La Cop16 sulla biodiversità si conclude con pochi passi avanti. Cosa resta, al di là della speranza?
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Secondo il giornalista, escludendo dai documentari gli aspetti negativi, come estinzione e degrado degli habitat, Attenborough restituisce un’immagine falsa della natura.
Chiunque ami la natura non può che amare David Attenborough, forse il più noto divulgatore scientifico del mondo e pioniere dei documentari naturalistici. Da decenni Attenborough ci narra con passione e dovizia di particolari la vita degli animali selvatici, ormai i suoi documentari hanno conquistato anche il grande pubblico, come testimonia il grande successo della serie Planet Earth II, anche grazie all’uso di tecnologie sempre più sofisticate. George Monbiot, ambientalista, scrittore e giornalista britannico, autore dello splendido saggio dedicato al rewilding, Selvaggi, ama certamente la natura, eppure crede che Attenborough non le stia rendendo un gran servigio, anzi, starebbe addirittura tradendo il mondo vivente che tanto ama.
In un editoriale pubblicato sul Guardian, Monbiot sostiene che il divulgatore britannico avrebbe tradito il mondo naturale escludendo dai suoi documentari gli aspetti negativi, come l’estinzione e il degrado degli habitat, restituendo un’immagine distorta e falsa della natura.
Dal canto suo Attenborough, in una recente intervista concessa in occasione del lancio della nuova serie di documentari della Bbc intitolata Dynasties, ha affermato che enfatizzare gli aspetti negativi, quali l’impatto della perdita di habitat, i cambiamenti climatici e l’inquinamento potrebbe essere controproducente. “Sarebbe da irresponsabili ignorare queste minacce – ha affermato il naturalista – ma allo stesso tempo credo che abbiamo la responsabilità di realizzare programmi che guardino anche al resto degli aspetti e non solo a questo”.
Considerata la catastrofica rapidità con cui le specie animali si stanno estinguendo, secondo un nuovo rapporto del Wwf dal 1970 al 2014 abbiamo causato la scomparsa del 60 per cento dei vertebrati, Monbiot ritiene ingiustificabile l’approccio di Attenborough, volto perlopiù all’intrattenimento. “Per molti anni i documentari sulla fauna selvatica hanno presentato un mondo vivente incontaminato – scrive l’editorialista del quotidiano britannico – creando un’impressione di sicurezza e abbondanza, anche in luoghi afflitti da un diffuso collasso ecologico”.
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Questo modo di raccontare la natura, che zooma sul piccolo angolo incontaminato lasciando fuori dall’inquadratura il degrado circostante, genera secondo Monbiot compiacimento, non azione. “Molti registi di documentari sanno che stanno raccontando una storia falsa, creando un mondo fiabesco in grado di persuaderci, nel bel mezzo di una crisi esistenziale”.
Monbiot ricorda che, durante il periodo in cui lavorava per la Bbc, una serie ambientale che aveva proposto, dedicata proprio alla distruzione del mondo naturale, fu bocciata sul nascere. “Se mi chiedessi chi ha fatto di più per frustrare l’azione ambientale in questo Paese, tra la Bbc o ExxonMobil, direi la Bbc”, ha scritto. Monbiot riconosce ad Attenborough il grande merito di aver informato le persone sulle specie animali e la loro etologia, lasciandole tuttavia ignoranti sulla crisi ambientale in atto, mai approfondita davvero e, anzi, trattata con superficialità, come nel caso della serie The truth about climate change. “Non ci ha detto nulla sulle forze trainanti alla base della crisi climatica – ha affermato Monbiot – le compagnie che estraggono combustibili fossili sono menzionate solo come parte della soluzione”.
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