
Quasi una famiglia su dieci in Italia è in povertà alimentare. Il problema si riflette sul sano sviluppo dei bambini: quanto contano le mense scolastiche.
Un rapporto di ActionAid denuncia la situazione di centinaia di famiglie scivolate nella povertà alimentare nell’hinterland milanese.
Per sapere cos’è e cosa comporta la povertà alimentare non è necessario viaggiare in nazioni povere e remote della Terra. Basta visitare l’hinterland di Milano, nel quale numerose famiglie migranti e donne sole con figli sono costrette a fronteggiare da tempo il problema. È ciò che ha fatto l’organizzazione non governativa ActionAid, il cui resoconto è contenuto nel rapporto “La fame non raccontata”, pubblicato il 18 ottobre.
“Ho saltato molti pasti perché preferivo che mangiassero loro, se avevo due uova le davo a loro e io non ne mangiavo”, racconta una donna straniera. Una delle 53 voci raccolte nel documento, redatto in collaborazione con CSV Milano e che si è concentrato su quattro comuni della città metropolitana di Milano – Corsico, Cinisello Balsamo, Baranzate, Rozzano – nei quali operano altrettante strutture di volontariato (La Speranza, La Rotonda, Fondazione Progetto Arca/Bottega Solidale, Il Torpedone).
Per ottenere un quadro il più possibile esaustivo della situazione, ActionAid ha intervistato persone che si rivolgono agli enti di assistenza: ne sono emersi, da un lato, l’impatto e le caratteristiche della povertà alimentare sul territorio, dall’altro gli effetti prodotti dalla pandemia. “Un’emergenza – spiega la Ong – già esistente e che si è allargata nel corso del 2020”.
Erano infatti 2.024 le persone aiutate (671 famiglie) nel 2019 e sono diventate 3.957 nel 2020 (1151 famiglie), segnando una crescita del 95 per cento. “E se oggi Milano è protagonista di una rapida ripresa economica – prosegue il rapporto – la sua provincia resta segnata da una crisi acuta che ha il maggiore allarme proprio nella difficoltà all’accesso a un cibo sano e adeguato per i più fragili. Il 63 per cento degli intervistati, infatti, si è rivolto ai centri di assistenza prima della pandemia e il 37 per cento durante la pandemia”.
Si tratta di persone già economicamente fragili, che con la pandemia sono scivolate nella povertà alimentare, “che non significa semplicemente mancanza di cibo, ma di alimenti di qualità e salutari, di possibilità di scelta. Una questione di dignità per sé e la propria famiglia, che si crepa quando si arriva alla consapevolezza che non ci si può più concedere altro che gli aiuti alimentari”.
A patire le peggiori conseguenze sono le donne, che rappresentano l’81 per cento delle persone intervistate: “Le donne – sottolinea ActionAid – hanno l’impegno diretto nella gestione della spesa e della sua ripartizione tra la famiglia, si fanno carico dello stress legato alla mancanza di cibo e sono le prime che rinunciano alla propria parte per darla ai figli”. Ciò accade soprattutto tra i migranti: “Le famiglie straniere sono il 60% del campione e sono particolarmente esposte a questo fenomeno, anche se si sono stabilite in Italia da molti anni e sono inserite nella comunità dove vivono”.
“La povertà alimentare è un fenomeno che va ben oltre il solo bisogno materiale – ha commentato Roberto Sensi, policy advisor dell’organizzazione non governativa – e riguarda aspetti sensibili della vita di ognuno. Chi non ha accesso a un cibo adeguato vede compromesso il proprio benessere psicofisico: mancanza di dieta salutare, stress, paura, esclusione sociale. Servono politiche di contrasto più efficaci come, ad esempio, rafforzare gli interventi di sostegno al reddito in modo che garantiscano alle famiglie in difficoltà l’accesso a un cibo adeguato sotto il profilo socio-culturale e nutrizionale. Il cibo è un diritto umano fondamentale e le istituzioni a tutti i livelli hanno il dovere di garantirlo evitando che il numero di famiglie che vivono la povertà alimentare continui a crescere nei prossimi anni”.
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