Che cos’è la protezione speciale e perché in Italia sarà meno facile ottenerla

Con alcune modifiche al decreto varato dopo Cutro, l’Italia sta rendendo più difficile per i migranti ottenere la protezione speciale: ecco come e perché.

  • Cambia la protezione speciale in Italia: sarà più difficile ottenerla.
  • La modifica è contenuta all’interno del provvedimento varato dal governo dopo la tragedia di Cutro.
  • La protezione speciale si basa sulle storie personali dei migranti.

Le regole italiane per la protezione speciale per le persone in fuga cambiano di nuovo, per la terza volta in appena cinque anni. Le novità, che renderanno meno facile per un migrante ottenere questo status, sono contenute nel disegno di legge che il Senato ha approvato giovedì, modificando in parte il decreto che il governo aveva varato all’indomani della tragedia di Cutro, quando una barca colma di migranti si era capovolta a poche decine di metri dalla riva della costa calabresi causando più di 100 morti.

Cos’è o, meglio, cos’era la protezione speciale

Ma che cos’è la protezione speciale? Si tratta di un permesso di soggiorno speciale – per l’appunto – che è destinato alle persone straniere che giungono in Italia e che non sono in possesso delle caratteristiche necessarie per accedere alle due forme di protezione internazionale standard, individuate da tutti i trattati internazionali: vale a dire lo status di rifugiato politico, che si basa su motivi di persecuzione nel proprio paese di origine ed è prevista a partire dalla Convenzione di Ginevra sullo status dei rifugiati del 1951; e la protezione sussidiaria, per le quali possono fare domanda di asilo le persone in fuga da un paese in guerra. In genere, questi due status vengono concessi più o meno in automatico sulla base della nazionalità del richiedente (per esempio, nei casi di cittadini afgani o ucraini, il riconoscimento è quasi automatico, essendo paesi in guerra o piagati da regimi).

Aiuti umanitari
Rifugiati ucraini ricevono aiuti umanitari © Hristo Rusev/Getty Images

Il permesso di soggiorno per protezione speciale si applica invece quando, sulla base di una valutazione della storia personale del richiedente, si ravvisi il rischio che respingerlo possa sottoporlo a persecuzioni per motivi di razza, di sesso, di orientamento sessuale, di identità di genere di lingua, di  cittadinanza,  di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali o  sociali, possa rischiare di essere rinviato verso un altro Stato nel quale non sia protetto dalla persecuzione.  Inoltre vengono protette tutte le situazioni in cui esistano fondati motivi di ritenere che lo straniero, in caso di espulsione, rischi di essere sottoposto a tortura o a trattamenti inumani o degradanti o di violazioni sistematiche e gravi di diritti umani.

L’Italia ha sempre previsto una forma di protezione di questo tipo all’interno del Testo unico sull’immigrazione, con una piccola ma significativa parentesi: nel 2018 infatti quella che allora si chiamava protezione umanitaria fu eliminata dal primo decreto sicurezza varato dal governo Conte I e dall’allora ministro dell’Interno Matteo Salvini. Solo due anni dopo, nel 2020, un altro decreto del nuovo ministro dell’Interno Luciana Lamorgese la reintrodusse, con il nome e le specifiche attuali. Una mossa mai digerita dalla Lega, che da quel momento in poi ha attaccato la ministra Lamorgese fino all’ultimo giorno della sua permanenza al Viminale.

E che oggi è tornata alla carica, sostenendo che l’attuale norma viene applicata in maniera troppo larga, in modo da consentire il riconoscimento della protezione speciale a troppi richiedenti. E anche che l’Italia sia l’unico paese a prevedere questo tipo di terza forma di protezione.

Non solo l’Italia prevede la protezione speciale

Per quanto riguarda la presunta unicità del caso italiano, non è esattamente così. Il fondamento giuridico di questo tipo di protezione, più personale che ‘geopolitico’ è dato dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, e in particolare dall’articolo 8 che recita così:

  1. Ogni persona ha diritto al rispetto della sua vita privata e familiare, del suo domicilio e della sua corrispondenza.
  2. Non può esservi ingerenza della pubblica autorità nell’esercizio di tale diritto se non in quanto tale ingerenza sia prevista dalla legge e in quanto costituisca una misura che, in una società democratica, è necessaria per la sicurezza nazionale, l’ordine pubblico, il benessere economico del paese, la prevenzione dei reati, la protezione della salute o della morale, o la protezione dei diritti e delle libertà altrui.

Non esiste una normativa europea uguale per tutti, dunque ogni paese ha una procedura diversa e dà un nome diverso a questa forma di tutela personale: in questo senso la maggioranza ha buon gioco che negli altri Paesi non esiste una “protezione speciale” come quella italiana, ma norme molto simili sono presenti in 18 Stati su 27. Quelli di Francia e Germania, in particolare, sono tra i più simili alla nostra.

I numeri  e le storie della protezione speciale

L’altra obiezione è quella che viene fatta sull’accesso alla protezione speciale. Nel 2022 sono stati rilasciati 10.865 permessi per protezione speciale. Non solo: la senatrice del Movimento 5 Stelle Alessandra Maiorino, durante la discussione in Senato, ha sottolineato che “la protezione speciale c’entra pochissimo con gli sbarchi: il 36 per cento dei permessi infatti è concesso a cittadini albanesi, il 24 per cento a peruviani”. In gran parte lavoratori e integrati nel tessuto sociale italiano, spesso con l’intera famiglia al seguito.

Il punto è proprio questo. La stretta alla protezione speciale introdotta dal decreto e poi dagli emendamenti del Parlamento renderà quasi impossibile la conversione della protezione speciale, che dura 2 anni, in permesso di soggiorno per motivi di lavoro (non per chi ne è già in possesso in questo momento però), impedendo di fatto a persone potenzialmente ormai integrate di poter continuare a costruirsi una vita sul territorio italiano. Da questo punto di vista, però, non tutto è perduto: già oggi sono molto spesso in seconda battuta i giudici, chiamati a esprimersi dopo un primo diniego della Commissione territoriale, a concedere lo status di protezione speciale proprio sulla base delle norme previste dalla Cedu, di fatto sovrastando la giurisdizione nazionale, e nulla vieterà loro di continuare a farlo.

Più complicata, semmai, si prefigura la situazione di chi oggi otteneva la protezione per motivi psicofisici o per gravi calamità: secondo le nuove norme, saranno accolti solo coloro che sono afflitti da gravi patologie non curabili nei paesi di provenienza (“se un egiziano c’ha il morbillo, se lo cura al Cairo”, secondo la semplificazione di Maurizio Gasparri, estensore della modifica in questione, nelle dichiarazioni di voto). E una volta risolto il problema di salute, o terminata l’emergenza calamitosa, sarà obbligatorio il rientro a casa. A meno che, anche in questo caso, un giudice non ravvisi che il protetto abbia ormai costruito in Italia un proprio radicato tessuto sociale.

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