La proposta di togliere la scadenza all’autorizzazione delle sostanze attive dei pesticidi è contenuta in un pacchetto semplificazione della Commissione. Per gli ambientalisti in questo modo il profitto dell’industria prevale sulla salute.
In Brasile si pratica una sorta di “riciclaggio del bestiame” che impedisce di sapere se la carne bovina proviene da capi allevati in aree distrutte illegalmente.
Il giornale britannico Guardian ha raccontato quello che viene definito il “riciclaggio del bestiame” in Amazzonia, ovvero il modo in cui la carne proveniente da allevamenti illegali o responsabili della deforestazione della foresta pluviale finisce sugli scaffali dei supermercati e nei piatti dei ristoranti, in mancanza di una filiera tracciata o aggirando i controlli.
Il Brasile è il maggior esportatore di carne bovina al mondo; il 40 per cento del bestiame brasiliano viene allevato in Amazzonia dove per far spazio ai pascoli si disboscano migliaia di ettari di foresta, spesso in maniera illegale, distruggendo biodiversità e contribuendo ai cambiamenti climatici. Nonostante le denunce di ambientalisti e delle inchieste giornalistiche, e la richiesta da parte dei consumatori e delle istituzioni di una maggiore trasparenza, la catena di approvvigionamento complessa e poco chiara può facilmente nascondere l’origine della carne.
Il Guardian spiega come, dalla nascita alla macellazione, la maggior parte dei bovini allevati in Amazzonia viene spostata tra più allevamenti. Il primo è l’allevamento di nascita e di svezzamento dove i vitelli rimangono per nove mesi. A causa dei rischi legati alla mortalità degli animali, si tratta di un’attività con la maggiore incertezza economica per gli allevatori, che tendono quindi ad avere bassi livelli di conformità ambientale; un’attività che è spesso collegata alla deforestazione.
I vitelli vengono poi trasferiti in allevamento conforme, in modo che da questo momento in poi non possano essere ricondotti alla deforestazione. Si passa poi agli allevamenti dove i bovini vengono messi all’ingrasso che, essendo collegati ai macelli, sono sottoposti a maggiori controlli e sono per la maggior parte conformi. Nel caso non lo fossero, le vendite si rivolgono a mercati meno regolamentati, come quello cinese. Nei macelli la carne di bovino viene lavorata e confezionata: è una fase redditizia dominata da multinazionali come Jbs, Mrfrig e Minerva.
Per essere sicuri della provenienza della carne ci dovrebbero essere norme che obbligano le aziende a monitorare i fornitori diretti e indiretti. Nell’Unione europea per la carne bovina (ad eccezione dei preparati con meno del 99 per cento di carne come alcuni hamburger) è obbligatorio riportare il paese di origine, allevamento e macellazione.
Come spiega anche Slow Food in un documento sulla richiesta di clausole specchio per i prodotti di importazione, questa regola non si applica completamente ai prodotti animali importati da paesi terzi, per i quali le autorità europee richiedono solo la tracciabilità durante le fasi di ingrasso e finitura. L’Italia è il primo importatore europeo di carne brasiliana che viene utilizzata, per esempio, per la produzione di bresaola valtellinese per cui non ci sono obblighi di indicare in etichetta l’origine della carne trattandosi di un salume di bovino Igp .
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