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Se in Svizzera, con un’elettrica, si tagliano le emissioni del 100 per cento, in Serbia si scende al 15: servono strategie di decarbonizzazione efficaci.
Chi guida un’auto elettrica in Svizzera, riesce a ottenere un taglio delle emissioni del 100 per cento rispetto ai mezzi alimentati a combustibili fossili. Ma lo stesso dato crolla al 37 per cento nei Paesi Bassi, al 15 per cento in Serbia e addirittura al 4 per cento nell’isola di Cipro. Calcolare il reale impatto inquinante di un’auto elettrica è un tema di grande attualità: una recente indagine della società Radiant energy group, con sede in Germania e Usa, evidenzia l’importanza delle fonti di energia che alimentano i mezzi più ecologici.
Ci sono addirittura paesi come la Polonia e il Kosovo, nei quali alcune auto elettriche possono avere un impatto peggiore di quelle alimentate a benzina e diesel, perché gli impianti di ricarica sono legati a doppio filo al carbone. In testa alla classifica c’è la Svizzera, che può contare su un mix di idroelettrico e nucleare, seguita dalla Norvegia dove il risparmio di CO2 è del 98 per cento, dalla Francia (96 per cento) e dalla Svezia con il 95 per cento. Con un taglio delle emissioni del 62 per cento, l’Italia si colloca in posizione medio-bassa ma sopra alla Germania, ferma al 55 per cento con il suo mix di rinnovabili e carbone.
Oltre a quello delle fonti energetiche che alimentano le reti, c’è poi il tema delle fasce orarie di ricarica dei veicoli, soprattutto in paesi come la Spagna e la stessa Germania che negli ultimi anni hanno spinto con decisione sull’eolico e sul solare: se le auto elettriche vengono attaccate alla spina nel pomeriggio il risparmio di CO2 può arrivare a sfiorare il 20 per cento rispetto alla notte, quando le reti elettriche vengono alimentate soprattutto con fonti fossili. Come spiega il ricercatore di Radiant energy group, Sid Bagga, “l’elettrificazione è la chiave di volta della decarbonizzazione dei trasporti, che non potrà mai avvenire con i motori a combustione fossile”, ma tutto “dipenderà dalle strategie di decarbonizzazione attuate dagli Stati per far sì che la transizione elettrica dei veicoli si realizzi davvero”.
Sempre su questo filone si concentra uno studio di Volvo, che ha messo a confronto alcuni modelli a batteria e a benzina di propria produzione per stabilire il momento in cui, nell’intero ciclo di vita, i primi diventano più convenienti in termini di emissioni. L’assunto di base è che le auto elettriche arrivano sul mercato con un “debito” molto elevato di CO2 da recuperare rispetto alle concorrenti. Restando all’esempio della Casa svedese, la produzione e la raffinazione dei materiali, l’assemblaggio e la produzione di moduli batteria di una C40 Recharge, si traducono in emissioni di gas serra di quasi il 70 per cento superiori rispetto a quelle generate durante la costruzione di una XC40 a benzina.
Il risultato è che il veicolo elettrico deve percorrere almeno 80mila chilometri prima di iniziare a fornire reali benefici in termini di risparmio di CO2 emessa rispetto a quello con motore termico. Questo in Europa, dove è crescente il peso delle rinnovabili che alimentano le reti; se invece si prende come parametro il mix energetico mondiale – maggiormente orientato sulle fonti fossili – il break even point sale fino a 115mila chilometri. Anche questo studio, in sostanza, dimostra che senza politiche forti di decarbonizzazione quella della transizione elettrica delle auto rischia di restare una rivoluzione a metà.
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