso, ha un ruolo da svolgere”.

Proprio l’urgenza di accelerare un cambiamento positivo (accelerate change) e collettivo riguardo la crisi idrica in corso è il tema del World water day (Wwd), celebrato il 22 marzo ogni anno dal 1993. Il traguardo da raggiungere, e che ad oggi è ancora lontano, è quello fissato dall’Obiettivo di sviluppo sostenibile numero 6 dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite, ossia garantire un accesso universale, equo e sostenibile all’acqua dolce e alle strutture igienico-sanitarie e salvaguardare gli ecosistemi legati all’acqua.

Il problema tocca da vicino anche il nostro Paese, tra la siccità del fiume Po e gli Appennini senza neve. “Dobbiamo riflettere sul modo di correggere la rotta, attuare quel cambiamento necessario e realizzare una svolta culturale che ci consenta di riconsiderare il valore e l’importanza dell’acqua per il nostro Pianeta, proprio alla luce della consapevolezza, ormai acclarata, che stiamo perdendo questa preziosa risorsa”, spiega Stefano Laporta, Presidente dell’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e del Sistema nazionale a rete per la protezione dell’ambiente (Snpa). “Per procedere speditamente verso una gestione più sostenibile della risorsa acqua, è indispensabile avere un quadro conoscitivo completo in materia. Il nostro ruolo in Ispra, oltre che di ricercatori, è anche quello di contribuire a diffondere consapevolezza e divulgare messaggi corretti ai cittadini per educare ad un uso piú sostenibile dell’acqua”.

Un primo, grande passo a livello istituzionale è il ripristino della Conferenza Onu sull’acqua 2023 che dal 22 al 24 marzo riunirà la comunità internazionale a New York, nel quartier generale delle Nazioni Unite. Si tratta della seconda conferenza mondiale sull’acqua, un evento straordinario che si terrà a 45 anni dalla prima conferenza, che ebbe luogo nel 1977 a Mar del Plata, in Argentina.

Ma l’impegno dei governi non basta, serve una mobilitazione collettiva. L’acqua impatta sulla vita di tutti, tutti dobbiamo agire: istituzioni, cittadini e imprese.

“La cosa più importante che un’azienda può mettere in campo è la mentalità. Nel 2022 abbiamo iniziato un percorso che ci porterà entro il 2024 a ottenere la certificazione B-Corp e lo status di società benefit. Siamo consapevoli del fatto che nessuno può cambiare il mondo da solo, neanche una azienda come la nostra, che ha l’acqua nel proprio Dna. Allo stesso tempo, sappiamo che chi – come noi – vive dentro e per gli sport acquatici ha, per definizione, un rapporto speciale con l’elemento acqua e una maggiore consapevolezza della sua importanza. Ogni singolo progetto di sostenibilità, se isolato, può non avere un impatto significativo, ma alla fine tutti i fiumi giungono al mare”. Giuseppe Musciacchio, deputy Ceo del brand arena, descrive così l’approccio al cambiamento dell’azienda, distillato nel progetto-manifesto Planet Water: “È un non-luogo, in cui tutti quelli che hanno una connessione emotiva con l’elemento acqua possono ritrovarsi. Planet Water è ovunque, ma soprattutto dentro ciascuno di noi, perché ogni persona può avere una relazione intima diversa con l’acqua. È l’elemento in cui vinciamo, perdiamo, in cui ci alleniamo, in cui ci rilassiamo, oppure giochiamo e ci divertiamo, da piccoli come da grandi”. 

Uno dei principali esiti della Conferenza Onu, consisterà nell’adozione di impegni volontari che verranno raccolti nella Water action agenda, creata allo scopo di mostrare alla comunità globale la natura degli impegni assunti e dare la possibilità di monitorare nel tempo i progressi effettuati e gli impatti esercitati.

Come il colibrì, animale minuscolo e tenace simbolo della Giornata mondiale dell’acqua 2023, ognuno di noi è chiamato a fare la propria parte per “spegnere l’incendio”. Una goccia dopo l’altra, insieme.

Planet Water è il progetto di arena che celebra la connessione tra l’acqua e le nostre storie. In acqua e vicino all’acqua © arena

Scegli le tue azioni dalla lista del World water day. Eccone alcune:

  • Risparmia acqua: fai docce più brevi e non far scorrere il rubinetto quando ti lavi i denti, lavi i piatti e prepari il cibo. Segnala le perdite d’acqua.
  • Mangia cibo locale: acquista prodotti locali, prevalentemente vegetali e di stagione, realizzati con meno acqua possibile.
  • Sii curioso: scopri da dove viene l’acqua che usi e come viene condivisa, e visita un impianto di depurazione per vedere come vengono gestiti i tuoi rifiuti.
  • Proteggi la natura: pianta un albero o crea un giardino pluviale. Utilizza soluzioni naturali per ridurre il rischio di inondazioni e immagazzinare acqua.
  • Fai sentire la tua voce: partecipa alle attività legate all’acqua della tua comunità per aprire un dialogo con le istituzioni.
  • Smetti di inquinare: non gettare rifiuti alimentari, oli, medicinali e prodotti chimici nel water o negli scarichi.
  • Mantieni pulito: contribuisci alla pulizia di fiumi, laghi, zone umide o spiagge della tua zona.

2. Tutela

tutèla
s. f. [dal lat. tutela, der. di tutus, part. pass. di tueri «difendere, proteggere»]. Difesa, salvaguardia, protezione di un diritto o di un bene materiale o morale, e del loro mantenimento e regolare esercizio e godimento, da parte non solo di un individuo ma anche di una collettività.

Per Mariasole Bianco è stato amore al primo tuffo. Bambina selvatica perennemente in acqua durante le vacanze in Sardegna con i genitori, poi quindicenne stregata dalle immersioni subacquee, infine biologa marina, oggi voce di riferimento in Italia e all’estero per la protezione dell’ambiente marino e lo sviluppo sostenibile. 

Con lei parliamo di tutela, la seconda parola di questo glossario dell’acqua. “Per me tutela significa salvaguardia della vita, e non si può parlare di acqua senza parlare di oceano. Visto da sopra sembra solo un infinito velo blu. Ma quando ti immergi, inizi a conoscere le sue creature incantevoli (ancora in gran parte ignote) e la sua vulnerabilità”, spiega. 

