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I voraci ditteri sono in grado di trasformare la materia organica in bioprodotti utili per la produzione di biocarburanti avanzati, materiali biodegradabili o fertilizzanti agricoli.
È forse uno degli insetti “da laboratorio” più conosciuto. La mosca soldato (Hermetia illucens) è infatti presente in copiose pubblicazioni scientifiche e utilizzata in svariati progetti: le loro larve sono voracissime e capaci di trasformare la materia organica in sottoprodotti come lipidi, chitina e proteine. Sottoprodotti che possono essere successivamente trasformati biocarburanti avanzati, materiali biodegradabili o fertilizzanti agricoli.
È questo il progetto a cui stanno lavorando i ricercatori del centro Enea della Casaccia: alimentare le larve del dittero con fanghi di depurazione di acque reflue, letame e scarti dell’industria agro-alimentare, per arrivare alla cosiddetta bioconversione e ottenere in questo modo nuove molecole. “Quello che stiamo realizzando è il processo intermedio: prendiamo i fanghi da un impianto di depurazione di acque reflue e alimentiamo larve di mosca soldato su miscele di questa biomassa con altri substrati”, spiega a LifeGate Silvia Arnone del laboratorio biomasse e biotecnologie per l’energia dell’Enea. “A fine sviluppo si ottengono larve, i cui componenti principali sono lipidi, proteine e chitina, ed un residuo (ovvero ciò che rimane della miscela iniziale costituto da esuvie ed escrementi delle larve) assimilabile ad ammendante (fertilizzante, ndr) per la crescita delle piante”.
Gli insetti in questione vengono oggi già utilizzati in processi simili. Ad esempio le pupe (uno degli stadi intermedi dell’insetto) sono impiegate nella produzione di farine animali altamente proteiche. In alcuni paesi in via di sviluppo possono infatti essere impiegate per ridurre i rifiuti organici da una parte e alimentare gli animali da allevamento dall’altra.
In questo caso l’Enea, in collaborazione con il laboratorio di entomologia sanitaria dell’Istituto zooprofilattico sperimentale della Lombardia e dell’Emilia Romagna, è stata messa a punto una vera e propria “bioraffineria” di piccole dimensioni che punta a sfruttare materiali da smaltire per ottenere biocarburanti avanzati ma anche nuovi materiali per la chimica verde, come bioplastiche e rivestimenti biodegradabili, in linea con i principi dell’economia circolare. “La biomassa iniziale, ovvero un rifiuto, diventa una risorsa come fonte di materia prima”, continua la ricercatrice Arnone. E potrebbe in futuro produrre la base molecolare per la produzione carburanti a ridotto impatto ambientale.
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