Expo 2015

Perché la soia minaccia l’Amazzonia

Un dossier del Wwf mostra come la maggior parte della soia venga impiegata nell’alimentazione animale e come essa sia responsabile della distruzione della foresta amazzonica.

Pubblicato in occasione della Giornata mondiale dell’ambiente, il dossier Amazzonia nel piatto spiega come la foresta tropicale più grande del pianeta sia minacciata dalla coltivazione del legume un tempo conosciuto solo in Asia e che oggi viene coltivato, per la maggior parte, come mangime animale.

Da un lato c’è la costante crescita della superficie coltivata a soia, che ormai copre oltre 1 milione di chilometri quadrati: quasi la totalità dell’Europa settentrionale (Francia, Germania, Belgio, Paesi Bassi messi insieme). Produzione che ha visto un incremento del 123% in alcuni Paesi del Sud America in meno di dieci anni.

“La produzione di soia è la principale responsabile della deforestazione in Amazzonia, insieme con l’espansione dei pascoli per il bestiame allevato, agli incendi,al disboscamento legale e illegale, alla costruzione di strade asfaltate e al degrado causato dai cambiamenti climatici in atto”, dichiara Eva Alessi, responsabile sostenibilità del Wwf. “Il complesso di cause alla base della perdita della foresta è quindi connessa con le proprietà fondiaria, con la criminalità (diretta o tramite riciclaggio di denaro sporco ), con la povertà e la crescita della popolazione”.

Dall’altro c’è la destinazione d’uso del fagiolo dall’alto valore proteico: il Wwf stima che solo il 6 per cento di tutta la produzione globale sia destinato all’alimentazione umana, mentre che il 76 per cento venga utilizzato per quella animale. Pollame, suini, uova che finiscono nei nostri piatti quotidianamente.

La soia si mangia l’Amazzonia

I numeri riportati dal rapporto sono preoccupanti. “Ogni anno nell’area amazzonica vengono distrutti oltre 1,5 milioni di ettari ai quali si aggiunge anche il problema molto grave connesso al degrado della foresta stessa”, spiega Eva Alessi. Se fino a pochi anni fa l’area amazzonica era considerata inadatta, oggi grazie a selezioni colturali, la produzione è diventata conveniente anche in questi territori: la foresta viene abattuta per far posto alla soia e agli allevamenti di bestiame. E la domanda non si arresta: dei 270 milioni di tonnellate prodotti nel 2012, il 93 per cento proviene da Brasile, Stati Uniti, Argentina, Cina, India e Paraguay, mentre i principali importatori rimangono Cina ed Europa. Più la domanda si alza, più terra dovrà essere coltivabile: in totale la superficie dei terreni in Sud America dedicata alla soia è passata da 19 milioni di ettari nel 1990 a 46 milioni nel 2010.

 

“La produzione di soia è quindi stata identificata come una causa fondamentale per la conversione delle foreste, principalmente in Brasile e Bolivia. A questo vanno aggiunti gli impatti esterni della produzione di soia, come l’inquinamento dei corsi d’acqua da prodotti agrochimici e l’erosione del suolo , hanno anche avuto anch’essi un impatto sugli ecosistemi naturali”, sottolinea Eva Alessi.

 

Quanta soia abbiamo nel piatto?

Secondo quanto si legge nel dossier, per ogni chilo di prodotto animale, si usano dai 150 ai 500 grammi di soia, mentre è proprio l’aumento del consumo di carne in Paesi in via di sviluppo la causa principale dell’aumento costante della produzione. Tra il 1967 e il 2007 la produzione di carne di maiale è aumentata del 294 per cento, quella delle uova del 353 per cento, mentre il pollame è aumentato del 711 per cento.

 

Le proposte del Wwf

Secondo l’Ong è necessario che produttori e consumatori collaborino per la creazione di una filiera sostenibile. Produrre soia senza distruggere uno degli scrigni di biodiversità è possibile: da un lato lavorare verso un processo di certificazione della soia che preveda la tutela delle aree agricole e delle popolazioni che lì vivono.

 

Dall’altro si chiede una presa di coscienza da parte dei consumatori: diminuire allora il consumo di carne, latticini e uova in modo tale da tagliare la domanda di mangimi animali, evitare gli sprechi nelle nostre dispense, consumando il necessario e chiedere a gran voce un impegno chiaro da parte delle aziende produttrici.

 

“Abbiamo urgente bisogno di produrre soia in maniera più responsabile – conclude Alessi – o questi ecosistemi naturali di straordinaria importanza potrebbero andare persi per sempre, insieme con l’inestimabile biodiversità che ospitano e i servizi vitali che forniscono. Tutti abbiamo una responsabilità e un ruolo da svolgere nel contribuire a ridurre gli impatti ambientali negativi della produzione di soia”.

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