Di fronte a un mare sempre più inquinato dalla plastica e dalle sostanze chimiche, sfruttato in modo sconsiderato tra pesca e turismo e con la biodiversità minacciata dalle esplorazioni petrolifere, la scienziata ha deciso di rimboccarsi le maniche e di girare il mondo per far capire alle persone quanto il mare sia straordinario. E per scuoterci dal torpore che ci rende immobili: “Si parla troppo poco dell’apatia che abbiamo verso il mondo naturale che ci circonda. Facilitare questa riconnessione al mare, scoprendo le sue meraviglie e imparando a conoscerle è davvero un passo importantissimo, perché fa scaturire quel sentimento di appartenenza e di amore che poi ci porta ad agire”.

La biologa marina Mariasole Bianco © Mariasole Bianco

Tra le sue conquiste più recenti, come presidentessa della onlus WorldRise, c’è la nascita della prima area di conservazione marina locale in Italia. 1.300 metri di costa  sul Golfo Aranci, a nord-est dell’isola sarda, che verranno finalmente preservati. 

Riconnetterci al mare è importantissimo perché fa scaturire quel sentimento di appartenenza e di amore che poi ci porta ad agire.

Mariasole Bianco, biologa marina

Molte sono le zone marine e costiere protette, dove le attività umane, come per esempio pesca e turismo, vengono ormai regolamentate per assicurare la tutela e garantire sul lungo termine la conservazione della natura e dei suoi ecosistemi. “La nostra polizza assicurativa per il futuro”, come le chiama Bianco. E al largo dalla costa? Regna ancora il Far West. O almeno così è stato fino alla svolta storica del 3 marzo 2023, quando è stato raggiunto un accordo per l’adozione di un trattato per la protezione dell’alto mare. Si tratta della zona oltre le 200 miglia marine (circa 370 chilometri) che non è di nessuno stato, ma è sottoposta al “principio della libertà dei mari”. Questo significa che ogni stato può farci ciò che vuole: pescare, condurre ricerche, attraversarlo. L’alto mare rappresenta i due terzi degli oceani ma solo l’un per cento di questi due terzi è attualmente protetto. 

Intervista alla biologa marina Mariasole Bianco

Ma perché questo trattato è così importante? “Innanzitutto perché ci abbiamo messo vent’anni per raggiungerlo”, commenta Bianco. “E poi perché pone le basi giuridiche per istituire, anche in queste acque che finora sono state trattate come una terra di nessuno, delle aree marine protette (amp), tratti di mare in cui la biodiversità è tutelata in un’ottica di sviluppo sostenibile”. Questo accordo è anche uno strumento chiave per raggiungere l’obiettivo di estendere lo status di area protetta al 30 per cento dei territori entro il 2030, sia che si tratti di terre emerse che di ecosistemi marini.
“Infine, la sua storicità deriva anche dal messaggio di speranza nella cooperazione tra gli stati. Come ha detto David Attenborough nel suo memorabile discorso alla Cop26 di Glasgow, “se divisi siamo stati così potenti da distruggere il pianeta, uniti saremo sicuramente abbastanza potenti da salvarlo”. Uniti, potenti e veloci: verso la prossima parola del glossario, che sarà, appunto, il tempo.

Si potrà tornare a nuotare nella Senna. Una notizia che unisce sport, amore per l’acqua e tutela. A 100 anni di distanza dalla proibizione, il sindaco di Parigi, Anna Hidalgo ha infatti annunciato che intende rendere il fiume balneabile in tempo per le gare di nuoto in acque libere e di triathlon, in vista delle Olimpiadi 2024. L’obiettivo è cancellare i tre quarti dell’inquinamento, sistemando i cattivi collegamenti, e aprire stabilimenti balneari lungo il fiume: “Se raggiungiamo questo obiettivo del 75 per cento, deve essere possibile nuotare nella Senna”.

3. Tempo

tèmpo 
s. m. [lat. tĕmpus -pŏris, voce d’incerta origine, che aveva solo il significato cronologico, mentre quello atmosferico era significato da tempestas -atis]. L’intuizione e la rappresentazione della modalità secondo la quale i singoli eventi si susseguono e sono in rapporto l’uno con l’altro (per cui essi avvengono prima, dopo, o durante altri eventi); tale intuizione fondamentale è peraltro condizionata da fattori ambientali (i cicli biologici, il succedersi del giorno e della notte, il ciclo delle stagioni, ecc.) e psicologici (i vari stati della coscienza e della percezione, la memoria) e diversificata storicamente da cultura a cultura.

“Probabilmente nella mia vita ho passato più tempo in acqua che fuori. La considero il mio habitat naturale. Mi fa sentire vivo!”. Sul suo profilo Instagram, l’uomo-rana Nicolò Martinenghi non perde occasione per condividere la passione profonda che lo lega all’acqua e per raccontare il suo rapporto fuori dal comune con il tempo

Primo italiano nella storia a infrangere il muro dei 59 secondi nei 100 metri rana in vasca lunga, quando è ancora una giovane promessa, Martinenghi detto “Tete” svolta alle Olimpiadi di Tokyo 2020 (tenutesi nel 2021, causa pandemia). Il crono di 58”33 gli vale il bronzo e migliora il suo stesso record. Almeno fino ai Mondiali di Budapest 2022, dove conquista l’oro iridato con un tempo di 58″26. Nei 100 rana, la sua specialità, oggi detiene contemporaneamente i titoli di campione mondiale ed europeo, da difendere ai mondiali di luglio a Fukuoka, in Giappone. 

“Il tempo ai Mondiali è stato pura gioia”, sorride al telefono. “Perché ho gareggiato con la testa oltre che con il fisico. Poi ho fatto lo stesso tempo agli europei, e lì forse mi sarei aspettato di migliorarlo. Ma questo rimane comunque il mio target time, il punto da cui ripartire”. Tenace, lucido, maturo. Il gioco della busta non gli serve più: “Prima di una gara importante, il mio allenatore Marco Pedoja scriveva il tempo che immaginava avrei raggiunto e la apriva a competizione finita. Per me era molto stimolante, mi spronava a superare i miei limiti. Ora quel numero ci basta pensarlo. E poi prima dei Mondiali ci eravamo detti che questa non era una gara in cui cercare il tempo. Era una gara da vincere”. 

