Cosa sta succedendo in Nagorno Karabakh, travolto di nuovo dalla guerra

Si è riacceso il conflitto tra Azerbaigian e Armenia sul Nagorno Karabakh. C’è l’accordo per la tregua, ma non si sa cosa spetterà alla popolazione armena.

Sirene, esplosioni e morti tra la popolazione civile: martedì 19 settembre Stepanakert, la capitale del Nagorno Karabakh, è stata travolta di nuovo dalla guerra. L’Azerbaigian, a tre anni di distanza, ha attaccato il territorio dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh e il conflitto è riesploso nel Caucaso meridionale. Quanto sta avvenendo nella regione contesa tra Armenia e Azerbaigian è l’atto finale di una tragedia annunciata. Da mesi infatti segnali di un’imminente escalation militare e di uno scontro armato più certo che plausibile si stavano riscontrando nella regione.

La situazione in Nagorno Karabakh

A partire dal 12 dicembre 2022 l’esecutivo di Baku aveva infatti interrotto il corridoio di Lachin, la sola arteria che mette in comunicazione l’Armenia con il territorio armeno del Nagorno Karabakh, isolando dal resto del mondo la popolazione armena e impedendo non solo la libertà di movimento dei cittadini dell’Artsakh ma anche il transito di beni di prima necessità e causando così una grave crisi umanitaria dettata dalla mancanza di cibo e medicinali che ha provocato anche diverse vittime. Una situazione definita da Annie Hidalgo, sindaco di Parigi, e Luis Ocampo, ex procuratore capo dell’Aja, un genocidio in atto nei confronti della popolazione armena.

Mentre il governo di Baku costringeva alla fame il popolo armeno intanto, in questi mesi si registravano continue violazioni del cessate il fuoco sia lungo la linea di contatto l’Azerbaigian e l’Armenia sia tra l’Azerbaigian e il Nagorno Karabakh. Scontri che sono culminati con l’attacco su vasta scala di ieri da parte delle truppe di Baku che hanno bombardato il territorio conteso con artiglieria, droni e anche aviazione e tra le vittime già si contano decine di civili, compresi bambini.

L’esecutivo del presidente azero Ilham Aliyev ha giustificato l’aggressione come un’operazione antiterrorismo contro le forze armene del Nagorno Karabakh adducendo a casus belli la morte di alcuni cittadini azeri provocata da alcune mine e ha dichiarato che l’offensiva cesserà soltanto nel momento in cui le forze armene consegneranno le armi. Yerevan nega qualsiasi coinvolgimento nel conflitto in corso e al momento gli scontri interessano l’esercito dell’autoproclamata Repubblica dell’Artsakh e l’Azerbaijan.

Da più di 24 ore la popolazione armena del Nagorno Karabakh vive nei rifugi e stando a fonti locali solo un numero limitato di civili sono riusciti a lasciare la zona degli scontri.

Cosa può succedere alla popolazione armena

In Karabakh è dispiegato anche un contingente di oltre 2.000 peacekeepers russi accusati dai cittadini armeni di non aver adempito ai loro doveri durante il periodo dell’isolamento causato dal blocco del corridoio di Lachin e anche in queste ore in cui il conflitto sta imperversando. La comunità internazionale ha chiesto l’immediato cessate il fuoco, il segretario di Stato americano Antony Blinken ha espresso la preoccupazione degli Stati Uniti: “L’Azerbaigian deve fermare subito le ostilità”, e il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha esortato l’Azerbaigian a cessare le operazioni militari “immediatamente per consentire un dialogo genuino tra Baku e gli armeni del Karabakh”.

Anche la Russia ha invitato le parti a rispettare la tregua del 9 novembre del 2020 che mise fine alla guerra dei 44 giorni, anche se nelle ultime settimane i rapporti tra Pashinyan e Putin si sono fatti sempre più tesi dopo che il premier armeno ha esplicitamente dichiarato la sua volontà di allontanarsi dall’orbita del Cremlino arrivando ad ospitare un’esercitazione congiunta tra forze statunitensi e quelle armene nel Caucaso e dichiarando in un’intervista a Repubblica: “La nostra dipendenza dalla Russia per la sicurezza è stato un errore strategico”.

In queste ore a Yerevan, la capitale dell’Armenia, una folla di cittadini, si è radunata nella piazza della Repubblica e sta invocando le dimissioni del premier e del suo entourage e chiedendo un intervento immediato a difesa della popolazione dell’Artsakh anche se, le ultime notizie trapelate hanno fatto sapere che il governo dell’Artsakh si è dichiarato pronto a firmare una resa incondizionata e il peggior scenario per la popolazione armena sembra quindi ormai paventarsi: quello di una perdita della loro terra storica e di un’integrazione totale all’interno dell’Azerbaigian.

nagorno karabakh
Le proteste il 19 settembre per chiedere le dimissioni del primo ministro armeno © Karen Minasyan/Afp/Getty Images

Come si è arrivati a questo punto

Per comprendere le origini dello scontro tra armeni e azeri nel Nagorno Karabakh occorre riavvolgere il rocchetto della storia sino al 1921 quando Stalin assegnò il territorio del Nagorno Karabakh, popolato per la stragrande maggioranza da genti armene, all’Azerbaigian, con l’obiettivo di rafforzare il paese asiatico per farne un avamposto da cui poter esportare la rivoluzione bolscevica nella vicina Turchia.

Negli anni la convivenza tra la comunità azera e quella armena si è fatta sempre più difficile, le richieste di indipendenza delle genti armene son state sempre respinte e questo ha portato una tragica guerra dal ’92 al ’94 che ha provocato 30mila morti e che si è conclusa con la vittoria degli armeni che hanno preso controllo dell’intera regione e hanno proclamato la nascita della Repubblica dell’Artsakh, uno stato ad oggi che non è stato riconosciuto da nessun Paese al mondo, nemmeno dalla stessa Armenia. Al termine del conflitto i trattati internazionali hanno riconosciuto l’appartenenza del Nagorno Karabakh all’Azerbaigian, ed è questo il motivo per cui ancor oggi si combatte.

Baku ha sempre rivendicato l’appartenenza della regione contesa in base agli accordi giuridici, l’Artsakh invoca invece il riconoscimento internazionale appellandosi al diritto dell’autodeterminazione dei popoli. E questo impasse giuridico ha impedito una fine delle ostilità e il 27 settembre del 2020 l’Azerbaigian ha attaccato il territorio armeno arrivando, dopo 44 giorni di scontri, a occupare gran parte della regione.

In queste ore si sta assistendo all’ultimo atto di una guerra durata oltre 30 anni, quello che ancora non si sa è in che modo verrà scritta la parola fine di questa drammatica pagina della nostra contemporaneità, ma il timore è che le parole conclusive con cui verrà consegnata alle cronache la storia del Nagorno Karabakh possano essere quelle di pulizia etnica o genocidio.

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