Perché l’Italia vuole dai migranti 5.000 euro per non trattenerli nei Cpr

L’Italia vuole che un migrante dia una garanzia bancaria di 5mila euro per non finire in un Cpr in attesa dell’esame della domanda d’asilo. Ma la Commissione europea non è d’accordo.

  • Un decreto dell’Interno ha stabilito in 4.938 euro la garanzia bancaria che un migrante dovrà fornire per non finire in un Cpr in attesa della domanda d’asilo.
  • Tutto nasce dalla “Direttiva Accoglienza” dell’Unione Europea del 2013.
  • La Commissione ora spiega però che la misura deve essere su base individuale e proporzionale.

Il governo italiano ha intenzione di consentire ai migranti provenienti da Paesi cosiddetti “sicuri” che fanno richiesta di protezione alla frontiera, di non finire nei Centri di permanenza per il rimpatrio, ma solo se saranno in grado di presentare una garanzia bancaria di quasi 5mila euro. È quanto prevede un decreto ministeriale del titolare del Viminale, Matteo Piantedosi, che spiega che la quantificazione di una garanzia sia una richiesta dell’Unione Europea. La stessa Unione Europea, però, ora prende parzialmente le distanze, in particolare sull’entità della cifra richiesta.

Una garanzia bancaria per la libertà

Il decreto ministeriale, firmato il 14 settembre, è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale venerdì scorso, 22 settembre, e si rivolge “ai cittadini di Stati non appartenenti all’Unione Europea che si trovino nelle condizioni di essere trattenuti durante lo svolgimento della procedura in frontiera al solo scopo di accertare il diritto di entrare nel territorio dello Stato”. In particolare, la norma vale per chi arriva da paesi considerati sicuri, cioè dove non sono in corso guerre, persecuzioni, disastri ambientali: tra questi figurano Algeria, Costa d’Avorio, Tunisia, Gambia, Senegal, Marocco, ma anche Kosovo e Serbia. Il riferimento è al cosiddetto decreto Cutro, quello varato dal governo dopo il tragico naufragio del 26 febbraio scorso: lì si era introdotta la possibilità di far richiesta di asilo in via prioritaria non appena sbarcati, se non direttamente sulle navi delle ong.

Il decreto stabilisce per la prima volta in 4.938 euro la garanzia bancaria che, secondo una vecchia direttiva europea del 2013, la Direttiva Accoglienza, doveva essere individuata come idonea a garantire allo straniero, per il periodo massimo di trattenimento pari a quattro settimane (28 giorni), la disponibilità di un alloggio adeguato, sul territorio nazionale; della somma occorrente al rimpatrio e di mezzi di sussistenza minimi necessari, a persona.

Il fatto in sé di legare la libertà o meno di un migrante alla sua disponibilità economica ha sollevato immediatamente grandi polemiche dal punto di vista etico: il Centro Astalli, una organizzazione che a Roma si occupa di accoglienza, sottolinea che “la detenzione amministrativa dei migranti non è la soluzione. La mobilità umana non è una colpa. Occorre rivedere le priorità: la tutela delle persone sia anteposta all’esigenza di ridurre i flussi migratori che possono essere gestiti con lungimiranza”, l’associazione No ai Cpr, che si batte per la chiusura di centri in cui vengono trattenuti come detenuti uomini che non hanno commesso reati, molto spesso peraltro in condizioni ben poco dignitose, è molto più dura e parla di “riscatto di Stato per sequestro di Stato”.

Le remore della Commissione europea

Per giunta, il decreto ministeriale prevede una serie di modalità che renderanno molto difficile per il migrante poter presentare questa garanzia: la quale va prestata  “in un’unica soluzione mediante fideiussione bancaria o polizza fideiussoria assicurativa”; la fideiussione “è individuale e non può essere versata da terzi. Inoltre, va prestata entro il termine delle operazioni di riconoscimento foto-dattiloscopico e segnaletico. In pratica, un migrante dovrebbe essere in grado, appena sbarcato, di presentare una fideiussione bancaria da 5mila euro a proprio nome, senza nemmeno – per esempio – poter essere aiutato da una associazione di volontario. La garanzia funzionerebbe anche da deterrente alla fuga verso altri Paesi: in quel caso infatti i soldi potrebbero essere riscattati dallo Stato italiano “e destinati all’entrata del bilancio dello Stato”.

Quello che non convince la stessa Commissione europea, però, è in particolare la cifra stabilita dal ministero dell’Interno, i 4.938. Una cifra molto alta, dal momento che al 2013 il costo medio del rimpatrio (una delle voci da considerare per stabilirla) è fissato, per decreto ministeriale, a circa 2.365 euro. I restanti 2.573 euro circa dovrebbero dunque coprire vitto e alloggio per un massimo di 28 giorni, per una media, piuttosto alta, di 91 euro al giorno. Troppi, secondo Bruxelles: la portavoce Anitta Hipper l’ha fatto intendere, spiegando che “la garanzia per non essere trattenuti nei Cpr in attesa della decisione sul  diritto di asilo deve essere valutata caso per caso e rispondere ai requisiti di proporzionalità nell’ambito di una valutazione individuale”.

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