Intervista al campione mondiale di nuoto Nicolò Martinenghi

Il nuoto è lo sport più meritocratico del mondo: decide il tempo, io ingaggio duelli contro di lui.

Nicolò Martinenghi

Non di solo cronometro vive l’uomo. Di sicuro, non più Martinenghi. Quando si allena, mentre nuota in vasca, il tic-tac delle lancette ormai è un rumore bianco: che importa quanto tempo ci vuole? Contano solo le bracciate, il respiro, la distanza da percorrere, il dettaglio da perfezionare. Un’ultima domanda, prima che il nostro tempo finisca. Gli antichi greci usavano due parole per definire il tempo: Chronos per indicare la quantità, lo scorrere dei minuti, e Kairos per riferirsi alla sua natura qualitativa, cioè all’abilità di fare la cosa giusta al momento opportuno. A quale definizione ti senti più vicino? “Sicuramente alla seconda. Il tempo non lo quantifico solo con il cronometro. Lo vivo tutti i giorni anche al di fuori dello sport e del mondo del nuoto. Fare la cosa giusta al momento giusto rappresenta la mia filosofia”. E a proposito di tempismo e buon senso, se c’è una cosa che non può più attendere, è l’impegno concreto di politici, governi, istituzioni per fronteggiare i cambiamenti climatici. Sembra un tuffo triplo carpiato passare dai record cronometrici di un campione olimpionico alla questione ambientale, eppure non lo è: ovviamente, c’è di mezzo l’acqua.

Sette anni per salvare gli oceani

L’ultimo avvertimento arriva dal Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Ipcc). Proteggere il 30 per cento degli oceani entro il 2030 e azzerare le emissioni di CO2 entro il 2050 sono solo due degli obiettivi più urgenti per salvare la Terra da una catastrofe irreversibile. Eppure cento anni ci sembrano un’eternità. Ad esempio, ci risulta difficile immaginare come il mare possa cambiare nel prossimo secolo più di quanto abbia fatto negli ultimi cinquanta milioni di anni, sotto i colpi dell’acidificazione degli oceani, dell’inquinamento da plastica e dello sfruttamento eccessivo delle sue risorse. Come insiste nel chiedersi il poeta e attivista ambientale islandese Andri Snaer Magnasson tra le pagine del suo libro Il tempo e l’acqua, “cosa possiamo fare, immediatamente, per proteggere il fondamento della vita e consegnarlo ai nostri cari che saranno qui nel 2050, nel 2060, nel 2080?”

Una risposta arriva dalla comunità scientifica, che ritiene che almeno il 30 per cento degli oceani dovrebbe essere totalmente protetto entro il 2030. Il valore dei santuari marini, ovvero aree completamente libere da ogni attività di sfruttamento umano, è ampiamente riconosciuto come strumento in grado non solo di proteggere habitat e specie chiave, ma di permetterne il recupero e favorirne la resilienza.
Il rapporto 30×30 A blueprint for ocean protection mostra come sia possibile progettare una rete di aree protette d’alto mare su scala planetaria. Lo studio è stato realizzato da un gruppo di ricercatori guidati da un team dell’Università di York nel Regno Unito con l’obiettivo di fornire uno strumento utile alle istituzioni. In questo senso, l’accordo sulla tutela degli oceani raggiunto il 4 marzo scorso segna una svolta storica, che riaccende la speranza.

La siccità e la mancanza di neve in vetta sono due tra i fenomeni più evidenti e tangibili dei cambiamenti climatici in corso. Da qualche anno colpiscono direttamente anche i Paesi europei e inficiano l’approvvigionamento di acqua dolce che utilizziamo per bere, per lavarci, per coltivare frutta, verdura, cereali, per produrre energia. Entro il 2030, la domanda di acqua dolce potrebbe superare addirittura del 40 per cento la sua disponibilità, con situazioni ancora più critiche in alcune zone del pianeta. Lo comunica il report pubblicato dalla Commissione globale sull’economia dell’acqua: “Ci serve un approccio molto più proattivo, ambizioso, orientato al bene comune. Dobbiamo mettere al centro la giustizia e l’equità, perché non è soltanto un problema economico o finanziario”, spiega l’economista italiana Mariana Mazzucato, coautrice del report.

 

4. Corrente

corrènte 
s. f. [part. pres. femm. di correre]. Moto di una massa d’acqua e anche la massa stessa in movimento: corrente marina; correnti calde; nuotare contro corrente ≈ flusso. ‖ fiumana, rapida.

È domenica 5 febbraio. Sulla Penisola Antartica, un giorno come un altro sta per diventare memorabile. Barbara Hernandez è in piedi, in bilico, sul bordo di un gommone. Alza lo sguardo e nella nebbia intravede le sagome imponenti dei ghiacciai di Chile Bay. All’improvviso si tuffa: l’acqua è gelida e la trentasettenne cilena indossa solo un costume, la cuffia, un paio di occhialini. Quando il termometro segna 2 gradi ogni bracciata è un’impresa titanica anche se la stampa internazionale e di casa (il Cile) ti chiama sirena dei ghiacci: “All’inizio non sentivo freddo, l’ipotermia è iniziata verso la fine. Ma ho assaporato ogni singolo istante di questa nuotata. In acqua mi sento a casa e questo era il mio sogno”.

È finita che Hernandez ha percorso due chilometri e mezzo in compagnia di un pinguino. “È stato incredibile!”, le brillano gli occhi. La distanza più lunga mai coperta al mondo in Antartide, senza muta in neoprene né grasso protettivo e ha dedicato il suo secondo Guinness World Record alla salvaguardia dell’ambiente: “Le correnti calde e salate che stanno sciogliendo le calotte polari sono uno degli effetti più gravi dei cambiamenti climatici e questo causa squilibri inimmaginabili sull’intero Pianeta. Mi ha fatto molta impressione vedere la Penisola antartica senza neve. Anche se non ci arrivano molte immagini dall’Antartide, tutta la nostra plastica, i rifiuti e la CO2 distruggono questo continente”. 

