Oscar 2020: lo storico trionfo di Parasite e tutti i vincitori della 92esima edizione

La black comedy sudcoreana Parasite scippa la vittoria al war movie 1917 e stabilisce un record. Premiati anche Joacquin Phoenix per il suo strepitoso Joker e Renée Zellweger per la sua crepuscolare Judy Garland.

È stata un’edizione di colpi di scena, ma anche di conferme quella che questa notte ha consegnato gli Oscar 2020 al Dolby Theatre di Hollywood, a Los Angeles. La sorpresa più grande è stata il trionfo della black comedy Parasite di Bong Joon Ho, film sudcoreano che ha portato a casa i premi più importanti: miglior film, miglior regia, miglior sceneggiatura e miglior film straniero. E così, questo piccolo gioiello entra di diritto nella storia del cinema. Non solo per i meriti artistici, ma anche perché si tratta del primo film non in lingua inglese a vincere nella categoria più “prestigiosa” degli Oscar: quella di miglior film. Una soddisfazione anticipata lo scorso anno da un altro record: Parasite era stato anche il primo film sudcoreano ad aggiudicarsi la Palma d’oro al 72esimo Festival di Cannes.

Parasite
Il film sudcoreano Parasite è il primo film straniero ad aver vinto nella categoria miglior film degli Oscar © Academy Two

Grande deluso di questa  92esima cerimonia degli Academy Awards è stato invece il super favorito della vigilia, 1917 . Il war movie di Sam Mendes, favorito sia per il miglior film che per la miglior regia, su 10 nomination si è portato a casa “solo” 3 statuette per le categorie tecniche.

Ampiamente previsti invece gli Oscar ai migliori attori protagonisti, andati a Joaquin Phoenix, per Joker, e a Renée Zellweger, per Judy. Stessa sorte per i migliori attori non protagonisti: Brad Pitt, per C’era una volta a… Hollywood, e Laura Dern, per Storia di un matrimonio.

oscar 2020 vincitori
Tre degli attori premiati agli Oscar 2020, Joaquin Phoenix, Renée Zellweger e Brad Pitt © Getty Images

Premiata per la miglior sceneggiatura non originale la favola nera sul nazismo Jojo Rabbit (candidato a 6 Oscar), tratto dal romanzo Il cielo in gabbia di Christine Leunens.

Gli Oscar 2020 saranno anche ricordati per il record personale di candidature ottenute da Netflix: ben 24 (anche se poi le statuette vinte sono state solo un paio). Il colosso del web ha così superato, almeno nelle nomination, tutte le altre major, decretando un vero e proprio “scontro epocale” tra il cinema classico e le produzioni nate sulle piattaforme streaming. Delle sue 24 nomination 10 sono andate a The Irishman, il gangster movie che ha incoronato Martin Scorsese “regista più candidato nella storia degli Oscar”. E anche se ieri sera il regista italo-americano è andato a casa mani vuote (come da previsioni), ha incassato la standing ovation del pubblico quando Bong Jon Ho, salendo a ritirare il suo Oscar, lo ha nominato definendolo “un modello”.

Premiato per il miglior montaggio e il miglior montaggio sonoro Le Mans ’66 – La grande sfida (Ford V Ferrari), con cui James Mangold racconta la storia vera di una rivalità che ha cambiato per sempre il mondo dell’automonbilismo.

Premiato anche Elton John per la miglior canzone originale di Rocketman(I’m Gonna) Love Me Again, che il cantante ha esguito sul palco degli Oscar 2020, seduto davanti a un pianoforte rosso.

Preannunciate anche le vittorie di Toy Story 4, come miglior film d’animazione e American Factory, come miglior documentario.

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Parasite, il film rivelazione dell’anno

Erano in molti a sperare nel “colpo gobbo” di Parasite per questa apparentemente “già scritta” edizione degli Oscar. Il favorito 1917 aveva già trionfato ai Golden Globes, che spesso sono “l’anticamera” degli Oscar. Invece l’Academy ha voluto riconoscere il merito di questo film, che è la vera rivelazione di questa stagione cinematografica, già ampiamente riconosciuta dalla critica internazionale. L’Academy lo ha riconosciuto, prima dandogli 6 nomination e poi premiandolo nelle categorie più ambite.

