Ma alla fine, quanto consuma questa intelligenza artificiale?

L’intelligenza artificiale sta diventando sempre più presente nelle nostre vite. Ma qual è il suo vero impatto ambientale? Una domanda banale che necessità risposte più complesse.

  • Un prompt su ChatGpt consuma più di una ricerca su Google. Ma alcuni divulgatori invitano ad analizzare i dati dei consumi dell’intelligenza artificiale in un contesto più largo.
  • Guardare la questione da un altro punto di vista aiuterebbe a capire che il problema riguarda dove si produce l’energia e quanto sono trasparenti le informazioni sui consumi.

L’intelligenza artificiale (ia) sta diventando una presenza fissa nelle nostre giornate. Ci aiuta a scrivere testi, risolvere problemi, generare immagini e video. Persino prendere decisioni. Ma ogni interazione – ogni singola richiesta fatta a ChatGpt o ad altri software di intelligenza artificiale – ha un costo invisibile, che non si misura in denaro, ma in chilowattora. Quanto consuma davvero l’ia? E soprattutto: ha senso allarmarsi per il suo impatto sull’ambiente, come suggeriscono titoli e inchieste circolati negli ultimi mesi?

Per rispondere, occorre fare ordine tra dati ufficiali, analisi indipendenti e dichiarazioni aziendali. Solo così si può comprendere se la nuova corsa all’intelligenza artificiale rappresenti davvero una minaccia per il clima – o se, invece, stia alimentando un racconto utile a qualcun altro.

intelligenza-artificiale-spagna-data-center
Questa fotografia scattata l’11 luglio 2024 mostra il data center di Amazon Web Services (AWS) a El Burgo de Ebro, vicino a Saragozza © Valentin BONTEMPS / AFP

Consumo di acqua ed elettricità: la minaccia delle ia

Da dove nasce il consumo di energia dell’intelligenza artificiale? Alla base ci sono i data center: enormi infrastrutture digitali che elaborano e archiviano dati per generare risposte in tempo reale. Ogni interazione con un sistema come ChatGpt richiede una notevole potenza di calcolo, che si traduce in consumi elettrici elevati e, spesso, anche in un fabbisogno significativo di acqua per raffreddare i server.

Una singola richiesta a ChatGpt consuma circa 3 wattora di elettricità secondo l’Agenzia internazionale dell’energia (Iea), ovvero dieci volte di più rispetto a una semplice ricerca su Google. Un dato che, preso singolarmente, può sembrare irrilevante. Ma, se moltiplicato per i milioni di utenti che ogni giorno interrogano questi strumenti, il quadro cambia radicalmente. La stessa Iea avverte che alcuni dei più grandi data center attualmente in fase di progettazione potrebbero arrivare a consumare l’equivalente dell’energia utilizzata da 5 milioni di abitazioni. E questo è solo l’inizio.

Diversi articoli hanno messo sotto accusa l’ia per il suo crescente impatto energetico. Ad esempio, secondo un’inchiesta congiunta del consorzio giornalistico SourceMaterial e della testata britannica The Guardian, le principali aziende tecnologiche – tra cui Amazon, Microsoft e Google – prevedono di costruire data center in alcune delle regioni più aride del mondo. Tra queste spicca l’Aragona, in Spagna: in questa regione, i nuovi impianti di Amazon potrebbero consumare più elettricità dell’intera comunità autonoma spagnola e richiedere per il raffreddamento fino a 750mila metri cubi d’acqua all’anno, una quantità pari al fabbisogno idrico annuo di una cittadina aragonese di circa 13.000 abitanti.

Intelligenza artificiale, allarme esagerato?

Non mancano però voci che invitano a ridimensionare l’allarme. La divulgatrice ambientale Hannah Ritchie, ad esempio, mette in discussione l’interpretazione del dato fornito dalla Iea, secondo cui una richiesta a ChatGpt consuma dieci volte più energia di una ricerca su Google. Ritchie non contesta il numero in sé – circa 3 wattora per prompt – ma ne ridimensiona l’impatto: su scala individuale, sostiene, si tratta di un’inezia. Per avere un termine di paragone, spiega Ritchie, quei 3 Wh rappresentano appena lo 0,00007 per cento del consumo elettrico annuo di una persona nel Regno Unito. Considerando che il consumo giornaliero medio di un cittadino britannico è intorno ai 12.000 Wh, una singola domanda a ChatGPT incide per una frazione microscopica. È una questione di contesto: numeri che, se letti senza proporzioni, possono apparire più preoccupanti di quanto siano davvero.

Anche il ricercatore Alex de Vries, tra i primi a tentare una stima dell’impronta energetica dell’ia, invita alla cautela. Nella sua analisi The growing energy footprint of artificial intelligence, ha calcolato il consumo teorico dei server prodotti da Nvidia – azienda leader nel settore – ipotizzando che quelli venduti nel 2023 funzionino a pieno regime. Il risultato: un consumo tra i 5 e i 10 terawattora all’anno, una frazione dei circa 460 TWh consumati complessivamente da tutti i data center del mondo.

