Dieta mediterranea

Carbonara day: com’è nata la pasta alla carbonara

Oggi è il carbonara day. L’International Pasta Organization ha avuto l’idea di indire una giornata per parlare di un piatto celebre italiano, la pasta alla carbonara. Risultato: trending topic #1 in Italia.

Una storia di pastori, di soldati e d’intorzamenti. La rievochiamo in occasione di un evento ideato su Twitter da Ipo (International pasta organization) e Aidepi (Associazione delle industrie del dolce e della pasta) per celebrare questa ricetta così amata in tutto il mondo. Per tutto il giorno, con l’hashtag #carbonaraday, blogger, food influencer, giornalisti e chef hanno detto la loro su questo piatto e più in generale sul rapporto tra tradizione e contaminazione in cucina.

Quando abbiamo chiesto a un’antropologa, Alessandra Guigoni, di raccontarci l’origine della pasta alla carbonara, ci ha scritto che molti dei piatti totemici della cucina italiana, ritenuti ancestrali, millenari, presenti nella cultura gastronomica del Belpaese “dalla notte dei tempi”, sono invece frutto di invenzioni piuttosto recenti:

Un esempio eclatante è la pastasciutta alla carbonara, gettonatissima dai turisti che visitano Roma, conosciuta, imitata e rivisitata in tutto il mondo. Pare che storicamente non si trovino tracce scritte antecedenti agli anni ’40 del Novecento: numerose sono le ipotesi relative alle origini, ma nessuna pare decisiva.

C’è chi chiama in causa i carbonai toscani tra i papabili inventori della ricetta, chi si richiama alla tradizione napoletana o abruzzese per la presenza di alcuni ingredienti tipici. C’è infine chi chiama in causa i soldati americani che, trovandosi a Roma durante la II guerra mondiale, prepararono una pastasciutta usando ingredienti a loro cari, egg and bacon appunto, che si amalgamarono perfettamente con cacio e pepe: nacque così l’idea per un nuovo piatto, che i cuochi italiani fecero propria. Un’altra versione, meno poetica, racconta che nel 1944 molti ristoranti romani compravano le “Razioni K” dei soldati americani, che contenevano uova e bacon disidratati, per condire le pastasciutte e tenere aperti così i locali: allora era tutto razionato, e al mercato nero a carissimo prezzo.

La storia dell’origine della carbonara, un piatto così iconico e simbolico, non è ancora del tutto chiarita. L’uso dell’uovo in cucina insieme al formaggio appartiene ovviamente da secoli alle usanze dell’Italia settentrionale e centrale. E la pasta cacio e pepe si prepara da tempo immemorabile, dunque l’aggiunta di uovo e le modalità di preparazione ne sono una probabile evoluzione.

L’antenata della carbonara: cacio pepe e ova

Già nel ‘700 la pasta condita semplicemente con del formaggio era diffusa in buona parte del Belpaese e in ‘Viaggio in Italia’ Goethe, descrivendo la cucina di Napoli, accenna: “I maccheroni si cuociono per lo più semplicemente nell’acqua pura e vi si grattugia sopra del formaggio, che serve ad un tempo da grasso e da condimento”. In quel tempo i pastori dell’agro si portavano in bisaccia cacio, pepe e spaghetti essiccati. Tra i pomodori secchi e il guanciale di maiale essiccato c’era spazio anche per qualche fetta di pecorino, un sacchetto di pepe nero in grani e qualche manciata di spaghetti essiccati preparati a mano con acqua, sale e farina. Il pepe nero stimola direttamente i recettori del calore e aiutava i pastori a proteggersi dal freddo, il pecorino stagionato si conserva a lungo e la pasta garantisce un apporto di carboidrati e dunque di calorie.

La nascita della carbonara: “Fuori c’era la guerra…”

È dunque accettabile l’idea che la ricetta antesignana sia la pasta con formaggio, pepe e uova – il cui nome originale è “cacio pepe ova”, uno dei piatti più antichi della storia della cucina povera, dalle origini campane e diffusasi nel Lazio.

Così scrive in Uomini e pecore (Edt) Davide Enia:

Fuori c’era la guerra e c’era freddo e casa era lontana e allora vaffanculo: presero pancetta e guanciale e, tra i singhiozzi, ‘it’s like our home’, dissero, chiesero il permesso e misero in padella pancetta e guanciale, sotto lo sguardo attento di Gomena. Stavano provando a riprodurre quello che – imparai nel tempo – chiamavano l’American breakfast, uova e bacon assieme. Abbrustolita la carne, con enorme tatto, senza nascondere imbarazzo, i militari chiesero a Gomena se potevano aggiungere, nei loro piatti, la carne alla sua cacio e ova, ‘it’s like our home’, mormoravano, ‘if you don’t want to taste, we understand’.

“E pancetta e guanciale furono portate a tavola. Fuori c’era la guerra…”. Dalla fame, dalla guerra e dall’incontro tra due mondi, quello americano e quello romano, nasce una ricetta straordinaria, inimitabile, ennesimo esempio di sincretismo alimentare.

La ricetta originaria è stata canonizzata per poi subire parecchie varianti, dagli spaghetti ai tonnarelli. Il piatto, diffusosi negli anni dalla campagna laziale fino ai monti abruzzesi e umbri, si è tramutato da pasto frugale a piatto tipico delle osterie romane. Anzi, si dice che gli osti di allora si premurassero di servire una cacio e pepe secca e stopposa in modo da favorire gli affari. Il piatto, infatti, doveva “intorzare”, come si dice in romano, cosicché i clienti avessero bisogno del vino per mandar giù la pasta. Più cacio e pepe mangiavano, più vino bevevano.

Patacche alla carbonara

Oggi, dopo il risotto, la ricetta nostrana più travisata all’estero è senz’altro la pasta alla carbonara: si trovano online ricette – patacca con panna, cipolla, prosciutto cotto, pancetta a cubetti o salsiccia piccante, prezzemolo, tuorli crudi e uova fritte. Se è vero che probabilmente la carbonara è dunque frutto di una suggestiva (e sugosa) contaminazione culturale, con i soldati americani che hanno unito i loro ingredienti a un nostro vecchio piatto, non c’è dubbio che oggi i modi in cui tutti pasticciano, storpiano e rifanno le nostre ricette può far sorridere (o inorridire).

 

Altro discorso è invece la sacrosanta creazione di varianti, come le innumerevoli ricette di carbonara verde, vegetariana o vegana ritrovabili online. La cucina, come il linguaggio di una nazione, è una cosa viva. Le rivisitazioni della carbonara, dai fratelli Costardi a Marco Sacco con la sua carbonara alla koque (tagliolini fatti a mano, prosciutto della Val Vigezzo al posto del guanciale, una salsa a base di tuorli d’uova, Grana e gin) fino a Claudio Sadler — sono omaggi, tributi, segnali della forza e della vitalità di una cultura gastronomica. Tutta racchiusa, anzi, intorzata in un piatto.

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