Attualmente nelle nostre sale, Parasite è un film da non perdere. Un thriller pieno di sorprese, che oltrepassa i generi con una maestria tecnica indiscutibile. Al centro c’è la lotta di classe, rappresentata dall’incontro tra due famiglie: quella dei Kim, appartenenti al livello sociale più basso, e quella dei Park, ricchi borghesi che vivono in una lussuosa villa. Definito un racconto per “stratificazione di piani fra ricchi e poveri”, Parasite prende vita tra i bassifondi dove vivono i Kim e la lussuosa villa dei Park, raccontando il subdolo introdursi dei primi nell’agiata vita dei secondi. Un film – di fatto – già entrato nella storia, grazie a un regista che è stato definito il maestro di un nuovo cinema.

E, curiosità, c’è anche un po’ di Italia nel film vincitore, che nella sua colonna sonora ha inserito la celebre canzone di Gianni Morandi In ginocchio da te.

Renée Zellweger Judy
Renée Zellweger ha vinto il suo secondo Oscar, grazie al ruolo d Judy Garland nel film Judy © Notorious Picture

Joaquin Phoenix e Renée Zellweger migliori attori protagonisti

Recentemente incoronati dai Bafta (gli “Oscar” britannici), Joaquin Phoenix e Renée Zellweger hanno trionfato anche ai 92esimi Academy Awards, rispettivamente per le loro interpretazioni in Joker e Judy.

Joaquin Phoenix: “Crediamo di essere al centro di tutto”

Le trasformazioni fisiche sono un asso nella manica agli Oscar. Anche stavolta l’Academy lo conferma, assegnando il premio allo strepitoso Joker di Joaquin Phoenix, che ha così portato a casa la sua prima statuetta dorata. Durante l’assegnazione del premio l’attore, ambientalista e vegano convinto, ha parlato di diritti che dovrebbero essere garantiti a tutti, e della prepotenza dell’uomo sulla natura e sugli animali. “Il dono più grande che mi ha dato il cinema – ha detto – è quello di poter dare voce a chi voce non ce l’ha. E’ arrivato il momento di iniziare a farci portavoce di altre cause”. E ancora: “Parliamo sempre di una razza che vuole prevalere sugli altri, penso che siamo diventati così disconnessi dalla natura e crediamo di essere al centro di tutto”.

Joker, la parabola sociale di un villain

Con Joker, il regista Todd Phillips (noto per le sue commedie e in particolare per la trilogia di Una notte da leoni), ha spiazzato tutti, firmando un cinecomic d’autore e reinventando uno dei villain più celebri dei fumetti. Uno sforzo che gli è valso il maggior numero di candidature di questa 92esima edizione (ben 11), e che lo ho portato a sbancare i botteghini internazionali (ha superato il miliardo di dollari d’incassi) e a diventare anche una sorta di fenomeno di costume (con le maschere di Joker e la scalinata del Bronx presa d’assalto dai fan). Premiato anche alla 76esima Mostra del Cinema di Venezia, va detto anche (a onor del vero) che Joker ha suscitato anche qualche polemica, per aver fatto di un personaggio come questo un ritratto troppo benevolo, sfociando addirittura un implicito incintamento alla violenza.

Ciò che la critica ha particolarmente apprezzato nel film è stata anche la scelta di puntare su un iperrealismo mai visto prima in questo genere. Per raccontare il passato del nemico di Batman, Phillips lo cala infatti in una Gotham-New York degli anni ’80, tracciando la parabola di un uomo che, prima di diventare carnefice, è anche la vittima di una società alienante, che lo emargina senza pietà. L’arma vincente del film è farci entrare in empatia con lui, permettendoci di comprendere il suo punto di vista. Merito della regia, sì, ma anche e soprattutto della magistrale interpretazione di Joaquin Phoenix.

Sul canale YouTube di Warner Bros. Italia è possibile vedere i primi 10 minuti del film.

Judy, il magistrale ritratto di una diva al crepuscolo

Sedici anni dopo il suo primo Oscar (quello come non protagonista di Ritorno a Cold Mountain), Renée Zellweger raddoppia, vincendo questa volta da protagonista. La sua interpretazione di una Judy Garland al tramonto della sua carriera ha raccolto consensi per tutta la award season (la stagione dei premi).

Ambientato nel 1968, Judy racconta l’ultima parte della vita della celebre bambina prodigio de Il mago di Oz, raccontando la verità celata dietro “l’arcobaleno” della celebre canzone Over the Rainbow.
Judy è ormai una diva in declino, che non ha nemmeno più una casa dove vivere. Consumata dai farmaci e dall’alcol e preda della depressione, la donna è costretta a cercare lavoro a Londra. Attraverso i flashback, il regista inglese Rupert Goold svela anche il “dietro le quinte” dell’infanzia della protagonista, fatta di privazioni e imposizioni da parte di un mondo adulto e di uno star system spietato, in cui l’ombra nera delle molestie esisteva già.

Brad Pitt e Laura Dern, migliori attori non protagonisti per C’era una volta a… Hollywood e Storia di un matrimonio

Anche per Brad Pitt e Laura Dern i Golden Globes si sono rivelati solo un propizio antipasto. La consacrazione definitiva per le loro interpretazioni nei “supporting role” di C’era una volta a… Hollywood (10 nomination) e Storia di un matrimonio (6 nomination) è arrivata al Dolby Theatre la scorsa notte.

E così il divo Brad si è portato a casa il suo primo Oscar da attore (ne aveva vinto uno, ma come produttore di 12 anni schiavo), mentre Laura Dern il suo primo in assoluto (dopo 3 nomination).

Brad Pitt nel film C'era una volta a... Hollywood
Brad Pitt, premiato come miglior attore non protagonista per nel film C’era una volta a… Hollywood © Sony Pictures

C’era una volta a… Hollywood, il potere catartico del cinema

Uno dei film più quotati per la vittoria (oltre a 1917 e Parasite) era C’era una volta a… Hollywood. Il nono (e forse penultimo) film di Quentin Tarantino, ha portato a casa 2 Oscar, su 10 nomination: oltre a quello di Pitt anche quello per la miglior scenografia, che ha premiato una minuziosa e “affettuosa” ricostruzione della Hollywood di quegli anni.

Per quella che, secondo le dichiarazioni del regista stesso, sarebbe la sua penultima pellicola, Tarantino firma un film un po’ nostalgico e ironico, che celebra la settima arte e con il quale ha scelto di “tornare a casa”. Precisamente nella Los Angeles di Pulp Fiction e di Jackie Brown. Questa volta l’anno è il 1969 e protagonisti sono una star televisiva in declino, interpretato da Leonardo DiCaprio, e il suo fedele stuntman, un Brad Pitt fenomenale grazie a un ruolo cucito su misura. Un duetto formidabile, in un film che ha entusiasmato larga parte della critica. Ma C’era una volta a Hollywood non è solo una storia sugli spietati meccanismi dello star system, è anche la cronaca rivisitata di uno dei fatti di cronaca nera più cruenti di quegli anni: l’omicidio di Sharon Tate. Un fatto tragico, che nelle mani di Tarantino prende nuovi risvolti. Perché, come Bastardi senza gloria e Django Unchained ci insegnano, con lui nemmeno la Storia è mai da dare per scontata.

Storia di un matrimonio (o meglio di un divorzio all’americana)

Considerato da alcuni come l’erede di Woody Allen, il regista newyorkese Noah Baumbach, torna ad esplorare le delicate dinamiche della fine di un amore (dopo Il calamaro e la balena) con il film Storia di un matrimonio (altra produzione targata Netflix). Attraverso la duplice prospettiva di un marito e di una moglie, il film riesce a coniugare con grande naturalezza dramma ed umorismo, esplorando le dinamiche che si innescano durante una separazione. A tenere insieme dolore, malinconia, sensi di colpa e rabbia sono l’ironia e il realismo, cuciti ad arte dal regista su una sceneggiatura fortissima e grazie a un cast straordinario. Su tutti i due protagonisti Scarlett Johansson e Adam Drivers (che tallonavano da vicino i favoriti all’Oscar Phoenix e Zellweger).

Grande merito, come dimostrato dai palmarès, va dato anche ai comprimari di lustro, a cui è affidata la parte più umoristica e sagace del film. Su tutti la vincitrice Laura Dern che, nei panni della spietata e scaltra avvocata divorzista della donna, rappresenta (insieme a Ray Liotta) lo spietato sistema giudiziario americano.

