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Plastiche, rifiuto o risorsa? Il design scende in campo a favore di un (ri)utilizzo intelligente
Perché invitare a consumare meno è importante ma non è sufficiente. Serve un cambiamento culturale, e il design può giocare un ruolo fondamentale nel trasformare il nostro approccio alle materie plastiche.
Usiamo quelle intelligenti, facciamole durare a lungo e disegniamo un futuro anche estetico per il loro fine vita. Potrebbe essere questo l’incipit che riassume il ruolo che il mondo del design sta cercando di assumere a favore di quel cambiamento culturale necessario affinché si possano ridurre gli impatti sociali e ambientali che l’utilizzo irresponsabile di certe materie plastiche ha prodotto negli anni.
Il ruolo del design per far fronte all’emergenza plastica
Certamente il design non può risolvere da solo la questione quantitativa derivata da scelte industriali miopi e dall’assenza di politiche di recupero e riciclo, se è vero che sugli oltre 90 miliardi di tonnellate di materie prime (minerali, combustibili fossili, metalli e biomassa) consumate ogni anno nel mondo solamente il 9 per cento viene riutilizzato, e che nella sola Europa delle 50 milioni di tonnellate di plastica prodotte ogni anno, meno del 10 per cento viene fatta rientrare in un modello di economia circolare di riutilizzo.
Ma il design può fare molto sul piano della qualità, dando vita a progetti innovativi che privilegino materiali eco-consapevoli, interroghino sul loro valore ambientale, e favoriscano nuovi atteggiamenti d’uso quotidiano.
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Suggerire nuovi comportamenti
La capacità di suggerire nuovi comportamenti è il ruolo che il design ha sempre avuto, spesso a partire da materiali nuovi, come lo erano le materie plastiche negli anni Sessanta. Quando Marco Zanuso e Richard Sapper disegnano per il marchio italiano di arredamento Kartell la prima seggiolina per bambini totalmente in polietilene (la più comune delle materie plastiche), il primo oggetto del genere in quel materiale nuovo, è il 1964 e la plastica deve costruirsi una credibilità che ancora non ha. La risposta del design è un oggetto intelligente, impilabile, monomateriale e costruito tanto bene da durare a catalogo per oltre un ventennio (uscirà di produzione solo perché le dimensioni ergonomiche dei piccoli saranno nel frattempo variate) passando di generazione in generazione, valido e perfettamente funzionante ancora oggi nelle case di tanti, a distanza di cinquant’anni.
La risposta del design alla deriva ambientale della plastica si muove ancora sul piano dei comportamenti, cercando oggi tuttavia, in primo luogo, di restituire una dignità sociale a questi materiali, perché tutti possiamo essere consapevoli delle scelte che facciamo. Un fenomeno allargato che non riguarda solo le plastiche. Daphne Stylianou, ricercatrice di design che ha collaborato con Material Driven, piattaforma britannica dove progettisti e startup possono mostrare le loro innovazioni nel campo dei materiali, ha chiamato “antropologia dei materiali” questa crescente attenzione che la comunità del design mostra al loro ruolo sociale. Vale a dire la loro capacità di impattare sui comportamenti, e di stimolare gli utilizzatori al rispetto e alla cura, per opposto alla negazione di dignità che troppo spesso riserviamo alle cose d’uso comune.
Valorizzare la plastica circolare
Un numero crescente di progetti innovativi di design dei materiali in tutta Europa sta sperimentando nuove prospettive sostenibili per la plastica, con l’idea di trasformare i flussi di rifiuti inutilizzati in materiali estetici, e fare entrare le bioplastiche nelle strategie di design per la produzione di beni durevoli. Su entrambi i fronti il movente è produrre bellezza nella convinzione che i materiali di design possano farsi testimoni del valore che può avere fare scelte consapevoli di prodotto.
È soprattutto il design più giovane a condurre queste sperimentazioni, molto spesso in proprio, alleandosi a tecnici e ad aziende per la produzione di materiali con tecniche semi-industriali. Molti sono ottenuti dalla lavorazione di scarti misti, quelli non recuperabili industrialmente o con la raccolta pubblica, che spesso vengono acquistati localmente per rilavorarli pressoché artigianalmente e rivenderli online – a sostegno di un nuovo alfabeto dell’upcycling, ovvero la trasformazione di materiali riciclati in oggetti dal valore più alto.
L’ecothylene di ecoBirdy
Il più recente e probabilmente anche il più interessante di questi progetti è l’ecothylene, una plastica di recupero sviluppata da ecoBirdy in Belgio a partire da un processo di separazione degli scarti basato su colori affini (rosso, verde, giallo, blu, bianco e trasparente) che permettono così di realizzare prodotti di design con un alfabeto ad hoc. Il nuovo materiale, presentato nel 2018 dalla società che lo ha creato, ecoBirdy, di Anversa, è stato utilizzato (al momento) per produrre arredi per bambini: tavolini, sedute e contenitori di colori garbati e sfumature opaline.
Belli a prescindere dall’essere anche validi per l’ambiente, ma con una storia precisa da raccontare. I rifiuti provengono dalla raccolta differenziata di giocattoli in plastica post-consumo, quelli destinati a diventare rifiuti entro poco tempo, attivata con una campagna mirata di sensibilizzazione rivolta alle scuole dell’obbligo, per informare i bambini sul tema dei rifiuti in plastica e le possibili soluzioni. Successivamente, a ogni scuola visitata viene consegnato un contenitore e viene chiesto a bambini e genitori di portare alla raccolta giocattoli usati o rotti che altrimenti finirebbero in discarica. Il progetto, che utilizza rifiuti provenienti dall’Europa, è stato co-finanziato dal programma dell’Unione Europea Cosme che favorisce la competitività delle piccole e medie imprese locali in ambito globale.
