Perché la pesca a strascico causa emissioni di CO2 come il trasporto aereo

La pesca a strascico è causa di emissioni di CO2 tanto quanto il trasporto aereo. Una nuova ricerca pubblicata su Nature spiega il perché.

I fondali marini sono la più grande riserva di carbonio organico del pianeta. Se lasciata integra, il carbonio può rimanere immagazzinato nei sedimenti oceanici per millenni. Tuttavia, uno studio recentemente pubblicato sulla rivista scientifica Nature lancia l’allarme sulle conseguenze negative della pesca a strascico condotta a scapito di mari e oceani e, quindi, sull’ecosistema dell’intero pianeta.

Coralli morti sul fondale marino alle Maldive © Carl Court/Getty Images

Le attività di pesca invasiva inquinano gli oceani

Nelle attività pesca a strascico, uno dei metodi più diffusi al mondo, le imbarcazioni trascinano reti sul fondo del mare. Questa pratica estensiva provoca la distruzione dei fondali e della biodiversità: le reti, infatti, non selezionano il pescato, ma raccolgono tutto ciò che incontrano, tra cui anche specie non commestibili, che spesso muoiono. L’azione meccanica delle reti non è solo dannosa per le forme di vita che popolano i fondali marini, ma va anche ad intaccare i sedimenti di carbonio, rilasciandoli nell’acqua e innescando un processo di emissione di anidride carbonica (CO2).

Il rilascio della CO2 contenuta nei fondali aumenta l’acidità degli oceani e riduce la loro capacità di assorbirne dall’aria, dall’atmosfera. Gli oceani assorbono buona parte dei gas serra emessi in atmosfera dalle attività umane, limitando gli effetti del riscaldamento globale. Tuttavia, il rilascio di CO2 causato dalla pesca a strascico unito all’aumento della concentrazione di CO2 in atmosfera, intacca la capacità di stoccaggio, il ruolo di filtro degli oceani dando vita a un circolo vizioso.

Lo studio pubblicato su Nature ha monitorato attraverso l’analisi satellitare l’attività di pesca a strascico industriale tra il 2016 e il 2019. Secondo le analisi dei ricercatori, la distruzione del fondale marino dovuta a questo metodo di pesca invasivo ha causato l’emissione di circa 1,47 miliardi di tonnellate di anidride carbonica durante il primo anno di monitoraggio. Mediamente, invece, la pesca a strascico negli oceani dovrebbe provocare l’emissione tra le 600 milioni e le 1,5 miliardi di tonnellate di anidride carbonica all’anno, numeri molto simili alle emissioni prodotte dal trasporto aereo nel 2019, pari a 918 milioni tonnellate, scrive il quotidiano britannico Guardian.

L’Italia, insieme a Cina, Russia, Regno Unito, Danimarca, Francia, Paesi Bassi, Norvegia, Croazia e Spagna, è tra i primi dieci paesi responsabili delle maggiori emissioni di gas serra collegate alla pesca a strascico.

Proteggere gli oceani significa aumentare la biodiversità

I ricercatori che hanno condotto lo studio hanno identificato aree marine i cui ecosistemi sono maggiormente esposti alle minacce delle attività umane e li hanno mappati per offrire ai governi un progetto pratico da implementare per creare aree protette.  

Allo stato attuale, le proposte per rendere gli oceani aree protette riguardano solo il 7 per cento della superficie e solo il 2,7 per cento delle masse oceaniche sono effettivamente sotto protezione. Per eliminare il 90 per cento dei rischi connessi all’emissione dell’anidride carbonica dovuto alla pesca a strascico, sarebbe necessario proteggere solo 4 per cento degli oceani, principalmente all’interno delle acque nazionali.

Il quindicesimo summit sulla biodiversità delle Nazioni Unite (Cop 15) si terrà quest’anno a Kunming, in Cina, alla fine di maggio e dovrebbe portare a un accordo globale per proteggere almeno il 30 per cento degli oceani entro il 2030. I risultati dello studio pubblicato su Nature danno credito a questo obiettivo e suggeriscono che un aumento sostanziale della protezione degli oceani potrebbe non solo favorire la biodiversità, ma anche aumentare il rendimento delle attività di pesca fino ad otto milioni di tonnellate all’anno. 

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