Intervista alla nuotatrice estrema Barbara Hernandez

Barbara Hernandez foto placeholder © arena

L’Acc gioca un ruolo insostituibile nella stabilità degli ecosistemi globali e nella regolazione del clima terrestre. Uno studio del 2021 ha dedotto che sta accelerando, e non è una buona notizia. Perché se la corrente circumpolare antartica accelera a causa delle cosiddette “bombe di calore”, l’anidride carbonica assorbita dagli oceani potrebbe risalire dalle profondità fino alla superficie. In questo modo gli oceani, che assorbono quasi un terzo del calore in eccesso presente nell’atmosfera, potrebbero diventare una sorgente di anidride carbonica e si ridurrebbe la capacità di assorbimento di CO2 dell’Oceano meridionale.

Ho imparato ad amare l’acqua non per le medaglie da vincere ma per quello che l’acqua rappresenta.

Barbara Hernandez

Se ne parla ancora troppo poco, soprattutto ai tavoli che contano. Per questo Hernandez nuota la sua lotta pacifica: “Penso che con il nostro impegno, mio, del mio team e di tutti coloro che amano la natura, possiamo creare una nuova corrente di pensiero. L’opinione pubblica è cruciale per la difesa dell’ambiente. C’è così tanto che possiamo fare per dimostrare il nostro coinvolgimento con quello che sta succedendo nel nostro Pianeta. Abbiamo l’obbligo e il dovere di provare a preservare questi paesaggi incantevoli. Ma bisogna unire le forze, senza frontiere”.

L’Antartide fonde più velocemente del previsto

Il mare di Amundsen, la regione dell’Antartide in più rapida evoluzione, grande quattro volte il Regno Unito, negli ultimi 25 anni ha perso più di 3mila miliardi di tonnellate di ghiaccio. Se tutti i ghiacciai che lo compongono dovessero fondere, il livello globale del mare potrebbe aumentare mediamente di oltre un metro sul tutto il pianeta. A questo si ricollega un’altra scoperta importante: le piattaforme di ghiaccio dell’Antartide potrebbero fondere dal 20 al 40 per cento più rapidamente del previsto. La colpevole sarebbe una piccola corrente oceanica solitamente non tenuta in considerazione nei modelli previsionali, proprio a causa delle sue dimensioni ridotte. Davide fa lo sgambetto a Golia perché, a differenza di quelli montani, i ghiacciai antartici fondono dal basso. E se non facciamo tutto il possibile per preservarli, ne resterà solo un ricordo.  

5. Memoria

memoria 
s. f. [dal lat. memoria, der. di memor -ŏris «memore»]. In generale, la capacità, comune a molti organismi, di conservare traccia più o meno completa e duratura degli stimoli esterni sperimentati e delle relative risposte (informazioni relative a eventi, immagini, sensazioni, idee).

La prima volta che Florent Manaudou è entrato in piscina, ha letteralmente toccato il fondo. L’insegnante di nuoto reggeva una pertica immersa in acqua e i piccoli allievi dovevano scalarla, per calarsi più in profondità possibile. “Avevo tre anni e non sapevo nuotare. Quindi non è stato facile. Ma poi le cose sono migliorate”, scherza. 

Oggi il nuotatore francese di anni ne ha 32, per buona parte trascorsi a vincere medaglie nelle competizioni più prestigiose del mondo, Olimpiadi comprese. Un vizio di famiglia, vista la carriera della sorella, l’ex nuotatrice Laure Manaudou. Viene spontaneo supporre che il suo ricordo più bello legato all’acqua parli di un podio, come l’oro di Londra nel 2012. Che banalità. “Quello che vorrei trattenere nella memoria non ha a che fare con un momento simile. Piuttosto, desidero portare con me per sempre la sensazione che provo ogni volta che entro in acqua: il senso di calma, di tranquillità e quel silenzio indescrivibile”. Niente di più vero e di più universale: come sostiene il biologo marino Wallace J. Nichols, noto per i suoi studi sugli spazi blu e la mente umana, l’acqua spegne l’assillo dei rumori terrestri e questo concilia nelle persone una sorta di stato meditativo

Intervista Manaudou

“È impossibile dimenticare la sensazione del contatto dell’acqua con la pelle. Hai idea di cosa vuol dire muoversi sulla terraferma per uno come me, alto due metri e pesante cento chili? In acqua mi sento leggero in tutti i sensi, come un delfino”. Forse un po’ per nostalgia della levità acquatica è tornato a gareggiare in vasca nel 2019, dopo tre anni di stop dedicati alla pallamano. La prossima sfida saranno le qualificazioni per i mondiali di nuoto a luglio. Da affrontare con energia, acume e rispetto: “A volte dimentichiamo quanto l’acqua sia misteriosa e imprevedibile, calma e potentissima allo stesso tempo. Quando nuoto, non si tratta solo di essere forte e spingere l’acqua, ci vuole intelligenza. Con l’acqua bisogna essere gentili”. Una gentilezza che l’acqua ricambia, come vedremo tra poco, aiutandoci a sciogliere gli ormeggi da memorie difficili

Vorrei ricordare per sempre la sensazione che provo quando entro in acqua: il senso di calma, di tranquillità e quel silenzio indescrivibile

Florent Manaudou

L’acqua può aiutare a superare ricordi traumatici

Per chi soffre d’ansia o di stress, anche legato a traumi passati, l’acqua è un valido aiuto. Nonostante il potere ristorativo degli “spazi blu” – mare, zone costiere, ma anche fiumi, laghi, canali, cascate, persino fontane – sia meno pubblicizzato di quello legato agli spazi verdi, la scienza è concorde da almeno un decennio: stare a contatto con l’acqua fa bene al corpo e alla mente.

Forte di questa consapevolezza, il team della no profit romana Sport senza frontiere ha messo in campo l’intervento di emergenza “Sport di prima accoglienza” volto a sostenere i minori e le madri che arrivano in Italia dall’Ucraina tramite i corridoi umanitari, portando con sé ricordi traumatici del conflitto. “Crediamo che l’elemento acqua possa essere loro ‘amico’, – spiegano dall’associazione, – uno strumento di aiuto nella gestione e nella prevenzione di eventuali disturbi post traumatici, uno spazio in cui possa diminuire il livello di allerta costante in cui vivono sia le mamme che i bambini, un elemento che può rinforzare le abilità motorie e la fiducia in se stessi, può favorire il processo di inclusione sociale per queste persone che vivono qui da pochi mesi e che ancora hanno difficoltà nell’inserirsi socialmente anche a causa della barriera linguistica”.

