
Secondo il primo studio a indagare le cause del crollo della Marmolada, costato la vita 11 persone, l’evento è dovuto in gran parte alle alte temperature.
La Cina ha avviato un massiccio piano di riforestazione che prevede di aumentare la copertura arborea del 23% entro il 2020.
Diciamo Cina e pensiamo al cielo grigio, oppresso da una massiccia cappa di smog, alle onnipresenti mascherine sulla faccia degli abitanti delle città, all’urbanizzazione dilagante. Eppure qualcosa sta cambiando, per cominciare in molte aree del Paese la qualità dell’aria è migliorata e il turchese del cielo non è più un miraggio, grazie alle politiche ambientali adottate dal governo. Tra queste spicca l’ambizioso progetto di riforestazione avviato nel 2016 che prevede di aumentare la copertura forestale dell’intera nazione fino al 23 per cento entro la fine del 2020.
L’obiettivo di Pechino per il 2018 è piantare 6,6 milioni di ettari di foresta entro la fine dell’anno. Questa grandiosa opera di rimboschimento aiuterà la Cina a ristrutturare preziosi habitat degradati e a contrastare i cambiamenti climatici. Negli ultimi cinque anni sono stati piantati in tutto il Paese oltre 33 milioni di ettari di foreste ed è stata ricoperta di alberi un’area grande quanto l’Italia, con una spesa di quasi 83 miliardi di dollari.
Parallelamente alla messa a dimora di nuovi alberi, il governo ha varato un piano che impone a province e regioni di limitare lo “sviluppo irrazionale” e ridurre le costruzioni in prossimità di fiumi, foreste e parchi nazionali. Quindici province hanno già abbracciato l’iniziativa creando appositi piani urbanistici, le altre sedici province ne seguiranno l’esempio quest’anno.
“Le aziende, le organizzazioni e tutti gli esperti sono i benvenuti a partecipare alla massiccia campagna di riforestazione del Paese – ha dichiarato Zhang Jianlong, responsabile dell’Amministrazione forestale cinese. – La cooperazione tra governo e società è ritenuta una priorità”.
L’ingente investimento economico che la Cina ha fatto per riforestare la sua superficie dimostra una notevole presa di coscienza, probabilmente obbligata, considerato che il Paese aveva forse sfiorato il punto di non ritorno. L’inquinamento atmosferico causa infatti 1,6 milioni di morti all’anno e nel 2014 circa due terzi delle falde acquifere analizzate e un terzo delle acque di superficie non erano adatte al contatto con gli esseri umani.
Nonostante lo sforzo della Cina sia encomiabile, uno studio del 2016 ha rilevato che il progetto di rimboschimento non ha favorito la biodiversità privilegiando la piantumazione di poche specie di piante, non consentendo dunque l’effettivo ripristino ecologico dell’area.
Assurgere la Cina ad esempio di paese virtuoso in materia di tutela ambientale sarebbe probabilmente eccessivo, eppure la nazione asiatica potrebbe lanciare un messaggio al mondo intero, dimostrando che, per quanto la situazione possa sembrare compromessa, non è mai troppo tardi per cercare di invertire la tendenza e puntare con decisione, con investimenti effettivi per migliorare la salute dell’ambiente e sviluppare tecnologie pulite e non con dichiarazioni di facciata, sulla sostenibilità.
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