A ogni animale la sua intelligenza. Alla scoperta delle menti non umane

Il tema della cognizione animale sta vivendo una vera rivoluzione e stiamo finalmente scoprendo quanto sia vasta l’intelligenza degli animali. Di intelligenze non umane si è parlato in occasione delle Giornate internazionali di studio sulla relazione uomo-animale organizzate da Siua.

L’uomo ha ritenuto a lungo, e in molti casi continua a ritenere, l’intelligenza una sua peculiare qualità e in nome di questa presunta superiorità intellettiva e morale ha soggiogato le altre creature con cui condivide il pianeta. Per la maggior parte del Novecento l’attribuzione di capacità cognitive ed emotive agli animali era considerata assurda e ascientifica e tanti studiosi si sono opposti con fermezza a tali teorie, ritenendo gli animali come automi stimolo-risposta dotati geneticamente di istinti utili. Per alcune specie la rivalutazione è estremamente recente, “nel 1992 solo settantadue articoli parlavano dell’apprendimento dei pesci; dieci anni dopo ce n’erano cinquecento (oggi si arriva a seicentoquaranta). Per nessun altro animale abbiamo rivisto così in fretta e così radicalmente le nostre conoscenze”, ha scritto Jonathan Safran Foer nel libro Se niente importa. Queste convinzioni sono state demolite con audacia da pensatori e scienziati dalle larghe vedute, grazie a loro oggi sappiamo che, ad esempio, cornacchie e polpi possono riconoscere le facce umane, che i pesci sanno passare le informazioni apprese da una generazione all’altra e che le scimmie possono imparare dagli errori dei propri simili.

Pipistrello in volo di notte
“Il pipistrello lavora su un immenso apporto di dati sensoriali – scrive l’etologo de waal. – La sua corteccia uditiva valuta i suoni che rimbalzano sugli oggetti, dopodiché usa questa informazione per calcolare la propria distanza dal bersaglio, nonché il movimento e la velocità del bersaglio stesso” (Photo by: Arterra/UIG via Getty Images)

Menti non umane

Proprio di menti animali si è parlato a Bologna, in occasione delle Giornate internazionali di studio sulla relazione uomo-animale organizzate dalla Scuola di interazione uomo animale (Siua), fondata dal zooantropologo Roberto Marchesini. L’edizione del 2016, svoltasi il 29 e 30 ottobre scorsi, era dedicata in prevalenza alla cognizione animale, sottolineando come sia errato mettere a confronto l’intelligenza umana e l’intelligenza animale utilizzando noi stessi come pietra di paragone. Tra gli ospiti dell’evento figuravano Alberto Giovanni Biuso, professore di Filosofia teoretica dell’università di Catania, il filosofo ed etologo francese Dominique Lestel, Andrea Romeo, dottore di ricerca in Scienze umane dell’università di Catania, Thomas Lepeltier, storico e filosofo della scienza, Giulia Innocenzi, ideatrice e conduttrice del programma televisivo Animali come noi e Francesca Michelini, insegnante di filosofia all’università tedesca di Kassel.

Roberto Marchesini e Giulia Innocenzi
Roberto Marchesini, fondatore della Scuola di interazione uomo animale (Siua) con Giulia Innocenzi, autrice del programma inchiesta sugli allevamenti intensivi Animali come noi © Siua

L’era dell’antropocentrismo

“Viviamo in un’epoca di costante distruzione del mondo vivente – ha dichiarato Roberto Marchesini introducendo il convegno – uno dei problemi principali del nostro tempo è l’antropocentrismo. In questa società basata sull’individualismo diventa fondamentale riscoprire il rapporto con gli altri, mettendo in discussione il nostro egocentrismo, sia personale che di specie”.

Una pluralità di intelligenze

Quello che emerge chiaramente dal convegno è che non esiste un’unica forma di intelligenza, ogni specie ha una peculiare struttura cognitiva che spesso non riusciamo a comprendere perché riteniamo questi processi mentali basati su degli automatismi anziché su una vera intelligenza. “Pensare l’uomo come coscienza separata dallo spazio e dal mondo è un’astrazione assoluta – ha dichiarato Alberto Giovanni Biuso. – L’umanità non è la controparte dell’animalità, ne rappresenta una specificità. Non ha senso chiedersi quale è l’animale più intelligente poiché basiamo questa domanda su un unico modello di intelligenza”.

Superare specismo e umanismo

Secondo Biuso “dobbiamo smetterla con questa ossessione gerarchica, la materia ha stadi differenti, non possiamo affermare che una roccia sia inferiore a uno scoiattolo o uno scoiattolo inferiore a un uomo. Abbiamo paura dell’animale che noi stessi siamo, è una paura atavica, basata sulla necessità di marcare il territorio e stabilire una gerarchia differenziandoci dalle altre specie. Dobbiamo superare questo concetto di centralità, ci troviamo in un labirinto e non c’è alcun centro”.

Zoo-futurismo

Dominique Lestel, filosofo ed etologo che indaga da anni la relazione tra umani e animali, ha colto l’occasione per presentare al pubblico una nuova corrente di pensiero, lo Zoo-futurismo. “Con questo termine si intende l’animalizzazione dell’essere umano – ha spiegato – è una posizione al contempo filosofica e artistica in corso di elaborazione. Si tratta in particolare di riattivare la nostra animalità esplorando le capacità che noi abbiamo ricevuto dalla nostra storia filogenetica e che abbiamo perso o non abbiamo avuto l’occasione di sperimentare fino in fondo in quanto Homo sapiens”.

Rivalutare l’antropomorfismo

L’antropomorfismo, ovvero l’impulso ad attribuire tratti umani agli altri animali, è stato a lungo considerato come assolutamente ascientifico ed è stato spesso usato per contestare qualsiasi comparazione tra uomo e animali. Anche questo assunto sembra però meno saldo che in passato. “Considerare il vivente come un essere che interpreta l’ambiente rivaluta in qualche modo l’antropomorfismo – ha affermato Francesca Michelini. – La scienza moderna ha completamente alienato l’uomo dalla natura e dalle altre specie, secondo il filosofo Hans Jonas, invece, l’antropomorfismo è inaggirabile, non possiamo essere osservatori neutrali. Negare l’antropomorfismo significa alienare definitivamente l’essere umano dalla sua animalità”.

Vespa del genere Polistes
Le vespe del genere Polistes sono in grado di riconoscersi l’un l’altra tramite i peculiari segni facciali gialli e neri. Questo tipo di riconoscimento facciale è indispensabile per la loro vita sociale (Photo by Alfred Schauhuber/McPhoto/ullstein bild via Getty Images)

Accettare l’intelligenza degli animali

“Prima di domandarci se gli animali posseggano o meno un certo tipo di intelligenza, specialmente quella che tanto apprezziamo in noi stessi, dobbiamo superare la nostra resistenza interna anche solo a considerare questa possibilità”, ha giustamente osservato il primatologo olandese Frans de Waal. Oggi, forse, siamo pronti per aprirci alle altre intelligenze e ad avventurarci in un territorio ancora largamente inesplorato, quello delle menti non umane.

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