A preoccupare, però, è anche la velocità con cui l’intelligenza artificiale si sta diffondendo. Ma anche qui, chi adotta un approccio più razionale invita a guardare ai numeri nel loro insieme. Secondo l’Iea – la stessa fonte spesso citata nei titoli più allarmistici – da qui al 2030 i data center peseranno per il 3 per cento sull’aumento della domanda globale di elettricità. Settori come l’industria pesante, i veicoli elettrici o la climatizzazione avranno un impatto ben più rilevante. Tuttavia, sottolinea ancora Ritchie, questa parte del discorso tende a scomparire nel rumore del dibattito pubblico.

grafico-consumo-acqua-AI
Una fonte utilizzata da Hannah Ritchie a sostegno della sua tesi © AndyMasleySubstack.com

Sull’intelligenza artificiale, dunque, il punto è un altro

Le analisi di Hannah Ritchie e delle fonti da lei citate mettono in luce due questioni centrali. La prima riguarda la scala del problema: distinguere tra impatto globale e impatto locale è fondamentale. In alcuni Paesi, infatti, i data center incidono in modo molto più marcato sulla domanda elettrica. In Irlanda, ad esempio, consumano già il 17 per cento dell’elettricità nazionale, mentre negli Stati Uniti e in diversi paesi europei la quota si aggira attorno al 3-4 per cento. È in questi contesti che si osservano fenomeni preoccupanti: dalla riattivazione di centrali a carbone alla progettazione di nuovi impianti nucleari, con le grandi aziende tech che continuano a espandere le loro infrastrutture a ritmo sostenuto. Anche l’Iea sottolinea come la concentrazione spaziale della domanda energetica nei data center sia molto più elevata rispetto ad altre tipologie di edifici. È proprio questa densità – più che il dato aggregato a livello globale – a generare una pressione significativa sulle reti elettriche locali.

La seconda questione sollevata riguarda meno la quantità e più la qualità dell’energia utilizzata. In altre parole: non conta solo quanta elettricità consuma l’intelligenza artificiale, ma da dove proviene. Un allarmismo eccessivo, sottolinea Hannah Ritchie, rischia di offrire un comodo alibi alle big tech, che possono giustificare il mancato rispetto degli obiettivi climatici appellandosi alla crescita inarrestabile dell’ia. In questa narrativa, il ricorso alle fonti fossili – e al nucleare – finisce per apparire inevitabile. Ne è un esempio l’accordo siglato tra Microsoft e un impianto nella zona di Three Mile Island, tristemente nota per il più grave incidente nucleare mai avvenuto negli Stati Uniti.

Anche BloombergNef, nel report New energy outlook 2025, conferma questa tendenza: l’aumento della domanda energetica legata all’ia potrebbe rallentare la discesa delle emissioni globali: una quota rilevante dell’elettricità necessaria continuerà infatti a provenire da fonti fossili almeno fino al 2035.

Meno titoli sensazionalistici e più trasparenza

Un’ulteriore criticità riguarda la velocità con cui cresce l’intelligenza artificiale. I data center possono essere costruiti in pochi mesi, mentre gli impianti per la produzione di energia – in particolare da fonti rinnovabili – richiedono anni per essere progettati, autorizzati e realizzati. Il rischio concreto è che questa discrepanza generi colli di bottiglia nella disponibilità di elettricità, spingendo verso un maggiore utilizzo di fonti fossili per colmare il divario.

A rendere il quadro ancora più intricato, contribuisce la scarsa trasparenza. Le principali aziende tecnologiche, infatti, non divulgano in modo sistematico dati completi sui consumi specifici legati ai sistemi di intelligenza artificiale, né sull’effettiva impronta di CO2 associata ai loro servizi. Inoltre, l’ubicazione dei data center è spesso un segreto industriale. La già citata indagine del Guardian con Source Material ha individuato, per esempio, 632 centri attivi o in fase di sviluppo gestiti da Amazon, Microsoft e Google: questa mappa mostra come queste aziende abbiano in programma di espandere del 78 per cento rispetto ai livelli attuali il numero di data center gestiti nel mondo. Espansione che rischierebbe di compromettere le attuali infrastrutture: si tratta di un vuoto informativo che rende difficile valutare con precisione l’impatto ambientale dell’ia e limita la possibilità di elaborare politiche infrastrutturali adeguate alla domanda.

L’impatto ambientale dell’intelligenza artificiale non può essere ridotto alla domanda “Ma quanto inquina ChatGpt?”, ma va affrontato con maggiore rigore. I numeri, letti nel giusto contesto, non autorizzano catastrofismi, ma nemmeno ottimismo cieco. Allo stesso tempo, è importante riconoscere che le ia non sono solo parte del problema, ma possono anche contribuire alla soluzione: modelli avanzati possono ottimizzare i consumi energetici, migliorare la gestione delle reti elettriche e rendere più efficienti i processi industriali. In questo senso, l’uso responsabile dell’intelligenza artificiale può diventare un acceleratore della transizione ecologica, a patto che sia guidato da criteri di sostenibilità ambientale e sociale.

Per farlo, però, servono analisi accurate, trasparenza nei dati e scelte politiche coerenti. Solo così si potrà valutare con serietà il ruolo dell’intelligenza artificiale nella transizione ecologica. Senza offrire pretesti alle big tech per rallentare gli impegni climatici e senza trasformare l’ia nell’ennesimo capro espiatorio che distoglie lo sguardo dal vero tema: la decarbonizzazione.

Siamo anche su WhatsApp. Segui il canale ufficiale LifeGate per restare aggiornata, aggiornato sulle ultime notizie e sulle nostre attività.

Licenza Creative Commons
Quest'opera è distribuita con Licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 4.0 Internazionale.

L'autenticità di questa notizia è certificata in blockchain. Scopri di più
Articoli correlati