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Fino al 14 febbraio 2017 la Fondazione Palazzo Magnani accoglie quasi 300 opere rappresentative dell’intero panorama artistico italiano della Belle Époque, affiancando al Liberty propriamente detto stili e tendenze coeve
In un’epoca funestata da guerre, crisi economica e calamità assortite, come rinfrancare lo sguardo alla ricerca di un qualche sollievo? Ad esempio scegliendo di volgere la propria attenzione ad un periodo storico caratterizzato da un clima totalmente diverso, ovvero da tale leggiadria, benessere e piacevolezza di costumi da essersi meritato l’inequivocabile etichetta di Belle Époque.
È in questa fase compresa tra l’ultimo ventennio dell’Ottocento e gli anni precedenti allo scoppio del primo conflitto mondiale che si situa la produzione artistica accolta in questi mesi tra le mura cinquecentesche di Palazzo Becchi-Magnani, sede dell’omonima Fondazione promotrice di una nuova mostra, appena inaugurata, sul Liberty italiano.
Un percorso espositivo di quasi 300 opere di diversa tipologia (non solo dipinti ma anche sculture, grafiche, disegni, ceramiche, manifesti, bozzetti preparatori ecc), alcune delle quali proposte al pubblico per la prima volta, per compiere un’incursione a tutto campo sull’intero panorama artistico italiano di quel periodo.
L’elevato numero di biglietti venduti, cioè ben 5mila ancor prima dell’inaugurazione, lascia presagire una cospicua affluenza di visitatori di qui al 14 febbraio 2017.
La chiave di lettura adottata dalla mostra prevede infatti un’interpretazione decisamente estensiva ed ampliata del concetto di Liberty, termine che originariamente si diffuse nel nostro paese per designare la produzione artistica italiana ispirata alle suggestioni provenienti dall’Art nouveau francese, diffusosi in tutta Europa con peculiarità e denominazioni diverse a seconda delle varie aree geografiche, dallo Jugendstil germanico al Sezessionstil austriaco, al Nieuwe kunst olandese.
La dicitura “Liberty” fu curiosamente tratta dagli omonimi magazzini londinesi specializzati nel commercio di prodotti provenienti dall’estremo oriente e dunque caratterizzati da quell’aura di esotismo che in breve tempo si imporrà come uno degli elementi distintivi di questo nuovo stile.
Come hanno esplicitamente dichiarato i curatori Francesco Parisi e Anna Villari, “all’interno di un’idea più ampia e generale di ‘Liberty italiano’ abbiamo voluto porre a confronto le due diverse tendenze; cercando di assecondare in questo modo il dibattito storico artistico dell’epoca che individuava, come vera essenza del Liberty, la linea fluente, floreale e decorativa e, d’altra parte, recuperando il modello critico della letteratura coeva che identificava nel Liberty tutto ciò che era considerato moderno e di rottura, includendo quindi anche quelle esperienze non propriamente classificabili in Italia come floreali ma piuttosto moderniste o secessioniste”.
Dunque nell’orbita del Liberty propriamente detto, con tutti i suoi riconoscibilissimi motivi vegetali ed ornamentali per anonomasia, vengono attratte, per ragioni di concomitanza storico-temporale, le costellazioni artistiche più eterogenee, dal Futurismo di Boccioni alla ritrattistica di Giovanni Boldini, senza dimenticare autori come Felice Casorati o il divisionista Plinio Nomellini.
Esattamente come avveniva nell’Art nouveau, anche nel caso del Liberty la pluralità di mezzi espressivi, ovvero la tendenza ad esondare dagli ambiti artistici tradizionali della pittura, della scultura e dell’architettura per esplorare altri contesti, assume un valore pregnante e specifico. L’aspirazione essenziale di questa corrente artistica consiste infatti nel tentativo di contrastare il grigiore e l’anonimato delle produzioni seriali e industriali diffondendo la propria ariosa leggiadria anche nella manifattura e nel design di arredi e oggetti decorativi, nonché di marchi e loghi.
È proprio nell’alveo del Liberty che sorgono, infatti, quelle che possiamo identificare come autentiche prefigurazioni dell’attuale concetto di “design”, poiché gli architetti italiani, cominciando a confrontarsi con le esigenze dei consumi di massa, si trasformano in total designer, progettando, all’insegna di un’arte che inglobi anche pittura, scultura ed arti decorative, le cosiddette “case d’artista”.
Pertanto la mostra della Fondazione Palazzo Magnani sottolinea con particolare enfasi l’elemento del segno e della grafica, esponendo, oltre a bozzetti, progetti e disegni, anche numerosi esempi di incisioni originali, manifesti (come quelli di Galileo Chini o dello stesso Boccioni) e illustrazioni librarie: in quest’ultimo caso, suscita particolare interesse la grafica editoriale, grazie alla quale accade spesso che i letterati sviluppino proficui sodalizi con i loro illustratori, come ad esempio quello intercorso tra D’Annunzio e Adolfo De Carolis.
Dunque illustrazioni, manifesti, ceramiche e decorazioni varie intervengono a ricordarci come il Liberty sia anche e soprattutto volontà di proteggerci dall’alienazione, tentando di ingentilire, attraverso le fattezze e i colori degli oggetti di uso comune, l’atmosfera della nostra quotidianità.
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