Migranti, l’Italia ferma le ong e rinnova il Memorandum con la Libia

L’Italia riprende a bloccare in mare le navi cariche di migranti delle ong e rinnova il Memorandum con la Libia che viola i diritti umani.

L’Italia continuerà a finanziare e formare almeno fino al 2026 la Guardia costiera libica allo scopo di fermare i flussi di migranti nel Mediterraneo. Il 2 novembre infatti si è rinnovato automaticamente per altri 3 anni, non essendo arrivate richieste di revoca, il Memorandum con la Libia, siglato nel 2017 dai governi guidati allora da Paolo Gentiloni e Al Serraj. Il Memorandum prevede il sostegno alla Guardia costiera libica, attraverso fondi, mezzi e addestramento. Dal 2017 la cosiddetta Guardia costiera libica ha ricevuto oltre 100 milioni in formazione e equipaggiamenti (57,2 milioni dal Fondo fiduciario per l’Africa e 45 milioni solo attraverso la missione militare italiana dedicata).

Il 3 luglio 2019 un centro per migranti in Libia è stato attaccato per via aerea dalle forze ribelli del generale Haftar, causando 44 morti  © John Moore/Getty Images

Peccato che la Guardia costiera libica, per stessa ammissione delle Nazioni Unite, sia ormai da tempo una vera e propria milizia autonoma, composta da trafficanti di esseri umani, che sfugge al controllo del governo di Tripoli e non garantisce i seppur minimi standard di rispetto dei diritti umani dei migranti. Nonostante questo, anche per il 2021 il Parlamento italiano ha confermato gli stanziamenti previsti dal Memorandum con la Libia e con il nuovo governo, e ha ripreso a bloccare in mare le navi delle organizzazioni non governative con a bordo centinaia di migranti.

Il contesto del 2017 e quello di oggi 

Con la stipula dell’accordo nel 2017 il governo italiano, pressato da un forte incremento degli sbarchi, intendeva affidare la gestione dei campi di accoglienza in Libia, paese in cui confluiscono i migranti provenienti da tutta l’Africa per tentare il viaggio verso l’Italia, all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Ma anche potenziare il pattugliamento delle coste direttamente in acque libiche, come deterrente alle partenze.

Nel frattempo però le condizioni politiche in Libia sono decisamente cambiate, e in peggio: nel 2017 il presidente Fayez Al Serraj era a capo di un governo di unità nazionale formatosi da poco più di un anno e che sembrava in grado di controllare buona parte dell’enorme territorio della Libia, nonostante la presenza di numerose tribù e governi locali.

Da anni, invece, il paese è in preda a una guerra civile con le milizie del generale Haftar, che controllano buona parte del territorio fuori da Tripoli, che rende molto limitato il potere del governo ufficiale, in grado di controllare praticamente solamente la capitale Tripoli. Tanto che le stesse autorità locali hanno finito per dichiarare la Libia un “porto non sicuro”. Nel 2020 l’Italia aveva richiesto alcuni cambiamenti all’interno del memorandum, come rafforzare la presenza di osservatori delle Nazioni Unite all’interno dei centri di detenzione, una condizione che non si è mai verificata.

Cosa prevede il Memorandum

Ufficialmente, il memorandum prevede che la parte italiana si impegni a fornire supporto tecnico e tecnologico agli organismi libici incaricati della lotta contro l’immigrazione irregolare: Guardia di frontiera e Guardia costiera del ministero della Difesa e dagli organi e dipartimenti competenti presso il ministero dell’Interno. Le parti si impegnano all’adeguamento e al finanziamento dei centri di accoglienza già attivi, attingendo ai finanziamenti disponibili da parte italiana e a finanziamenti dell’Unione Europea.

La parte italiana contribuisce, poi, attraverso la fornitura di medicinali e attrezzature mediche per i centri sanitari di accoglienza, a soddisfare le esigenze di assistenza sanitaria dei migranti irregolari, per il trattamento delle malattie trasmissibili e croniche gravi. Inoltre, l’Italia si impegna a sostenere la formazione del personale libico all’interno dei centri di accoglienza summenzionati per far fronte alle condizioni dei migranti illegali, sostenendo i centri di ricerca libici che operano in questo settore affinché contribuiscano all’individuazione dei metodi più adeguati per affrontare il fenomeno dell’immigrazione irregolare e la tratta degli esseri umani.

Peccato che le stesse Nazioni Unite, attraverso una missione conoscitiva istituita nel 2020 dal Consiglio dei diritti umani, abbiano rilevato che anche attraverso i finanziamenti ricevuti dall’Italia in Libia si perpetrano crimini contro l’umanità, attraverso le testimonianze di decine “di migranti soggetti a violazioni dei diritti umani sistematiche”: si tratta di omicidi, rapimenti con richiesta di riscatto ai famigliari (soprattutto nel caso di migranti eritrei, più facoltosi, che scappano essenzialmente per fuggire al servizio militare permanente) o per riduzione in schiavitù (per tutti gli altri, costretti ai lavori forzati finché non è stata raggiunta la cifra per pagarsi da soli il riscatto), e ancora stupri, reclusione in condizioni degradanti nelle carceri libiche per il solo fatto di essere clandestini, privazione di ogni bene.

