Naturale, confortevole, equilibrata: ecco la casa dei bioarchitetti

L’abitazione ideale dei bioarchitetti è concepita secondo un approccio olistico che tiene conto non solo dell’impatto ambientale ma anche di ogni possibile ripercussione sulla salute degli inquilini, privilegiando materiali naturali non trattati e riducendo i danni dei campi elettromagnetici, delle esalazioni inquinanti o delle superfici troppo lucide.

Ritorno alle origini, essenzialità primigenia, eclissi delle sovrastrutture, impeccabile salubrità dell’interazione tra inquilino e fabbricato: sono soltanto alcune delle parole d’ordine che supportano l’imperativo categorico della sostenibilità nell’ambito di quella disciplina tuttora pionieristica e ancora relativamente poco nota al grande pubblico che risponde al nome di bioarchitettura.

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Nella bioarchitettura l’attenzione all’ambiente si coniuga alla ricerca di un equilibrio psicofisico ideale

Un orientamento professionale che, almeno in Italia, si declina prevalentemente al femminile, all’insegna di una pacata ma inesorabile determinazione nel prendersi cura della relazione tra lo spazio abitato e l’essere umano che vi dimora, coniugando l’attenzione all’ambiente con la ricerca di un equilibrio psicofisico ideale.

L’architetto come medico dello spazio e gli inquilini come sismografi viventi

“Bisogna partire dal presupposto che i luoghi abitati condizionano significativamente lo stato di salute delle persone che vi risiedono”, esordisce Isabella Goldmann, professionista italo-olandese con studio a Milano. “Non è un caso che Platone attribuisse all’architetto addirittura la definizione di ‘medico dello spazio’, ossia di vero e proprio scienziato dotato di approfondite conoscenze di fisica e chimica: d’altra parte noi esseri umani siamo organismi biologici che a contatto con l’ambiente producono specifiche reazioni neurologiche, come degli autentici sismografi viventi.

Il bioarchitetto si propone pertanto di congegnare un equilibrio che tenga conto dei campi magnetici, delle onde sonore e delle esalazioni dei materiali“. Un approccio olistico che evoca esplicitamente la lezione di Rudolph Steiner e, con essa, l’aspirazione ad un’armonia complessa a 360 gradi.

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La spirale aurea o curva di Fibonacci è un rapporto numerico esistente in natura da cui traggono ispirazione i bioarchitetti.

“Ciò che conta nel nostro mestiere è il cosiddetto ‘percepito di benessere’ di chi dimora in un determinato spazio” puntualizza l’architetto Goldmann. “Esistono variabili influenzate dalle specifiche estrazioni culturali, quali ad esempio il minimalismo congenito dei giapponesi o l’opulenza degli arabi, come del resto i differenti significati che i vari popoli attribuiscono a certi colori o dettagli. Ma al di là di tali riferimenti mutevoli, bisogna tener conto di alcuni dati fisiologici universali, che prescindono dalle etnie o dalle tradizioni: i campi elettromagnetici, così come i tessuti trattati con sostanze inquinanti o le superfici lucide esposte ad un’altezza corrispondente alla parte bassa della retina, esercitano effetti nocivi su tutti gli umani, e sono dunque da evitare”. E con simili presupposti l’idea di confortevolezza non può che essere sintetizzata da un simbolo decisamente sui generis: “Io farei coincidere il comfort con la spirale aurea” afferma infatti Isabella Goldmann “ovvero con quel rapporto numerico, altrimenti noto come curva di Fibonacci, che caratterizza la disposizione dei petali della rosa, la struttura dei buchi neri o anche la semplice forma di una chiocciola”.

Un equilibrio virtuoso tra natura, architettura e aggregazione sociale

L’autosufficienza energetica è un altro degli ambiziosi obiettivi della bioarchitettura, secondo Tiziana Monterisi, professionista attiva a Biella: “Cerco di ovviare all’uso di materiali petrolchimici e prediligo le energie alternative, come quelle derivanti dal vento o dall’uso di un piccolo impianto fotovoltaico installato ad hoc. Attraverso la mia casa, ristrutturata con materiali naturali prevalentemente derivati dalla paglia e dagli scarti della produzione del riso, provo infatti a dare il buon esempio ai clienti che si rivolgono a me, attuando l’idea di un’abitazione bioclimatica, che si riscalda col sole, senza ricorrere all’uso del gas ma limitandosi all’impiego di un boiler ad alto rendimento, realizzato in fibra di carbonio, solo per l’acqua calda sanitaria.

Per il resto, utilizzo legno non verniciato ma lucidato con olio di lino, che è anche la mia fibra tessile preferita. D’altronde il mio concetto di comfort si identifica precisamente col verde pastello, ovvero con la volontà di ricreare la presenza silenziosa della natura e delle piante anche laddove esse non siano fisicamente disponibili”.

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La paglia compressa è uno dei materiali naturali prediletti dai bioarchitetti.

Forte di un collaudato sodalizio professionale con l’artista contemporaneo Michelangelo Pistoletto, l’architetto Monterisi ritiene che la bioarchitettura e le sue attività collaterali possano svolgere una funzione non solo culturale ma anche sociale ed aggregativa: “A Milano abbiamo dato vita ad un progetto intitolato ‘Coltivare la città’, che include anche iniziative destinate ai pensionati per incoraggiarli a piantare orti sui tetti dei palazzi meneghini”.

I bioarchitetti e la sostenibile confortevolezza dei materiali naturali

“Una delle principali sfide della bioarchitettura consiste nel conciliare l’uso di materiali rigorosamente naturali, quali argilla, legno o paglia pressata, con un design contemporaneo ed esteticamente pregevole“, afferma Margareta Schwarz, che dal suo studio in provincia di Bolzano tiene a sottolineare la propensione verso uno stile capace di emanciparsi dagli stereotipi talvolta piuttosto folkloristici delle abitazioni tirolesi e altoatesine. “La massima espressione del comfort si concretizza secondo me in una stanza trattata con intonaco di argilla” aggiunge l’architetto Schwarz. “Tale sostanza, grazie al suo elevato potere traspirante, regola automaticamente il tasso di umidità di un luogo e regala frescura in estate, evitando al tempo stesso tutti gli inconvenienti degli intonaci tradizionali, che producono eccesso di condensa e di cariche elettrostatiche”.

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L’utilizzo dell’intonaco di argilla conferisce particolari benefici in termini di comfort e salubrità.

E sulle diffidenze tuttora pervicaci del mercato edile nei confronti dei materiali naturali, pur così salubri ed ecologici, la Schwarz ha le idee chiarissime: “Con ogni probabilità il vero problema sono i costi troppo bassi, che non consentono margini di profitto sufficientemente elevati per gli imprenditori che costruiscono: è d’altronde risaputo che alcune lobby del settore tendano nettamente a privilegiare le materie prime industriali. Come se non bastasse, gli artigiani e le maestranze coinvolte in progetti di bioarchitettura incontrano numerose complicazioni burocratiche connesse a tutte le certificazioni e autorizzazioni specifiche richieste per avvalersi dei materiali non trattati che utilizziamo noi”. Il percorso verso la diffusione su larga scala di un’architettura integralmente sostenibile resta dunque ancora lungo e tortuoso, pur avendo già arruolato molti appassionati promotori.

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