
Per la prima volta, in Cina il calo delle emissioni di CO2 sono correlate alla crescita di energia rinnovabile. Che viene finanziata anche all’estero.
Colata a picco la petroliera che da giorni era in fiamme al largo di Shangai. Ora si teme per gli enormi danni sull’ambiente causati da eventuali perdite di petrolio.
È affondata la petroliera iraniana Sanchi che il 6 gennaio era entrata in collisione con un mercantile di Hong Kong nel mar Cinese orientale a 160 miglia (circa 250 chilometri) dall’estuario del fiume Yangtze. Ormai abbandonata qualsiasi speranza di recuperare i 29 membri dell’equipaggio che risultano dispersi dal giorno dell’incidente. Due dei 31 membri dell’equipaggio erano stati ritrovati senza vita sabato scorso nei pressi della petroliera. L’annuncio è stato dato dall’emittente televisiva britannica Bbc, che cita fonti iraniane.
“I membri dell’equipaggio della nave sono stati uccisi durante la prima ora successiva all’incidente a causa della potenza dell’esplosione e dei fumi di gas”, ha detto il portavoce della squadra di soccorso istituita dall’Iran, Mohammad Rastad, alla televisione di Stato.
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Ora la paura è per un enorme danno ambientale. La petroliera trasportava 136mila tonnellate di petrolio ultra light, potenzialmente più pericoloso del greggio in caso di sversamenti in mare. Questo tipo di petrolio, infatti, evapora più facilmente e con altrettanta facilità si miscela con l’acqua. Inoltre può essere incolore e inodore e rendere così le operazioni di raccolta e pulizia molto più difficili. La petroliera Sanchi era di proprietà della National Iranian Tanker Company (Nitc) e batteva bandiera panamense.
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