Nell’incavo di una conchiglia, invece, il rumore dell’acqua non ha bisogno di interpreti. Di fronte al mare e all’oceano si provano gioia e vertigine e una strana sensazione di esserci già stati. Forse perché nell’acqua del grembo materno trascorriamo i primi mesi della nostra vita. Oppure perché, milioni di anni fa, è avvenuto il passaggio della vita dall’acqua alla terraferma, grazie alla capacità degli organismi di trasportarne una parte con sé. “Ogni organismo deriva da una cellula e ogni cellula è di origine marina”, sosteneva nell’Ottocento il fisiologo René de Quinton. Per lui siamo tutti “acquari viventi”. Ed è confortante ricordarlo. 

6. Ossigeno

ossìgeno  
s. m. [dal fr. oxygène, comp. di oxy- «ossi-1» e -gène «-geno», propr. «generatore di acidi», termine coniato dal chimico francese A.-L. Lavoisier nel 1783]. Elemento chimico più diffuso e abbondante in natura, contenuto nell’aria allo stato molecolare (O2) in proporzione del 20 per cento circa, e, in forma combinata, nell’acqua, in numerosi minerali della crosta terrestre, in molti composti inorganici e in gran parte di quelli organici; gas inodore e incolore, fattore fondamentale e indispensabile della respirazione e quindi della vita degli esseri viventi.

Buio in sala. Sullo schermo si accende un cono di luce verdeazzurro e una creatura abissale ci incanta con la sua danza, tra due magnifici delfini. Quella figura è Mike Maric, campione mondiale di apnea, medico e coach di tanti atleti medagliati olimpici, alla cui vita è dedicato il docufilm Broken Breath. Insomma, la persona giusta con cui parlare di acqua e ossigeno

“La parola ossigeno in me evoca due concetti: il primo è vita, perché l’ossigeno è il principale comburente della nostra esistenza. Senza ossigeno non potremmo esistere. Il secondo è acqua, intesa come mare, perché il 70 per cento dell’ossigeno che noi respiriamo deriva dagli oceani. In pratica ogni due respiri dovremmo dire grazie all’acqua”. 

Intervista al medico e apneista Mike Maric

La sua sensibilità per questo argomento deriva dal suo passato di apneista agonista, cioè colui che trattenendo il fiato cerca di immergersi nelle profondità del mare per provare a superare i propri limiti. Oggi, diciotto anni dopo l’evento drammatico che ha segnato per sempre la sua esistenza e la sua carriera (in mare ha perso un grande amico), Maric insegna alle persone ad ascoltarsi, a respirare bene per vivere meglio, allenando l’apnea e la respirazione per il benessere psicofisico. La sensazione di piacere che deriva dalla pausa consapevole tra un inspiro e un respiro ricorda molto le tecniche dello yoga che si praticano fuori dall’acqua, “ma questo elemento ci dà un quid in più”, precisa Maric. “Ci predispone al rilassamento, induce un rallentamento del nostro metabolismo e della funzione cardiaca. L’acqua ci è molto più amica di quello che pensiamo”.

Un’amicizia a senso unico, stando ai dati drammatici degli ultimi decenni. Perché se l’acqua degli oceani è il polmone blu del pianeta, noi gli stiamo impedendo di respirare. Dall’Ottocento ai giorni nostri l’oceano ha assorbito miliardi di tonnellate di gas serra prodotti dall’uomo: se non ci fossero stati i mari, la temperatura sulla Terra dagli anni Settanta ad oggi sarebbe aumentata di 36°C, invece degli effettivi 0,55°C. Chi avrebbe potuto sopravvivere in un mondo così? Oggi però il vaso è colmo: il mare è molto più caldo di un tempo e di conseguenza ha sempre meno ossigeno. 

Ogni volta che mi immergo in apnea, vivo una sorta di allunaggio. Perdo completamente la mia dimensione terrestre. Mi sento acqua nell’acqua.

Mike Maric

Già nella prima settimana di aprile abbiamo raggiunto un triste primato. Secondo la National oceanic and atmospheric administration, l’agenzia statunitense che si occupa degli studi dell’oceano e dell’atmosfera, la temperatura della superficie degli oceani ha toccato il record di 21.1 gradi, superando il precedente di 21 gradi nel 2016. E i milioni di pesci morti all’improvviso in un fiume australiano per via di un’ondata di caldo anomala, che ha ridotto i livelli di ossigeno, sono solo le ennesime vittime della devastazione che funesta la fauna marina in tutto il mondo.

Purtroppo però, se il calore è la causa principale della deossigenazione oceanica, non è l’unica. È noto infatti da alcuni decenni che il deflusso in mare di fertilizzanti chimici di sintesi dall’agricoltura inneschi una crescita eccessiva di alghe, grandi consumatrici di ossigeno, a danno delle altre specie. “Gli oceani stanno perdendo il loro respiro. I pesci stanno diventando ormai ombre di plastica e questo mi addolora tantissimo”, conclude Maric. “A breve avremo solo una natura in bianco e nero e lasceremo un’eredità molto povera alle generazioni future. Il mio invito è a non vivere nell’egoismo di oggi e ad abbracciare l’altruismo. Sappiamo cosa è necessario fare. Si tratta di farlo”.
Oceani più caldi e senza pesci, significa uragani più frequenti, anche nel Mediterraneo (medicane è il ciclone tropicale mediterraneo ) e scarsità di cibo. Ridurre adesso, drasticamente, le emissioni di gas serra e prepararci ad affrontare quello che già si è messo in moto sono le uniche scelte possibili per la nostra sopravvivenza.

7. Wave power

wave power  
in italiano “energia del moto ondoso”. L’energia ottenuta dallo sfruttamento dell’energia cinetica contenuta marina, da cui prende il nome. Viene classificata tra le cosiddette energie alternative e rinnovabili, delle quali viene considerata la più costante perché, a differenza del sole e del vento, il mare agisce con continuità.

