Migranti, l’Italia continuerà a finanziare la Guardia costiera libica

Il Parlamento italiano ha votato il rifinanziamento della Guardia costiera libica, nonostante i sospetti di vessazioni sui migranti. Protestano le ong.

Il Parlamento italiano ha deciso di continuare a finanziare anche per il prossimo anno la Guardia costiera libica, incaricata di bloccare le partenze dei migranti a bordo dei barconi diretti verso le coste meridionali del nostro paese. Si tratta di una decisione che ha attirato le critiche di molte organizzazioni umanitarie e anche di una parte della stessa maggioranza per via delle numerose violazioni dei diritti umani perpetrate dalle milizie libiche, documentate ormai tanto dalle Nazioni Unite quanto da inchieste giornalistiche.

La norma che dispone il rifinanziamento è contenuta all’interno del più ampio decreto missioni approvato lo scorso 16 luglio, che racchiude le autorizzazioni alla spesa per tutte le missioni nelle quali l’esercito italiano è attualmente presente. Tra queste c’è appunto anche il supporto logistico che dal 2017 l’Italia fornisce alla Libia nell’ambito del Memorandum d’intesa siglato dall’allora governo libico con l’allora ministro dell’Interno Marco Minniti.

Cosa è cambiato dal 2017

Con la stipula dell’accordo nel 2017, il governo italiano, pressato da un forte incremento degli sbarchi, intendeva affidare la gestione dei campi di accoglienza in Libia, paese in cui confluiscono i migranti provenienti da tutta l’Africa per tentare il viaggio verso l’Italia, all’Alto commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) e all’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim). Ma anche potenziare il pattugliamento delle coste direttamente in acque libiche, come deterrente alle partenze.

Migranti diretti a Lampedusa
Il numero di rifugiati e migranti che tentano la pericolosa traversata del Mediterraneo centrale dalla Libia all’Italia è aumentato negli ultimi anni, frenato poi dal 2017 con il Memorandum © Chris McGrath/Getty Images

Nel frattempo però le condizioni politiche in Libia sono decisamente cambiate, e in peggio: nel 2017 il presidente Fayez Al Serraj era a capo di un governo di unità nazionale formatosi da poco più di un anno e che sembrava in grado di controllare buona parte dell’enorme territorio della Libia, nonostante la presenza di numerose tribù e governi locali.

Da oltre un anno, invece, il paese è in preda a una guerra civile che rende molto limitato il potere del governo ufficiale, in grado di controllare praticamente solamente la capitale Tripoli. Tanto che le stesse autorità locali hanno finito per dichiarare la Libia un “porto non sicuro”.

In cosa consiste il finanziamento concesso alla Guardia costiera libica?

Il Memorandum, così come il decreto approvato negli scorsi giorni, non specifica l’esatto ammontare del finanziamento italiano alla Guardia costiera libica, soprattutto perché più che di fondi diretti si tratta in realtà di “supporto logistico, fornitura di strumentazioni, sovvenzioni alle organizzazioni non governative operanti sul posto (pochissime) e fondi all’Oim. Ad esempio, lo scorso novembre l’Italia ha fornito gratuitamente alla Libia dieci motovedette, per un valore di mercato di 2,5 milioni di euro. E per il 2020 sono previsti 10 milioni di euro da investire nell’addestramento dei militari libici.

Secondo il portale Euronews, ad ogni modo, in due anni l’Italia avrebbe speso quasi 500 milioni: ma proprio la mancata rendicontazione è uno dei tanti motivi per cui il Memorandum viene contestato. Un ricorso dell’Associazione studi giuridici sull’immigrazione, che riteneva incompatibile con ogni forma di cooperazione internazionale la cessione a titolo gratuito di motovedette alla Libia, è è stato bocciato dal Tar del Lazio, che ha invece ritenuto il documento una legittima forma di cooperazione.

Le modifiche al Memorandum sui migranti

Da un anno ormai, da quando l’Italia ha cambiato l’asse del proprio governo la scorsa estate, la maggioranza si interroga sulla necessità, quantomeno, di modificare i termini dell’accordo con la Libia. Tanto più che, lo scorso 16 luglio, la decisione di rifinanziare la Guardia costiera libica ha provocato i malumori di 23 parlamentari appartenenti a tutti i partiti oggi al governo (poco più del 5 per cento della maggioranza alla Camera ), che hanno presentato una mozione contraria, in cui invece si chiedeva lo stop alla collaborazione con Tripoli nella gestione dei flussi migratori. I deputati hanno sottolineato che “la condizione di decine di migliaia di rifugiati, richiedenti asilo e migranti rimane drammatica: esposti ad arresti arbitrari e rapimenti per mano delle milizie e regolarmente vittime di trafficanti di esseri umani e di abusi di potere da parte di gruppi criminali collusi con le autorità”.

Il testo, respinto dalla Camera, aggiungeva che “il deteriorarsi del conflitto li ha esposti a rischi sempre maggiori; le autorità libiche continuano a detenere illegalmente migliaia di persone che vengono sottoposte a sfruttamento, lavoro forzato, tortura e altre violenze, anche sessuali, spesso allo scopo di estorcere denaro alle famiglie in cambio del loro rilascio; i detenuti nei centri vivono in condizioni disumane, di sovraffollamento e mancanza di cibo, acqua e cure mediche; i centri vengono regolarmente ripopolati”.

Libia serraj
Il presidente della Libia Faiez Mustafa al Serraj © Kevin Hagen/Getty Images

La giornata del 16 luglio ha avuto però due facce della medaglia: mentre il Parlamento votava il rifinanziamento, il ministro dell’Interno Luciana Lamorgese incontrava proprio a Tripoli il presidente Serraj e molti dei ministri libici. Ribadendo nell’occasione che la gestione del controllo delle frontiere e i flussi dell’immigrazione irregolare devono avvenire “sempre nel rispetto dei diritti umani e della salvaguardia delle vite in mare e in terra”. Il ministro ha dunque ribadito, secondo quanto fa sapere il Viminale dopo l’incontro, la necessità di attivare operazioni di evacuazione dei migranti presenti nei centri gestiti dal Governo libico attraverso corridoi umanitari organizzati dall’Unione europea e gestiti dalle agenzie dell’Onu, appunto l’Oim e Unhcr. Un primo passo, assicurano dal governo, verso la revisione del memorandum.

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