Paul Gauguin, una vita in fuga

Dal romanticismo in poi il desiderio di essere artista diviene il simbolo di una rivolta, di una fuga, di un modo particolare di trovare se stessi.

Il suo nome non significa soltanto grande pittura, ma è il
simbolo dell’artista riottoso e provocatorio che si ribella alle
costrizioni della civiltà del suo tempo. Spirito romantico e
temperamento irrequieto, genio arrogante e uomo raffinato, sempre
in bilico tra la ricerca di un proprio stile artistico e di un
successo di critica delle sue opere non sempre seguito da quello
del mercato.

Una vita di stenti, umiliazioni e drammi familiari; di disagi
economici alternati a dolorosi periodi segnati dalla malattia e non
ultimo da un tentativo di suicidio. Un continuo errare da un luogo
ad un altro in cerca di ispirazione, di fortuna, ma soprattutto di
una esistenza semplice e primitiva. Dalla Bretagna a Panama ,
quindi in Martinica, poi ad Arles, ospite di Van Gogh.

Nel 1891 parte per Tahiti dove soggiorna a più riprese, poi
di nuovo in Francia dove cerca invano di vendere le sue tele,
quindi l’ultimo imbarco per i Mari del Sud. Per Gauguin, dipingere
diventa il valore primario e il cardine della vita; significa
sperimentare nuove dimensioni del vivere, soddisfare ansie di
assoluto. Il suo vagare altro non è che l’affannosa ricerca
di un “altrove” che conservi intatta tutta la sua
primitività da riportare sui suoi quadri e che non
può essere, quindi, la superficiale e odiata cultura
occidentale con i suoi valori dominanti: il denaro e il progresso.
Sia a Tahiti che a Hiva Oa, nelle isole Marchesi, si circonda di
seducenti vahinè, le stupende ragazze, poco più che
bambine, che gli faranno da compagne e modelle.

La storia e la leggenda di Gauguin si conclude nel 1903 a soli 55
anni ad Atuana, un piccolo villaggio sull’isola di Hiva Oa dove ha
condiviso la cultura polinesiana e l’esistenza semplice degli
isolani, schierandosi a loro favore contro il potere delle
autorità coloniali. Nel piccolo e solitario cimitero di
Atuana, dove riposa il grande artista, una semplice lapide ha come
epitaffio le stesse domande con le quale egli ha titolato una tela
bellissima e inquietante : Da dove veniamo? Cosa siamo? Dove
andiamo?

Un lavoro nato da uno stato di vaga sofferenza e sensazione
dolorosa di fronte al mistero incomprensibile della nostra origine
e del nostro avvenire. E forse un ammonimento oppure una disperata
esortazione all’umanità affinché non smetta di
“cercare”. Non lo sapremo mai. Di certo può essere
considerato il suo testamento spirituale.

Maurizio Torretti

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