Ci sono onde che con la loro energia accendono l’interruttore della luce. Altre, invece, alimentano sorrisi. La differenza sta nel modo di interpretare la stessa espressione: wave power. Cosa vuol dire? In senso tecnico – è scritto nel riquadro qui sopra – si tratta di convertire il movimento incessante del mare in elettricità. Ma se ponete la stessa domanda a un surfista, o a un oro olimpico di stile libero in vasca e bronzo in acque libere come Gregorio Paltrinieri, vi si aprirà un altro mondo.

“Quando nuoto in mare mi sento in una dimensione completamente diversa da quella terrestre. Mi sembra di stare nello spazio. Lasciarsi cullare dalle onde è una sensazione indescrivibile”, racconta Greg. Leggerezza ritrovata, dopo “un cortocircuito dell’anima” vissuto nei mesi precedenti la vittoria iridata di Rio de Janeiro nel 2016: “In quegli anni, prima di Rio, vincevo tutto. E tutti hanno cominciato a dare per scontato che avessi l’oro in tasca. Sentivo addosso un peso, il peso dell’acqua. Dopo quell’esperienza il percorso si è un po’ alleggerito: ho maturato una lunga esperienza e il mio approccio alla competizione è migliorato, anche grazie al mare. In acque libere devi essere creativo, pronto a prendere decisioni istantanee e ad affrontare l’imprevedibile”. 

Bozza intervista Gregorio Paltrinieri

Dopo i successi agli Europei e ai Mondiali, il campione punta alle Olimpiadi di Parigi e ha ideato una nuova sfida legata al nuoto in acque libere alla quale affianca attività di sensibilizzazione sulla tutela dei mari e delle spiagge italiani: “Il progetto Dominate the water è nato nel 2021 insieme a un amico. È una gara aperta a tutti: vogliamo trasmettere la passione e il rispetto dell’acqua, attraverso lo sport. Per questo collaboriamo con associazioni dedite alla salvaguardia di questi ecosistemi, È importante conoscere l’impatto delle nostre azioni quotidiane sull’ambiente: ti rende partecipe e responsabile di quello che succede”. 

Quando nuoto in mare mi sento in una dimensione completamente diversa da quella terrestre. Lasciarsi cullare dalle onde è una sensazione indescrivibile

Gregorio Paltrinieri

Mare, onde, surf. Ti piace questo sport? “Probabilmente è il mio preferito!”, confessa Paltrinieri. “Mi dà un senso di libertà: è raro provare la stessa adrenalina di quando prendi un’onda e ti alzi in piedi sulla tavola. Ogni volta rimango a bocca aperta per l’emozione”. Un mix di gioia e stupore alla portata di tutti.

L’esercito del surf lotta per l’inclusione e la salute psico-fisica

Se ti muovi su una sedia a rotelle o soffri di depressione, fare attività fisica è di vitale importanza eppure spesso può rivelarsi un’impresa titanica. Figuriamoci poi affrontare i cavalloni dell’Oceano Atlantico. Per questo è nato Coastal Crusaders, associazione no-profit attiva in Cornovaglia che aiuta i ragazzi disabili e affetti da problemi psichici a familiarizzare con le onde, organizzando lezioni collettive di surf. La scuola fondata da Tom Butler è solo una delle tante realtà impegnate in tutto il mondo in quella che viene chiamata surf therapy.

Benché necessitino ancora di approfondimenti, i benefici di questa pratica finora rilevati sono comuni a molti sport all’aria aperta, soprattutto acquatici. Rispetto agli altri, cavalcare le onde sembra elargire una preziosissima dose extra di divertimento, autostima e senso di appartenenza, come si legge nei numerosi studi elencati sul sito dell’International surf therapy organization. In particolare, un report dell’università di Edimburgo mette in luce due aspetti: approcciare onde di livelli di difficoltà graduali aiuta a ridurre la percezione del fallimento e incentiva il supporto reciproco tra gli allievi. Una cresta via l’altra, come i cioccolatini di Forrest Gump: non sai mai quella che ti capita. Conta allenare insieme la fiducia per rialzarsi, trasportati dal potere delle onde.

8. Confini

confine  
s. m. – [dal lat. confine, neutro dell’agg. confinis «confinante», comp. di con- e del tema di finire «delimitare»]. Limite di una regione geografica o di uno stato; zona di transizione in cui scompaiono le caratteristiche individuanti di una regione e cominciano quelle differenzianti: c. naturale, quello che s’identifica, più o meno, con linee prestabilite dalla natura, quali coste, crinali di montagna, fiumi.

Sorriso raggiante, la lunga chioma bionda e una medaglia accanto al viso, in tutte le foto che la ritraggono Jessica Long è la quintessenza della nuotatrice vincente. Nella sua carriera, iniziata quando aveva solo dieci anni, ha conquistato 29 medaglie paralimpiche (sedici ori), ed è la seconda atleta di sempre per numero di vittorie a cinque cerchi in un singolo sport. Molto più degli altri, Long conosce il sapore della conquista ottenuta superando i confini interiori e quelli instillati dalla società in chi, come lei, è senza gambe dal ginocchio in giù o è nato con altre forme di disabilità. “Prima di tuffarmi in vasca, la gente vede in me una ragazza disabile, pensano alle medaglie, alle etichette. Insomma, hanno già le loro idee su di me. Ma quando entro in acqua rompo ogni barriera e ricordo alle persone che si possono fare cose pazzesche, anche senza gambe”, racconta Long.

Intervista a Jessica Long

Dall’orfanotrofio in Siberia alla piscina sul retro dei genitori adottivi nel Maryland, fino ai podi iridati e allo spot sulla sua vita durante il Super Bowl: il riscatto di “Aquawoman” serve anche a rimarcare la sottile linea di demarcazione tra l’improbabile e il possibile. A patto che si sfoderi il coraggio di superarla, guardando in faccia gli ostacoli: “Per molto tempo la mia identità come nuotatrice coincideva con le mie vittorie. L’identità è una barriera difficile da superare in tutti i campi, non solo nello sport. Ho faticato a capire che amo nuotare ma quello che faccio non definisce chi sono. Desidero essere riconosciuta come una fonte di ispirazione, una buona compagna di squadra, non solo per le medaglie d’oro”.

Solo in acqua mi sento leggera. Nuotare mi dà la libertà di sentirmi potente nel mio corpo.

