Lorenzo Maiorino. Ecco perché gli oggetti usati hanno un impatto ambientale minore

Per capire quanto pesa sull’ambiente un qualsiasi oggetto, esiste un’apposita formula che ne calcola l’impatto ambientale durante tutta la sua vita utile. È l’Lca, o valutazione del ciclo di vita. Ecco di cosa si tratta e perché è importante.

Ogni oggetto, prodotto, alimento che usiamo quotidianamente, ha avuto un qualche impatto sull’ambiente naturale. Che è strettamente legato all’uso delle risorse naturali impiegate per produrlo, all’energia utilizzata, o alle emissioni prodotte per realizzarlo e trasportarlo. Il modello economico in cui ancora oggi viviamo prevede che l’oggetto sia pensato, prodotto e utilizzato per essere buttato a fine vita, spesso senza possibilità di essere riparato, in un’economia lineare basata sul consumo insostenibile delle risorse. Basti pensare che ogni anno, la data dell’Overshoot day (il giorno che segna l’esaurimento delle risorse rinnovabili che la Terra è in grado di rigenerare in un anno) si avvicina sempre più, ricordandoci che acqua, suolo, cibo, non sono risorse infinite.

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Il Life cycle assestment misura l’impronta ecologica dei prodotti. Acquistare oggetti usati può aiutare a ridurlo. © Ingimage

È possibile dunque misurare quante risorse sono state impiegate per produrre un qualsiasi oggetto? Esiste un modo per ridurle, anche nelle nostre scelte quotidiane, senza grandi rinunce? L’abbiamo chiesto all’ingegner Lorenzo Maiorino, ricercatore tecnologo e analista senior, oggi ispettore ambientale Aia dell’Ispra.

Lca è l’acronimo di Life cycle assessment (valutazione del ciclo di vita). Cos’è il ciclo di vita di un prodotto, di processo o di un’attività e perché si misura?
Si tratta di una metodologia e un approccio volto a dare uno sguardo a quello che accade alla vita di un oggetto, un prodotto o un servizio. In maniera tale da evitare di spostare un vantaggio che si ha in un momento particolare del ciclo di vita e trasformarlo in svantaggio in un altro periodo. Per molti anni, ad esempio, si sono progettati oggetti concentrandosi sugli aspetti produttivi, senza però pensare al fine vita degli oggetti stessi. Questo approccio invece cambia il modo di valutare tutte le fasi del ciclo di vita dei prodotti, a partire dall’approvvigionamento delle materie prime.

In genere quali sono i parametri presi in considerazione?
Il ciclo di vita viene diviso in diverse fasi: l’estrazione e l’impiego delle materie prime, il processo di produzione, la fase d’uso e il fine di vita. Vengono così stabiliti degli inventari delle materie impiegate, che possono essere rinnovabili o meno, per arrivare ad un elenco dei consumi di risorse, di energia e di rilasci ambientali. A questo punto si possono misurare gli impatti ambientali del prodotto, in base a quelli che vengono considerati come “bersagli”, che spaziano dall’uomo, dall’aria, agli ecosistemi e così via. L’analisi va quindi a vedere quali sono questi effetti.

Perché negli anni si è reso necessario misurare anche l’impatto ambientale dei prodotti e delle attività in genere?
Perché le nostre attività sono diventate sempre più antropizzate, nonostante i cicli del pianeta siano naturali, con tempi precisi di autorigenerazione. Con l’analisi dell’Lca è possibile guardare nella loro completezza tutte le fasi del processo, così da poter fare una valutazione degli impatti ambientali. Dal punto di vista storico, l’Lca nasce per la valutazione dell’analisi energetica di alcuni prodotti di largo consumo e comprendere quali di questi fosse più conveniente. Il vantaggio di questa metodologia sta proprio nella sua semplicità e nelle risposte che fornisce, in un’ottica sostenibile.

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Acquistare oggetti usati ancora funzionanti è alla base del concetto stesso di sostenibilità © Ingimage

La vita utile di un oggetto di uso quotidiano va ad influire sull’Lca? Se sì, in che modo?
Sì certo. L’Lca infatti tiene conto anche della fase d’uso. In questo caso nella valutazione incide la durabilità dell’oggetto: più dura, più sarà vantaggioso. La stessa Commissione europea, nella strategia per la riduzione dei rifiuti, sostiene chiaramente il riutilizzo degli oggetti o dei prodotti.

Acquistare oggetti usati in buono stato di funzionamento può ridurre l’impatto ambientale degli stessi e quindi la loro Lca?
È uno degli aspetti centrali del concetto stesso di sostenibilità, anche perché lo dicono i dati stessi. Perché dovrei liberarmi di un oggetto e farlo diventare un rifiuto quando questo può essere ancora funzionale e riutilizzabile?

Quali sono i prodotti che acquistati usati o di seconda mano abbassano notevolmente l’Lca, paragonati agli stessi oggetti di nuova fabbricazione?
In questo caso è necessario valutare le perfomance del prodotto. Si tratta di tutti i prodotti ad alta durabilità, con una durata quindi elevata, e che non perdono la loro funzionalità. Ciò che è fondamentale è la fase di progettazione, oggi definita anche ecoprogettazione, in grado di avere sia un prodotto perfomante, ma che sia anche valutabile in fatto di manutenzione e riparabilità. Infatti in ogni oggetto c’è insito un prezzo ambientale da pagare.

Crede che sia pensabile che si possa arrivare ad una certificazione o etichettatura dell’Lca dei prodotti che possa informare i consumatori prima dell’acquisto?
Esistono già tre etichette ecologiche, di tipo volontario. La prima è il marchio Ecolabel, della Commissione europea che si fonda sull’analisi del ciclo di vita. Poi esistono altre etichettature, legate alla riciclabilità o alla biodegradabilità dei prodotti, ad esempio. Per finire esiste poi la Dap (Dichiarazione ambientale di prodotto), basata su parametri stabiliti che contengono gli impatti ambientali e le prestazioni rilevate.

https://www.youtube.com/watch?v=3A_FX4RMu4g

Second hand effect, lo scambio di oggetti usati aiuta l’ambiente

Quali sono gli strumenti che il consumatore ha a disposizione per ridurre l’impatto degli oggetti di uso quotidiano? L’economia dell’usato è senz’altro una delle opzioni che meglio rappresentano l’economia circolare: gli oggetti vengono riciclati, riutilizzati, tornando spesso a nuova vita. È quello definito anche come “second hand effect”, ovvero l’effetto positivo che si ha acquistando un oggetto usato. Perché? Perché si evita la produzione di rifiuti, il consumo di materie prime, di energia, riducendo di conseguenza le emissioni di CO2. Secondo una ricerca Doxa, realizzata per conto di Subito.it (uno dei portali dedicati alla vendita e l’acquisto di oggetti di seconda mano), nel 2017 il mercato dell’usato online nel nostro Paese ha permesso un risparmio potenziale di 4,5 milioni di tonnellate di CO2eq., di 246mila tonnellate di plastica, di 1,6 milioni di tonnellate di acciaio e di 154mila tonnellate di alluminio. Una vera miniera.

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