
L’Italia bandisce dai documenti della Pubblica amministrazione la parola “razza”, ormai scientificamente inadatta: al suo posto si userà “nazionalità”.
Dopo la sconfitta elettorale, il segretario del Pd Matteo Renzi ha annunciato le dimissioni. E chiuso ad accordi con altri partiti: “Saremo all’opposizione”.
“È evidente che in queste condizioni io debba lasciare la guida del Partito democratico e lasciare spazio ad una nuova assemblea”. Cala il sipario sulla segreteria di Matteo Renzi, che ha guidato il principale partito del centrosinistra italiano dal 15 dicembre del 2013.
Il leader fiorentino lascia dopo una cocente sconfitta elettorale. Il suo partito, alle elezioni per il rinnovo di Camera e Senato, ha infatti il 18,7 per cento dei consensi (quando mancano poche decine di sezioni ancora da scrutinare). Un risultato ampiamente al di sotto delle aspettative e che, soprattutto, stride con la vittoria straordinaria ottenuta alle elezioni europee del 2014, quando dalle urne il Pd uscì con un 40,8 per cento.
La debacle elettorale è arrivata nel contesto di una situazione decisamente complessa a livello politico. Nessun partito, né coalizione di partiti, infatti, ha i seggi necessari per governare. Sia alla Camera che al Senato, dunque, si potrà ottenere una maggioranza solo attraverso un governo di larghe intese (le cui componenti sono oggi difficili da individuare). Lo stesso Renzi ha sintetizzato con queste parole il momento: “Oggi l’Italia ha una situazione politica in cui chi ha vinto non ha i numeri per governare”.
Il leader dimissionario ha in ogni caso dettato la linea per i prossimi mesi: “Ci separano da Di Maio e Salvini l’odio verbale e l’antieuropeismo. Quindi facciano il governo senza di noi. Il nostro posto in questa legislatura è all’opposizione, come ci hanno chiesto i cittadini italiani. Il Pd non diventerà la stampella di un governo antisistema. Saremo responsabili e la nostra responsabilità risiede nello stare all’opposizione”.
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