Cop15 biodiversità, cosa prevede il “patto di pace con la natura”

L’accordo sulla biodiversità raggiunto al termine della Cop15 di Montréal, in Canada, presenta avanzamenti ma anche elementi di delusione.

  • Al termine della Cop15 sulla biodiversità di Montréal è stato raggiunto un accordo che presenta luci e ombre.
  • Confermato l’impegno a rendere area protetta il 30 per cento del Pianeta, ma tutelando le popolazioni indigene.
  • Compromesso al ribasso sui finanziamenti per le nazioni più povere.
  • Saltano gli impegni al 2030 e niente obblighi per le aziende private.

La quindicesima conferenza mondiale sulla biodiversità delle Nazioni Unite, la Cop15, è terminata alle 3:30 della notte tra domenica 18 e lunedì 19 dicembre. Le 194 nazioni riunite a Montréal, in Canada, hanno raggiunto un accordo che rappresenterà la base per le politiche di conservazione e tutela delle specie viventi e degli ecosistemi. Un “patto di pace con la natura”, come è stato definito, arrivato dopo quattro anni di negoziati.

“Siamo giunti a un momento storico, al termine di un lungo viaggio pieno di ostacoli. Ma siamo arrivati a destinazione: abbiamo un patto mondiale sulla biodiversità”, ha commentato Huang Runqiu, presidente della Cop15 e ministro dell’Ambiente della Cina (nazione che, originariamente, avrebbe dovuto ospitare l’evento, ma che ha dovuto rinunciare a causa della pandemia). La realtà è che l’intesa, come spesso accade in questi casi, è frutto di un compromesso, e presenta luci e ombre.

Gli avanzamenti dell’accordo sulla biodiversità

30% di aree protette e tutela delle popolazioni autoctone

Il testo finale licenziato dalla Cop15 Sulla biodiversità chiede ai governi di tutto il mondo di raggiungere l’obiettivo di estendere ad almeno il 30 per cento dei territori, entro il 2030, lo status di area protetta. Sia che si tratti di terre emerse che di ecosistemi marini. Inoltre, l’accordo cita la necessità di proteggere i diritti delle popolazioni autoctone: un punto che aveva suscitato polemiche e aveva indotto anche alcune organizzazioni non governative a sottolineare i rischi legati alla scelta.

Gli organismi marini sono quelli più minacciati dalle attività umane © iStockphoto

È stato inoltre sancito il principio secondo il quale dovrà essere bonificato il 30 per cento delle terre che risultano ad oggi degradate a causa delle attività antropiche. Si tratta di un passo in avanti rispetto a ciò che era stato immaginato inizialmente, poiché si è passati dal 20 al 30%. Tuttavia, non è stata accolta la richiesta di indicare un obiettivo ancor più preciso, espresso in ettari. Il che avrebbe risolto anche un importante interrogativo, ancora privo di risposta: cosa si debba considerare nella nozione di “terre degradate”.

Aiuti dal Nord al Sud del mondo e dimezzamento dei rischi legati ai pesticidi

Esattamente come accaduto nel contesto della lotta ai cambiamenti climatici, anche nell’ambito della Cop15 si era chiesto e alle nazioni più ricche della Terra di sostenere quelle più povere e più vulnerabili negli sforzi per la difesa della diversità biologica. Anche in questo caso è stato raggiunto un compromesso: l’aiuto sarà pari a 20 miliardi di dollari all’anno, a partire dal 2025, e crescerà a 30 miliardi a partire dal 2030. Tuttavia si tratta di una cifra il nettamente inferiore rispetto a quanto richiesto (100 miliardi di dollari all’anno).

L’accordo cita inoltre la necessità di ridurre del 50 per cento i rischi legati ai pesticidi. In questo caso si tratta di una vittoria da parte di chi sosteneva un impegno ambizioso da parte dei governi. Gli scienziati, infatti, avevano più riprese chiesto non tanto di ridurre i quantitativi utilizzati bensì, appunto, i rischi. Poiché ad esempio per quanto riguarda i neonicotinoidi anche piccole dosi risultano fortemente tossiche. Infine, il testo cita anche l’agroecologia come obiettivo di trasformazione delle colture.

Cosa manca nell’accordo sulla biodiversità

La mancanza di un meccanismo di controllo

Uno dei principali elementi di delusione dell’accordo sulla biodiversità raggiunto a Montreal è legato alla mancanza di un sistema di monitoraggio degli avanzamenti effettuati. Già nel 2010, infatti, la comunità internazionale aveva fissato una serie di target in materia di tutela della diversità biologica. Ma proprio in mancanza di un meccanismo di controllo, dieci anni più tardi ci si è resi conto che nessuno degli obiettivi fissati non era stato centrato. Anche dalla Cop15, si è usciti senza un sistema ad hoc, il che rischia di rendere l’accordo – potenzialmente – lettera morta.

Allo stesso modo, al punto 15, che riguarda gli impegni che dovranno assumere le imprese private, non è stata introdotta la regola che avrebbe obbligato e le stesse aziende a rendere pubblici i loro avanzamenti in materia. Ci si è limitati ad indicare un “incoraggiamento” a farlo.

Svuotati gli impegni al 2030. Ignorato il sovraconsumo di carne

In molti hanno sottolineato inoltre un processo di svuotamento degli avanzamenti previsti entro il 2030. In particolare, l’obiettivo “A” dell’accordo, che indica le direttrici principali per la difesa degli ecosistemi, delle specie minacciate e della diversità genetica, è ormai privo di ogni riferimento a tale data. Le uniche mansioni rimanenti sono al 2050: è un limite temporale troppo esteso per consentire di evitare l’estinzione di numerose specie.

La nozione di impronta ecologica, infine, è scomparsa dell’obiettivo B ed è sopravvissuta soltanto nella parte dell’accordo che riguarda i consumi e gli sprechi alimentari. Nessuna menzione, allo stesso modo, è stata fatta al sovra consumo di carne e alla necessità di diffondere diete compatibili con un modello di sviluppo sostenibile.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati