
Le specie aliene invasive hanno un enorme impatto ecologico, sanitario, economico. Ma esistono delle strategie per tenerle sotto controllo.
Queste rare orche, che potrebbero appartenere ad una nuova specie, sono state osservate per la prima volta in natura dagli scienziati al largo di Capo Horn.
Gli oceani si confermano l’ultima grande frontiera inesplorata del pianeta, in grado di sorprenderci con l’esistenza di grandi creature ancora ignote alla scienza e di far correre la nostra fantasia, immaginando chissà quali meraviglie possano celarsi nei loro anfratti più remoti. A lasciarci a bocca aperta, questa volta, è stato il primo avvistamento nel suo habitat naturale di quella che potrebbe essere una nuova specie di orca. Al largo delle coste cilene, a un centinaio di chilometri da Capo Horn, lo scorso gennaio un gruppo di ricercatori ha infatti localizzato e osservato delle misteriose orche, differenti da quelle che conosciamo, chiamate orche di tipo D.
Vivono nell’oceano antartico, in quelle che sono definite tra le acque più inospitali del pianeta, caratterizzate da frequenti tempeste e perennemente solcate da violenti venti, e appartengono molto probabilmente ad una nuova specie di orca. Era il 1955 quando ci imbattemmo per la prima volta in un’orca mai vista prima, l’orca di tipo D, quando un intero pod si arenò su una spiaggia della Nuova Zelanda. Oltre alle differenze genetiche, che gli scienziati stanno attualmente studiando, le orche di tipo D presentano, rispetto alle altre orche, evidenti differenze morfologiche.
Sono di dimensioni sensibilmente più ridotte, hanno la testa più tondeggiante, simile a quella di un globicefalo, la pinna dorsale più stretta e appuntita e la macchia bianca vicino agli occhi è molto più piccola. Lo studio sullo scheletro di uno degli esemplari spiaggiati in Nuova Zelanda ha rivelato che le differenze genetiche tra le orche di tipo D e le altre sono piuttosto antiche e risalgono a circa 400mila anni fa. Per capire se si tratta di una nuova specie occorre però un campione di tessuto fresco, mai rinvenuto, almeno fino ad oggi.
Secondo Robert Pitman, biologo marino della National oceanic and atmospheric administration (Noaa) e coautore dello studio sullo scheletro di orca neozelandese, per molti anni i ricercatori, vista la scarsità di avvistamenti, hanno pensato che le orche di tipo D fossero il risultato di mutazioni genetiche. Indagando il ricercatore ha però scoperto che gli avvistamenti, in realtà, non erano così infrequenti. Per anni turisti e pescatori hanno infatti riferito di orche “dall’aspetto strano” avvistate nei mari sub-antartici. Sono spuntate anche diverse fotografie, a questo punto mancava solo che gli esperti le osservassero nel loro habitat.
Finalmente lo scorso gennaio ci sono riusciti, un gruppo di biologi, in collaborazione con il Centro di conservazione dei cetacei del Cile, è salpato da Ushuaia, in Argentina, a bordo della nave da ricerca Australis, dirigendosi verso la zona dove alcuni pescatori avevano avvistato di recente le orche, lamentandosi che gli animali rubavano il pesce dalle loro reti. Arrivati sul posto i ricercatori hanno gettato l’ancora restando in attesa. Dopo oltre una settimana la loro pazienza è stata premiata, un pod di circa 25 orche si è avvicinato incuriosito alla nave, consentendo agli scienziati di filmare i cetacei sia sopra che sotto il pelo dell’acqua e, ancor più importante, di prelevare l’agognato campione di tessuto (con una tecnica non invasiva e senza disturbare l’animale). “È stato come vedere un dinosauro o qualcosa del genere – ha commentato entusiasta Pitman – è uno di quei momenti per cui vivono i biologi”.
Grazie al campione prelevato ora gli scienziati potranno finalmente analizzare il Dna di queste orche per capire se si tratta effettivamente di una nuova specie. Le orche sono ancora ufficialmente considerate come un’unica specie, Orcinus orca, ma si ritiene che ve siano almeno quattro tipi, A, B, C e D, che differiscono soprattutto per abitudini alimentari, ma per rendere ufficiali le differenziazioni occorrono studi e analisi. “Siamo entusiasti delle analisi genetiche che effettueremo – ha commentato Pitman. – Le orche di tipo D potrebbero essere il più grande animale non ancora descritto rimasto sul pianeta e una chiara indicazione di quanto poco sappiamo della vita nei nostri oceani”.
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