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Per limitare l’eccesso di azoto, l’Olanda riduce la densità degli animali allevati. Per Greenpeace è il segnale giusto da dare a tutti gli altri paesi europei.
È notizia di qualche giorno fa che l’Olanda è il primo paese europeo ad aver deciso di ridurre la quantità di capi presenti negli allevamenti intensivi per proteggere l’ambiente. All’interno del piano volto a dimezzare le emissioni di azoto sul territorio nazionale entro il 2030, una delle azioni utili individuate dagli esperti consiste proprio nel tagliare del 30 per cento il numero degli animali allevati.
A dichiararlo è il premier Mark Rutte, del partito Popolare per la libertà e la democrazia, che da mesi lavora a questa virata a favore della “salute” dei terreni olandesi. Già a inizio settembre 2021 il governo olandese stava discutendo su come mettere in pratica questa misura considerata da molti un cambiamento epocale. Un passo che sembra possa avere davvero una ricaduta importante in Europa.
L’Olanda è un paese grande più o meno come la Lombardia e il Veneto insieme e ha solo poco più di 17 milioni di abitanti (2020), ma deve sostenere un carico di circa 100 milioni di capi di bestiame. Il motivo? Semplice, i Paesi Bassi sono il primo paese in Europa per l’export di carne. Una densità davvero molto alta per un territorio così piccolo e che finisce per gravare sullo stato dei terreni. In poche parole i liquami e il letame prodotto dagli allevamenti produce così tanta ammoniaca che infiltrandosi nei terreni li danneggia pesantemente. E ciò avviene senza sosta da decenni.
Tra i territori più colpiti dai danni dell’azoto, segnala Greenpeace Nederland, ci sono le lingue di sabbia sul Kootwijkerzand e sull’Hoge Veluwe, le aree di torbiera come Alde Feanen o Nieuwkoopse Plassen, le dune dell’Olanda settentrionale e le antiche foreste di querce del Veluwe. Queste, infatti, sono le aree che più sono risultate “acidificate e sovrafertillizate con l’azoto e dove oggi vivono sempre meno specie autoctone nei Paesi Passi e in Europa. Per questo è urgente passare all’agricoltura ecologica con meno animali”, sottolinea l’associazione internazionale.
Ora è ufficiale, il governo olandese si è pubblicamente impegnato in questa virata necessaria per l’ambiente. Lo ha comunicato anche Greenpeace che in una nota spiega l’importanza di questa scelta “indicata da tempo dal mondo scientifico” e che ha anche avvertito del fatto che “le soluzione tecnologiche non sono più sufficienti a ridurre gli impatti del settore zootecnico, se non si interviene anche sul numero e sulla densità degli animali allevati”.
Il piano olandese ha previsto anche un paracadute per i lavoratori del settore: 25 miliardi di euro di risarcimenti e incentivi destinati agli allevatori per accompagnarli e sostenerli in questa transizione. Greenpeace è in attesa di conoscere nel dettaglio come lo Stato ha intenzione di impiegare queste risorse.
L’attenzione rimane perciò alta perché secondo gli ecologisti gli habitat nella lista nera sono già 14 in Olanda e richiedono un’azione rapida perché troppo azoto è stato depositato al suolo e per troppo tempo. Questo indica che la possibilità di tornare indietro è limitata. Secondo Roland Bobbink del B-Ware Research Centre “se non si riducono le emissioni di azoto entro quattro anni, il rischio di perdite o danni irreparabili per questi tipi di natura è notevole”.
A maggio scorso, sempre Greepeace Olanda, aveva messo in guardia il governo dei Paesi Bassi con una lettera di messa in mora – completa di un dettagliato report sulla vulnerabilità di diversi habitat naturali – per il mancato rispetto della Direttiva Habitat, che impone agli Stati membri della Ue di adottare misure appropriate per arrestare il deterioramento degli habitat naturali.
L’associazione non si era fermata qui: aveva anche minacciato di trascinare in tribunale lo Stato se non avesse agito per tempo. Stessa sorte sta capitando agli altri Paesi europei che non stanno adempiendo ai loro obblighi per contrastare la crisi climatica.
Tra questi c’è l’Italia che a causa della zootecnia intensiva, non ha rispettato la direttiva sui nitrati. Una situazione grave, in particolare in Lombardia, secondo le indagini dell’associazione, “dove i carichi di azoto sono eccessivi su un comune su dieci”, ha detto Simona Savini della campagna Agricoltura di Greenpeace Italia, che allarma sul fatto di come la densità del numero dei capi allevati continui a essere un tabù per la politica italiana, sebbene il mercato stesso dia indicazioni in tal senso, attraverso cicliche crisi della domanda di prodotti di origine animale che mettono in difficoltà anzitutto gli stessi allevatori, l’anello più debole della catena.
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