Jessica Long

Da una storia di acqua come solvente dei nodi più intimi, cambiare registro non è poi così tortuoso. Perché questa risorsa preziosa può diventare un grimaldello utile a raggiungere un altro tipo di pace, specialmente quando scorre sotto il suolo di due o più paesi confinanti.

Le acque di frontiera sono una chiave per la pace 

Il 27 agosto 2019 la fotoreporter armena Anush Babajanyan si è trovata davanti a una scena quasi miracolosa: dal letto prosciugato del lago d’Aral, alla frontiera tra l’Uzbekistan e il Kazakistan, è emersa una sorgente termale. Una festa inattesa per le donne immortalate nello scatto, che ora sta facendo il giro del mondo insieme agli altri, magnifici, del suo progetto “Battered water” (acque malandate) premiato nell’edizione 2023 del concorso fotografico più celebre al mondo: il World press photo

Tagikistan, Kirghizistan, Uzbekistan e Kazakistan: il lavoro di Babajanyan parla di quattro paesi dell’Asia centrale che stanno lottando con la crisi climatica e la mancanza di coordinamento sulle forniture idriche che condividono. La gestione delle acque transfrontaliere è un problema comune: di fatto, il 40 per cento della popolazione mondiale vive in prossimità di bacini fluviali e lacustri condivisi da almeno due paesi. Percentuale che sale se si aggiunge la condivisione delle falde acquifere sotterranee.

Per gli esperti di geopolitica si tratta di una vera e propria bomba a orologeria all’origine di possibili guerre dell’acqua, specie in un momento come questo, in cui l’insicurezza alimentare e idrica globali sono in costante peggioramento. Secondo uno strumento di allerta sviluppato dal partenariato Water peace and security, infatti, milioni di persone potrebbero presto affrontare violenti conflitti per l’approvvigionamento delle risorse, acqua in primis. Anche per questo, le Nazioni Unite Anche per questo, le Nazioni Unite hanno messo a punto un’importante guida pratica. Perché nonostante tutto, le risorse idriche transfrontaliere “offrono opportunità di cooperazione e promozione di pace, sicurezza e sviluppo economico”.

Un esempio virtuoso di gestione delle risorse idriche è il caso del fiume Senegal. Questo maestoso corso d’acqua, lungo 1.800 chilometri, è una risorsa cruciale per la produzione agricola, perché la zona è arida e densamente popolata. E a complicare le cose si aggiunge il fatto che il fiume attraversi tre stati diversi – Mali, Mauritania e Senegal, appunto – e i suoi affluenti ne lambiscano un quarto, la Guinea. Eppure, da anni la sua gestione è pacifica, grazie alla diplomazia. La cooperazione per la gestione del fiume Senegal affonda le sue radici nell’epoca coloniale ed è stata suggellata da 13 diversi trattati internazionali. Da allora, una commissione monitora il corso del fiume, regolamenta le reti elettriche e lo sviluppo industriale. E la proprietà delle dighe è condivisa tra Mauritania, Mali e Senegal.

9. Idroinclusività

idroinclusività 
neologismo. Idro [dal gr. ὕδωρ «acqua», in composti ὑδρο-; lat. scient. hydro-]. – Primo elemento compositivo di numerose parole dotte e termini scientifici, derivati dal greco (come idrofobo, idropico), o formati modernamente (come idrovolante, idroterapia), nei quali significa «acqua». Inclusività s. f. 1. Capacità di includere più soggetti possibili nel godimento di un diritto, nella partecipazione a un’attività o nel compimento di un’azione; più in generale, propensione, tendenza ad essere accoglienti e a non discriminare, contrastando l’intolleranza prodotta da giudizi, pregiudizi, razzismi e stereotipi.

“Ho capito presto che non c’erano molte persone con un aspetto come il mio in questo sport. Avevo cinque anni e un giorno stavo giocando con un bambino bianco dopo la lezione di nuoto: mi ha detto che mi odiava perché ero nera. Me lo ricordo come fosse ieri”. Oggi Simone Manuel di anni ne ha 26 ed è una fuoriclasse dello stile libero, prima donna afroamericana a vincere una medaglia d’oro olimpica individuale (Rio 2016). Fuori dalla vasca, ha raggiunto i suoi traguardi più coraggiosi: ha dato voce e azione a temi tabù, come il razzismo sistemico nel mondo del nuoto.

Oltre l’agonismo, i dati fanno impressione. Circa il 64 per cento dei bambini afroamericani non sa nuotare, contro il 47 per contro dei coetanei bianchi. Secondo l’ente governativo Swim England, nel Regno Unito il 95 per cento degli inglesi adulti di colore e l’80 per cento dei piccoli non nuotano. E solo il 2 per cento dei nuotatori abituali è nero. Una disparità che si traduce in un rischio gravissimo, perché stare a galla non è come andare in bicicletta o giocare a tennis. È una competenza indispensabile a prevenire il pericolo dell’annegamento e appartenere a una minoranza etnica è uno dei fattori di rischio, anche a detta dell’Organizzazione mondiale della sanità

Nel toccante documentario su You Tube “Head above water” – merita un quarto d’ora del nostro tempo – la velocista a stelle e strisce alza il volume su un altro tema ancora troppo taciuto: quello della salute mentale degli atleti. Prima delle Olimpiadi di Tokyo 2021, a Manuel è stata diagnosticata la sindrome da sovrallenamento, una condizione in cui l’allenamento supera la capacità di recupero del corpo. Poi ha sofferto di depressione, ansia, insonnia. Quando ne ha parlato in conferenza stampa non è andata come sperava: “La gente diceva che ero distratta da tutti i miei obblighi di sponsor. Per questo non avevo ottenuto buoni risultati. Che ero diventata pigra e che il successo mi ha dato alla testa. È davvero difficile essere vulnerabili in questo spazio”.

Quando mi veniva voglia di smettere, ho pensato a Cullen Jones, Tanica Jamison, Sabir Muhammad, Maritza Correia. Le loro storie mi hanno insegnato che i sogni non dovrebbero mai essere limitati dai pregiudizi degli altri.

Simone Manuel

Ora che il buio è passato Manuel si dice pronta a portare il suo “black girl magic” alle Olimpiadi di Parigi 2024. Dove ci aspetta un’altra buona notizia, che ha a che fare con l’acqua e con l’inclusività.

