Perché si parla di normalizzazione nella nuova crisi tra Israele e Hamas

La normalizzazione tra Israele e i paesi arabi ha esacerbato i piani di Hamas. Le popolazioni arabe urlano in piazza, i governi sono silenti.

  • Negli ultimi anni è montato un senso di frustrazione nei confronti della Lega Araba che ha lentamente abbandonato la questione dell’occupazione dei territori palestinesi da parte di Israele.
  • I dialoghi per la normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele e il riavvicinamento con Iran e Siria ha dato più forza ad Hamas sul territorio.
  • Mentre le piazze di tutti i paesi del Nordafrica e del Golfo scendono in piazza, i governi rimangono freddi.

La guerra tra Israele e Hamas, scoppiata dopo il massacro dello scorso 7 ottobre, è iniziata nel bel mezzo dei colloqui tra Arabia Saudita e Israele per una possibile normalizzazione che, ormai, sembra rinviata a data da destinarsi.

Negli ultimi tre anni il piano di ripartizione territoriale proposto dall’allora presidente degli Stati Uniti Donald Trump e il processo di riapertura dei rapporti diplomatici e commerciali di alcuni paesi della Lega Araba e Israele, hanno suscitato un senso di abbandono nella popolazione palestinese che vedono, nella normalizzazione tra Riad e Tel Aviv, la linea di demarcazione da non superare.

 

Dagli Accordi di Abramo alla (quasi) normalizzazione con l’Arabia Saudita

L’amministrazione Trump si era impegnata fortemente nel sostenere le politiche di annessione del governo israeliano. Il primo tassello è il cosiddetto Accordo del Secolo, presentato insieme a Benjamin Netanyahu nel gennaio del 2020. Si trattava di un nuovo piano di ripartizione del territorio tra Israele e Palestina, che prevedeva Gerusalemme capitale solo dello stato ebraico e una drastica riduzione dei territori palestinesi, in violazione dei precedenti Accordi di Oslo del 1993. 

Il piano era criticato dal presidente della Palestina, Mahmoud Abbas (noto anche come Abu Mazen), non solo per la proposta di riduzione del territorio, ma soprattutto perché nessun diplomatico palestinese era stato coinvolto nell’accordo.

Mappa Accordo del Secolo
Mappa dell’Accordo del Secolo/Wikimedia Commons

Il secondo, e più importante, momento di frustrazione per la Palestina è stata la firma, nell’agosto del 2020, degli Accordi di Abramo. Emirati Arabi Uniti, Bahrain e Israele avevano siglato un accordo che prevede il riconoscimento reciproco e l’apertura di rapporti commerciali. Sotto la pressione di Washington e Dubai, Marocco e Sudan avevano deciso di firmare l’accordo.

Accordi di Abramo, normalizzazione
Firma degli Accordi di Abramo © Alex Wong/Getty Images)

Il tassello successivo che ha esasperato il sentimento palestinese di abbandono da parte dei Paesi arabi, è stato l’inzio del dialogo per una normalizzazione tra Arabia Saudita e Israele, mediata dagli Stati Uniti. Per Israele, normalizzare le relazioni con il maggior numero possibile di stati arabi è sempre stato un obiettivo strategico. Per la nuova Arabia Saudita, guidata di fatto dal principe ereditario Mohammad bin Salman, l’apertura all’economia israeliana aiuterebbe ad implementare gli obiettivi ambiziosi della Saudi Vision 2030

La normalizzazione tra le ragioni dell’attacco

La mossa di Hamas è stata innescata da tre fattori. In primo luogo, le politiche del governo israeliano di estrema destra che hanno permesso la violenza dei coloni nella Cisgiordania occupata e a Gerusalemme Est. Secondo le Nazioni Unite, il 2023 è stato l’anno con il maggior numero di morti palestinesi in Cisgiordania, con più di 200 civili morti durante le operazioni delle forze di difesa israeliane (Idf) e in veri e propri pogrom, come li ha definiti Yehuda Fucs, il generale israeliano responsabile delle truppe in Cisgiordania. 