Quelle navi alla deriva piene di uomini

Per questo motivo nelle scorse settimane ben 40 organizzazioni della società civile, tra cui Arci, Amnesty International, A Buon diritto, Baobab Experience, Emergency, Fondazione Migrantes, Cgil-Cisl-Uil, Save the Children, Medici senza Frontiere, Oxfam hanno chiesto a gran voce, inutilmente, che l’Italia rescindesse gli accordi, che si rinnovano tacitamente il 2 febbraio 2023 in assenza di un preavviso di tre mesi. Tra loro anche alcune delle cosiddette Ong del mare  come Mediterranea Sea Watch, Alarm Phone, Open Arms. A dimostrazione che tra l’altro gli accordi Italia-Libia non evitano le partenze, ma semplicemente aumentano le già enormi sofferenze di chi fugge, è il fatto che proprio in questi giorni ben tre navi (Geo Barents di Msf, Humanity 1 di Humanity Sos, e Ocean Viking) sono bloccate nel Mediterraneo con un totale di quasi 900 migranti a bordo), senza riuscire a trovare un porto in cui sbarcare dopo essere state respinte dall’Italia e da Malta. Eppure, come ci spiega Filippo Miraglia, vicepresidente e responsabile immigrazione di Arci, “i tribunali tutte le volte hanno dato ragione alle ong, perché semplicemente rispettano un obbligo internazionale”. Mentre a Lampedusa, in Sicilia, e sulle coste calabresi, complice il bel tempo, nei giorni scorsi gli sbarchi autonomi di piccole imbarcazioni si sono susseguiti con l’arrivo sull’isola, con centinaia di persone a bordo.

Tutto questo nonostante dal 2017 ad oggi, secondo i numeri forniti dal network di associazioni che ha provato ad opporsi al rinnovo automatico, quasi 100mila persone siano state intercettate in mare dalla cosiddetta Guardia costiera libica e riportate forzatamente in Libia, un paese che non può essere considerato sicuro. “La vita dei migranti e rifugiati in Libia è costantemente a rischio, tra detenzioni arbitrarie, abusi, violenze e sfruttamento. Significa non avere alcun diritto e nessuna tutela.

L’Italia e l’Unione Europea continuano a impiegare in Libia sempre più risorse pubbliche e a considerarlo un paese con cui poter stringere accordi, all’interno di un complesso sistema basato sulle politiche di esternalizzazione delle frontiere, che delega ai paesi di origine e transito la gestione dei flussi migratori, con il sostegno economico e la collaborazione dell’Unione Europea e degli Stati membri – spiegano le 40 associazioni in una dichiarazione congiunta -. Il Memorandum Italia-Libia crea le condizioni per la violazione dei diritti di migranti e rifugiati agevolando indirettamente pratiche di sfruttamento e di tortura perpetrate in maniera sistematica e tali da costituire crimini contro l’umanità”.

Il “patto per l’Africa” del nuovo governo

Nel suo discorso programmatico alle Camere, la premier Giorgia Meloni ha parlato di un patto per l’Africa per fermare le migrazioni con accordi bilaterali con i paesi di origine, con il rischio però di incorrere in nuovi casi-Libia: per il vicepresidente di Arci Miraglia “del resto sono anni che l’Italia insegue accordi con gli Stati africani, spesso in cambio di armi. Il nostro esercito interviene già in diversi paesi, per esempio al fianco del governo eritreo impedendo ai cittadini di quel paese di fuggire da una dittatura. Si tratta di un argomento di propaganda”.

Aboubakar Soumahoro, il sindacalista dei braccianti agricoli, simbolo della rappresentanza dei migranti in Italia, appena eletto in Parlamento ha ricordato che “l’Italia ha ratificato la Convenzione di Ginevra e la Dichiarazione universale dei diritti umani, ma questi meccanismi vanno rispettati. Quindi pensare di trattenere le persone sul mare, per ingannare la popolazione che è afflitta dalle bollette e non riesce a pagare la casa, è un déjà vu che abbiamo già visto. Non aumenterà di nulla il nostro prodotto interno lordo. Andiamo in mare e salviamo le vite umane”. E sugli accordi con la Libia: “Dobbiamo stracciare quel memorandum perché in realtà è un memorandum disumano. Dobbiamo avviare nuove forme di collaborazione che non sono i blocchi navali. In Libia i neri vengono messi in carcere perché neri, la schiavitù esiste ancora e quindi il nostro Paese deve ritornare a riabbracciare la luce dell’umanità”.

Tutto questo senza contare lo strettissimo legame esistente tra migrazioni e cambiamenti climatici, di cui l’Occidente sviluppato è il principale responsabile. Non a caso, secondo Oxfam, la crisi climatica negli ultimi sei anni ha raddoppiato il numero di persone che soffrono la fame nei dieci paesi che hanno registrato più eventi climatici estremi: 48 milioni di persone tra Afghanistan, Burkina Faso, Gibuti, Guatemala, Haiti, Kenya, Madagascar, Niger, Somalia e Zimbabwe, alcuni dei paesi col tasso di migrazione più alto.

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