Jojo Rabbit, miglior sceneggiatura non originale alla favola nera sul nazismo

Se 1917 ci riporta nel bel mezzo del primo conflitto mondiale, per parlarci anche oggi dell’inutilità di una guerra di ieri, Jojo Rabbit, diretto dal neozelandese Taika Waititi (regista di Thor: Ragnarok), ci riporta alla seconda guerra mondiale per metterci in guardia dal fanatismo politico.

Un po’ satira dall’umorismo folle, un po’ romanzo di formazione, Jojo Rabbit è una favola nera e insieme una commedia politica, con cui il regista mette alla berlina le ideologie di estrema destra, demistificandole, fino a trasformare il suo principale esponente, Adolf Hitler, in una macchietta.

Il führer qui è lo strambo amico immaginario del piccolo protagonista, Jojo Betzler (il bravissimo Roman Griffin Davis), un bambino di 10 anni, ingenuamente affascinato dall’ideologia nazista e che si prepara a entrare nella gioventù hitleriana.
È così che il film ci permette di vedere il nazismo attraverso gli occhi innocenti di un ragazzino, che si affaccia all’adolescenza e che si trova a dover decifrare una realtà che è molto diversa da quello che appare. Soprattutto quando scopre che sua madre (Scarlett Johansson, nominata anche qui come non protagonista) nasconde in casa una ragazzina ebrea. Una commedia dolce-amara che spiazza, mettendo alla gogna i morbi mai sopiti (e più che mai in agguato) del razzismo, del sovranismo e del negazionismo.

1917, l’anti epica della guerra

Come detto, il grande deluso di questa edizione è stato 1917. Premiato sia ai Golden Globes che ai Bafta il film di Sam Mendes era dato dagli scommettitori come il super favorito, ma si è portato a casa “solo” 3 Oscar tecnici: fotografia, sonoro ed effetti speciali.

Un risultato che non deve però offuscare i tanti riconoscimenti ricevuti dal film, che grazie al suo straordinario livello tecnico rappresenta – in un certo senso – “il cinema all’ennesima potenza”. Un war movie in cui l’ambientazione bellica diventa solo lo scenario di un film d’azione e di avventura e in cui la desolazione dei luoghi diventa metafora della desolazione dell’anima. La storia, ispirata ai racconti del nonno del regista Sam Mendes, è ambientata sul fronte inglese del Nord della Francia, dove due giovani caporali sognano la fine della Grande Guerra, quando viene loro affidata una nuova – quasi impossibile – missione: raggiungere il fronte tedesco per consegnare un importante messaggio al comandante di un altro battaglione e salvare la vita di migliaia di uomini, inclusa quella del fratello di uno dei due. Ma la forza del film non è tanto nella trama in sé, quanto in una regia di altissimo livello tecnico, che inchioda allo schermo lo spettatore, trascinandolo con sé in piani sequenza spettacolari, con una sensazione mozzafiato di “presa diretta”. L’originalità del film è anche stata identificata nella sua scelta di spogliare la guerra di ogni epica, diventando una magistrale e attualissima denuncia di ogni conflitto violento. L’inutilità della guerra emerge attraverso un racconto minimalista e due protagonisti “anonimi”, che diventano portavoce silenziosi di tanti militi ignoti inghiottiti dal tempo.

Ecco l’elenco completo di tutti i vincitori agli Oscar 2020:

Miglior film: Parasite
Migliore regia: Bong Joon-Ho per Parasite
Miglior attore protagonista: Joaquin Phoenix per Joker
Migliore attrice protagonista: Renee Zellweger per Judy
Migliore attrice non protagonista: Laura Dern per Storia di un matrimonio
Miglior attore non protagonista: Brad Pitt per C’era una volta a… Hollywood
Migliore sceneggiatura originale: Parasite
Migliore sceneggiatura non originale: Jojo Rabbit
Migliore fotografia: Roger Deakins per 1917
Miglior montaggio: Le Mans ’66 – La grande sfida
Miglior scenografia: C’era una volta a… Hollywood
Migliori costumi: Piccole donne
Migliore colonna sonora originale: Joker
Migliore canzone originale: Rocketman
Migliore trucco e acconciatura: Bombshell
Miglior sonoro: 1917
Miglior montaggio sonoro: Le Mans ’66 – La grande sfida
Migliori effetti speciali: 1917
Migliore film d’animazione: Toy Story 4
Miglior film straniero: Parasite
Miglior documentario: American factory

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