Nuotare è anche una questione di genere

Il 22 dicembre 2022 la World acquatics (ex Federazione internazionale di nuoto) e il Comité international olympique hanno compiuto un importante passo avanti verso l’inclusività. Per la prima volta nei Giochi olimpici, a Parigi 2024 è stato dato il via libera alla partecipazione maschile alle gare di nuoto artistico.

I commenti non si sono fatti attendere. Dagli atleti, in particolare, questo annuncio è stato accolto come una pietra miliare nella storia del nuoto e dello sport in generale. Perché? Lo ha detto bene lo statunitense Billy May, primo campione mondiale maschile e star veneratissima di questa disciplina: “L’inclusione degli uomini nel nuoto artistico olimpico era considerata un sogno impossibile”. Infatti, sebbene faccia parte nel programma olimpico dal 1984, fino a Tokyo 2021 è stato uno sport per sole donne

Gli spagnoli Pau Ribes e Berta Ferreras al 33esimo LEN European Aquatics Championships nel 2016 al London Aquatics Centre © Tom Jenkins/Getty Images

Troppo pesanti e troppo poco flessibili per galleggiare e danzare a tempo di musica con grazia sirenica, dicevano degli uomini. Eppure, alcuni nuotatori artistici maschi hanno iniziato a rompere gli stereotipi che li circondano, contribuendo a diffondere un’espressione di bellezza più liquida e più libera. Come ha dichiarato alla Cnn Giorgio Minisini, punta di diamante della squadra italiana: “Essere un uomo non significa dover essere un certo tipo di uomo. Essere una donna non vuol dire dover incarnare un determinato modello di donna. Ciascuno può essere ciò che vuole”. È anche grazie ad atleti come lui se le cose cambieranno a Parigi 2024. Dove si prevede che dieci squadre e 96 “uomini a mollo” (come nel film francese), si contenderanno la medaglia d’oro all’Olympic aquatics centre.

10. Immersioni

immersióni 
singolare immersióne. s. f. [dal latino tardo immersio -onis]. – L’immergere o l’immergersi, l’essere immerso: l’immersione del corpo nella vasca da bagno; immersione del palombaro; immersione di un sommergibile; negli sport subacquei, gare d’immersione, gare di resistenza sott’acqua, sia di durata sia di profondità.

Ellie Smart pensava di aver chiuso con i tuffi. Classe ’95, una vita passata ad allenarsi tra il Kansas (sua terra d’origine) e la California, il chiodo fisso delle Olimpiadi a scandire l’ennesimo salto. Poi la delusione: “Non mi sono qualificata ai Giochi di Rio 2016, così ho mollato tutto”, racconta. Ma qui comincia il bello.

Intervista a Ellie Smart

Poco più che ventenne, partecipa quasi per gioco a una gara di tuffi dalle grandi altezze. Venti metri a picco sul mare, acrobazie nel vuoto con immersione finale nel blu: solo a guardarli su YouTube, i “cliff diver” fanno venire i brividi. “È stato come sbloccare un nuovo livello di me stessa. Avrei potuto continuare a fare la tuffatrice, oppure diventare un medico, un avvocato, o qualsiasi altra cosa: quel tuffo ha liberato un potenziale incredibile in me che, onestamente, non sapevo di avere”. Tesoro sommerso, pirata dell’anima. 

La parola ‘immersioni’ mi fa pensare all’espressione ‘tentare l’impossibile’. Chiunque può saltare dal trampolino: affrontare le proprie paure è la cosa più appagante del mondo.

Ellie Smart

Da Polignano a Beirut, dalle Filippine alla Grecia, oggi Smart gira il mondo come tuffatrice professionista, attività a cui unisce la pulizia delle spiagge con il suo progetto Clean Cliffs: “L’inquinamento da plastica purtroppo è un problema comune a questi luoghi meravigliosi. Volevo lasciare un impatto positivo, così ho cominciato a organizzare qualche pulizia nelle spiagge”, spiega Smart. Il 2023 sarà l’anno del grande salto, con un tour globale e una serie di eventi aperti a tutti. Cosa farai l’8 giugno, per la Giornata mondiale degli Oceani? “Spero di organizzare una mega pulizia delle spiagge, ovviamente”.

Gli Oceani, prima di tutto

Nel Pianeta Oceano le maree stanno cambiando, ed è una buona notizia. Il tema scelto dalle Nazioni Unite per la Giornata mondiale degli Oceani 2023 dell’8 giugno descrive un fenomeno inarrestabile e, si spera, irreversibile: sta salendo la marea di persone che si batte per mettere finalmente al primo posto la salvaguardia del mare

Lo testimonia il trattato sull’alto mare, che getta le basi per mettere la parola fine alle attività disastrose per l’ecosistema marino, perpetrate in questo “oceano senza legge” e ben documentate, ad esempio, dai giornalisti investigativi di The outlaw ocean project. Lo confermano iniziative dal basso, come quelle di Ellie Smart e della biologa Mariasole Bianco, che abbiamo incontrato all’inizio di questa immersione nelle parole che raccontano l’acqua. L’obiettivo è proteggere il 30 per cento degli oceani entro il 2030. Manca poco: lo sanno bene gli scienziati dell’International panel for ocean sustainability, che da ogni parte del mondo si sono riuniti ad aprile a Bruxelles per ribadire “la necessità di un forte legame tra scienza e politica per fornire dati scientifici per la gestione sostenibile degli oceani”. 

Un pesce pagliaccio ocellato nuota tra gli anemoni di mare © Getty Images

L’8 giugno 2023 è una data importante: la conferenza ufficiale delle Nazioni Unite che si tiene a New York, e che è possibile seguire in diretta, sarà una semina per germogli nel futuro prossimo. 

Immersioni è la parola che conclude questo glossario. Ma immersi dove? Qui, proprio nel punto in cui siamo in questo momento. Nubi, fiumi, pioggia, laghi, vapore acqueo e cristalli di ghiaccio: dalla terra al cielo, viviamo in un “guscio” d’acqua, l’idrosfera. Metà dell’ossigeno che respiriamo e il 70 per cento di ciò che siamo lo dobbiamo all’acqua. Il nostro destino è intrecciato a quello del mare. Certo, c’è aria di tempesta. Ma non è ancora detta l’ultima parola.

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