In secondo luogo, Hamas si è sentita più forte dopo essere riuscita a rafforzare i suoi legami con l’Iran e risanare quelli con la Siria. Il segretario generale di Hezbollah, Hassan Nasrallah, ha dichiarato di essersi impegnato personalmente per migliorare le relazioni tra Hamas e Damasco. Una delegazione di Hamas ha visitato Damasco nell’ottobre 2022 e il suo capo dell’ufficio politico Ismail Haniyeh si è recato a Beirut in aprile e a Teheran in giugno.

In ultimo abbiamo, appunto, il possibile accordo tra Riad e Tel Aviv. La leadership di Hamas si è, probabilmente, sentita costretta ad agire a causa dell’accelerazione della normalizzazione arabo-israeliana. Negli ultimi anni, questo processo ha ulteriormente diminuito l’importanza della questione palestinese per i leader arabi, che sono diventati meno propensi a fare pressione su Israele su questo tema.

Se fosse stato concluso un accordo di normalizzazione saudita-israeliano, sarebbe stato un punto di svolta nei rapporti tra lo Stato Ebraico e i Paesi arabi, che avrebbe potuto eliminare le già deboli possibilità di una soluzione a due stati. 

La reazione dei paesi arabi

L’attacco di Hamas ha, di fatto, rimescolato le carte in tavola e cambiato drasticamente lo scenario dei rapporti tra Israele e i Paesi arabi. La Palestina è tornata dopo anni ad essere al centro dell’attenzione del mondo arabo e internazionale. Forti condanne sono arrivate soprattutto dai paesi della Lega Araba che, con Israele, non hanno normalizzato: Yemen, Tunisia, Iraq e Algeria, che ha persino contestato la decisione della Lega Araba considerata poco incisiva. L’Egitto ha condannato le violenze da parte di entrambi i fronti e sta mediando per l’apertura del Valico di Rafah per far passare gli aiuti umanitari, anche se non sembra voler accogliere i rifugiati da Gaza.

Le opinioni pubbliche stanno mettendo in imbarazzo i governi di tutti i Paesi che hanno normalizzato i rapporti con Israele. Negli ultimi dieci giorni, si sono riversate nelle piazze migliaia di persone nella stragrande maggioranza dei Paesi nordafricani e del Golfo, mentre i governi hanno fatto dichiarazioni molto caute.

Re Mohamed VI, tramite un comunicato stampa diffuso dal Ministero degli Esteri di Rabat, si dice preoccupato della situazione e condanna la violenza che colpisce i civili sia palestinesi che israeliani. Non tutta la famiglia reale marocchina, però, condivide le posizioni del Re. Il principe Hicham, cugino del sovrano, ha pubblicamente diffuso il suo sostegno alla Palestina.

Questi eventi richiedono una posizione chiara da parte nostra, poiché opporsi all’esercito di occupazione è un diritto legittimo.

Principe Hicham Alaoui

Il Bahrain ha diramato un comunicato in cui condanna le violenze di Hamas martedì 10 ottobre e da allora qualsiasi notizia relativa al conflitto è scomparsa dall’agenzia di stampa nazionale. Anche Emirati Arabi e Arabia Saudita hanno espresso le loro preoccupazioni per i civili e chiesto un cessate il fuoco, ma entrambi, nonostante la competizione nella regione, stanno avendo un ruolo nella mediazione.

Ancora una volta, vediamo al centro della scena il Qatar e la Turchia di Recep Tayyip Erdoğan, mediatori designati da Hamas, con cui hanno rapporti, che non vuole, evidentemente, più avere a che fare con Paesi arabi che ritiene traditori.

Più accese, invece, le reazioni dei leader arabi in seguito a quanto avvenuto all’ospedale Al-Ahly a Gaza City, la sera del 17 ottobre. Gli Emirati Arabi hanno immediatamente condannato quanto accaduto e richiesto, insieme alla Russia, una riunione d’emergenza del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite. I ministeri degli Esteri di Egitto, Emirati Arabi Uniti, Arabia Saudita e Qatar hanno condannato Israele per l’attacco – anche se Israele e Hamas continuano a scambiarsi accuse – la Giordania ha addirittura cancellato il meeting previsto per oggi con il Presidente Biden. Anche i sovrani di Marocco e Bahrain hanno fermamente condannato l’attacco.

Quest’evento potrebbe spingere i Paesi che hanno normalizzato con Israele a prendere, nei prossimo giorni, posizioni più dure sul conflitto in corso.

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