Niente servizi fotografici, solo disegni: il numero di gennaio di Vogue Italia per il clima

È un numero speciale e, come tale, unico, quello di gennaio di Vogue Italia: per ridurre l’impatto ambientale, la moda viene raccontata senza servizi fotografici, ma con illustrazioni e disegni di 8 artisti.

“150 persone coinvolte. Una ventina di voli, una decina di treni. 40 macchine a disposizione. 60 spedizioni internazionali. Almeno 10 ore di luci accese ininterrottamente, alimentate in parte da generatori a benzina. Scarti alimentari dei catering. Plastica per avvolgere gli abiti. Corrente per ricaricare telefoni, macchine fotografiche…”.

Sembra un’ammissione di colpa l’inizio dell’editoriale di Emanuele Farneti, il direttore di Vogue Italia. Comincia con una serie di numeri, approssimati per difetto, che danno un’idea di cosa significhi pubblicare una rivista di moda – non una qualunque, ma il numero di settembre 2019, il più corposo dell’anno –, dell’impatto ambientale di un servizio fotografico, dei viaggi, degli spostamenti, delle spedizioni necessarie alla realizzazione di ogni copia.

Che il settore moda, spesso e volentieri, non sia né etico né sostenibile, non è una novità: a dettare legge, nella maggior parte dei casi, è il mercato, a scapito del buonsenso. Ma ogni tanto arriva qualcuno che, chiamando in causa “l’onestà intellettuale”, spera di fare la sua parte. Ma non basta.


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Vogue Italia di gennaio

Nel nome della sostenibilità, infatti, Vogue Italia ha deciso per il numero di gennaio di raccontare la moda senza fotografia – risparmiando quindi su costi e sprechi – affidando il racconto a otto artisti che, con diverse tecniche, hanno illustrato e disegnato copertine e storie all’interno del magazine: Yoshitaka Amano, Vanessa Beecroft, Gigi Cavenago, Delphine Desane, Milo Manara, Cassi Namoda, David Salle e Paolo Ventura.

I disegni e le illustrazioni sono accompagnati dalla certificazione: “No photoshoot production was required for the making of this issue” (Questo numero è stato realizzato senza alcun servizio fotografico). L’iniziativa piace sicuramente, peccato che, per ora, sia un numero speciale e, in quanto tale, non avrà seguito. Viene allora da interrogarsi sul senso di questo “gesto piccolo, però concreto” – per usare le parole di Farneti – se poi da febbraio si torna a quella serie di numeri elencati all’inizio di questo articolo?

 

 

 

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“María in Gucci” 11×14 acrylic on paper , the cover of this Vogue Italia! Many thanks to @ferdinandoverderi @vogueitalia @gucci @efarneti @karenwisdom_ Un post condiviso da Namoda (@cas_namoda) in data:

“C’è un solo servizio scattato questo mese – continua il direttore nell’editoriale –, che è qui perché opera di due fotografe di 17 anni: sono gli occhi del domani prestati al nostro presente”. Tutto ciò che è stato risparmiato da questa operazione verrà devoluto a finanziare un progetto concreto: contribuire al ripristino della Fondazione Querini Stampalia di Venezia e del suo archivio fortemente danneggiato dall’acqua alta degli ultimi mesi.

I disegni e le illustrazioni degli artisti

Il gesto segue la dichiarazione globale di dicembre, condivisa da tutti i 26 direttori delle edizioni della testata nel mondo, che enuncia i valori di Vogue, atti a “promuovere le diverse culture e preservare il nostro Pianeta per le generazioni future”.

Vogue Italia
La dichiarazione globale di Vogue è stata sottoscritta dai direttori di tutte le edizioni della testata nel mondo e ne enuncia i valori da rispettare © Vogue

Così su una delle cover troviamo il disegno di Cassi Namoda che ritrae la modella Ambar Cristal Zarzuela con un maglione di cotone a righe, pantaloni di lana pied-de-poule di Gucci, mentre piange, con una zanzara grondante sangue accanto a lei.

Milo Manara, il padre dell’erotismo a fumetti, ritrae il David di Michelangelo in versione femminile: Olivia Vinten, sguardo fiero, indossa un top di chiffon con inserti di pizzo, spalline in pelle con fibbia motivo G, choker di pelle, guanti di latex e frustino con manico di pelle, tutto di Gucci. Vanessa Beecroft, una delle artiste italiane più note sulla scena internazionale, collaboratrice di Kanye West, ha raffigurato una modella che indossa un abito plissé in organza.

 

 

 

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E poi ancora Yoshitaka Amano illustra la copertina con Lindsey Wixson in abito di seta e choker di pelle; e la modella olandese Felice Nova Noordhoff compare in abito smanicato e top con frange sulla cover dell’artista italiano Paolo Ventura.

“La sfida era quella di mettere in discussione il ruolo della fotografia come unico metodo di rappresentazione della moda e, con essa, il processo produttivo che la accompagna”, spiega il direttore creativo di Vogue Italia Ferdinando Verderi.

E se non c’è settore oggi che non si chieda cosa può fare, o smettere di fare, in nome della difesa dell’ambiente, sarebbe confortante vedere singole iniziative in grado di gettare le basi per un modello produttivo nuovo. Che abbiano la forza di cambiare – soprattutto se hanno una “audience di oltre 268 milioni di lettori” – e che non siano solamente progetti una tantum.


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Gli obiettivi di Condé Nast 

A onor del vero Condé Nast, casa madre non solo di Vogue ma anche di pubblicazioni come GQ, Vanity Fair e The New Yorker, a novembre dello scorso anno è stata la prima media company ad aver sottoscritto il Fashion industry charter for climate action – che ad oggi conta le firme di più di quaranta brand –, lanciato dalla Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici nel dicembre del 2018. Gli obiettivi preposti – ridurre le emissioni di gas serra del 30 per cento entro il 2030 e diventare carbon neutral entro il 2050 – riflettono quelli dell’Accordo di Parigi che, ricordiamo, intende limitare la crescita della temperatura media globale “ben al di sotto dei due gradi centigradi”, entro la fine del secolo, rispetto ai livelli pre-industriali.

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Condé Nast comincia dunque con la plastica monouso che avvolge i suoi magazine e la mette al bando, in favore di una plastica compostabile e biodegradabile (Vogue Italia sarà una delle prime pubblicazioni ad adottare questa misura). Non solo: nell’ottobre 2018, l’azienda ha sottoscritto il New plastics economy global commitment della Ellen MacArthur foundation; ha promesso di pubblicare una valutazione dell’impatto delle sue operazioni a inizio 2020, nonché di promuovere la sostenibilità e il riciclo degli indumenti, ma anche l’uso di materiali innovativi e di tecnologie in grado di contribuire a diminuire l’impronta della moda sull’ambiente.

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