Si tratta di progetti che cercano di dare un destino di valore agli scarti che non potrebbero entrare in sistemi organizzati di riduzione dei rifiuti plastici, offrendo loro una nuova vita.
Le bioplastiche, un futuro possibile
Favorire l’upcycling è una delle possibili vie per dare una seconda vita alla plastica, ma non è la sola per risolverne gli impatti. Portare nei progetti di design le bioplastiche è altrettanto, se non per alcuni versi maggiormente, importante.
Una plastica eco-consapevole
Negli oltre sessant’anni dal loro ingresso sulla scena produttiva, le materie plastiche sono cambiate enormemente. Continuiamo a parlarne al singolare, ma sono un numero infinito di formule fra loro diverse per origine e per prestazione, in costante evoluzione. In questo universo in movimento sono in crescita le versioni bio di plastiche tradizionali ad alte prestazioni, vale a dire ottenute da fonti rinnovabili anziché da origine fossile, come il cosiddetto polietilene verde, o il bio-poliestere (Pet). Tuttavia, queste non sono biodegradabili né compostabili.
La buona notizia è che, sebbene possa sembrare un ossimoro guardando la situazione dei nostri mari, oggi anche le plastiche possono essere eco-consapevoli. Negli ultimi anni ne sono state messe a punto tipologie biodegradabili e compostabili con prestazioni paragonabili a quelle di sintesi del passato, quindi adatte ad applicazioni specialistiche. Fra queste alcune sono ancora di origine fossile, come il polibutilene succinato (Pbs), biodegradabile e compostabile, che deriva dalla fermentazione batterica e ha proprietà tali da poterlo applicare anche in settori dove oggi si utilizzano plastiche non degradabili. Ci sono, infine, versioni biodegradabili che anziché derivare da mais o patate (nell’ottica di impieghi massivi questo potrebbe dare origine a un disequilibrio nello sfruttamento dei terreni coltivabili) sono basate sull’uso di carbonio, come la tecnologia tutta italiana del poliidrossialcanoati (Pha) di Lux-on, prodotto utilizzando CO2 catturata dall’atmosfera.
Progettare bioplastiche di design per la produzione di beni durevoli è l’obiettivo di innovazioni come quella proposta da Crafting Plastics!, lo studio europeo di design con sede a Berlino, in Germania, e Bratislava, in Slovacchia, che ha impiegato sei anni per sviluppare Nuatan, una plastica di nuova generazione, brevettata, basata su materie prime rinnovabili al 100 per cento, e totalmente biodegradabile, che lo studio accompagna in applicazioni ad alto valore aggiunto. Si tratta di un materiale ad elevate prestazioni, nato dalla collaborazione interdisciplinare a lungo termine fra lo studio di design prima citato, l’università slovacca di tecnologia e un’azienda slovena specializzata inizialmente in film di polietilene, Panara. Quest’ultima dal 2006 investe sulle bioplastiche e ne produce di svariate tipologie a base di Phb, il poliidrossibutirrato, plastica biodegradabile prodotta naturalmente da batteri, Pla, l’acido polilattico, un polimero derivato da biomasse, o poliesteri sia biodegradabili che compostabili.
Composto al 100 per cento da biopolimeri vegetali a base di Pla e Phb ottenuti da risorse vegetali come l’amido di mais e l’amido di patate, il Nuatan può resistere a temperature di oltre 100 gradi centigradi e avere una durata programmabile fra l’uno e i cinquant’anni a seconda della composizione della miscela. Quando viene immesso in un compostatore industriale, infine, il materiale si degrada in acqua, CO2 e biomassa. La seconda generazione, attualmente in fase di sviluppo, si biodegraderà anche in compost domestico, nel suolo e nell’acqua oceanica. Il nuovo materiale può essere stampato a iniezione e in 3D o “soffiato” come le plastiche tradizionali. È stato messo a punto e brevettato con il preciso obiettivo di accelerare la transizione verso un’economia circolare, ottimizzando il ciclo di vita dal momento della produzione fino alla piena decomposizione di svariati prodotti, compresi quelli dell’elettronica di consumo.
E sul piano della riciclabilità? Si stanno compiendo nuovi passi significativi. Una startup italiana, Direct 3D, ha messo a punto e brevettato una particolare testa di estrusione che permette la stampa 3D anziché con la classica produzione da filo, partendo da granulo, polvere o scaglie miste, aprendo così la via a un utilizzo delle plastiche di riciclo anche nelle tecnologie di piccola serie.
Sulla grande scala poi, è recente la notizia che uno dei maggiori produttori di plastica al mondo, Dow Chemical, ha sviluppato un utilizzo di plastica riciclata per la produzione di asfalti alternativi. E in Olanda il progetto Plastic road, in fase di applicazione a Rotterdam per le piste ciclabili, mira a produrre le strade che integrano cablaggi e reti idriche, totalmente da scarti di questo materiale recuperati dagli oceani e dagli inceneritori di rifiuti.
La sfida è aperta.
Immagine in evidenza: La chaise longue di Alessandro Mendini in Ecopixel® per Wet, azienda italiana che ha creato questo materiale 100 per cento di riciclo da scarti, ed esposta alla mostra Ro Plastic Master’s Pieces organizzata dalla galleria Rossana Orlandi in occasione della Milano Design Week 2019 presso il Museo nazionale della Scienza e della Tecnologia Leonardo Da Vinci, un’iniziativa del progetto Guiltless Plastic © Galleria Rossana Orlandi
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