Gallery climate coalition. Il mondo dell’arte vuole contrastare la crisi climatica

Quante sono le emissioni del mondo dell’arte? Per provare a ridurle, è nata la Gallery climate coalition. E anche l’Italia farà la sua parte.

  • La Gallery climate coalition è nata nel 2020 con lo scopo di capire come ridurre l’impatto ambientale del mondo dell’arte.
  • In soli due anni, è arrivata a contare 800 membri in tutto il mondo: chiunque può associarsi, ma deve sottoscrivere il patto di dimezzare le proprie emissioni entro il 2030.
  • A inizio 2022 si è formata la costola italiana della Gallery climate coalition, di cui fanno parte importanti gallerie, come la sede napoletana della Thomas Dane, la Cardi gallery e Kaufmann repetto.

Nel 2014, in occasione della pubblicazione del quinto report sul clima dell’Ipcc, dodici maestosi blocchi di ghiaccio proveniente dalla Groenlandia furono lasciati sciogliere di fronte al palazzo del comune di Copenaghen. La stessa scena si è ripetuta l’anno successivo a Parigi, per la Cop 21, e nel 2018 a Londra. Era una provocazione sulla crisi climatica, ovviamente, ma anche una spettacolare installazione a disposizione del pubblico, che poteva interagire liberamente col ghiaccio. Ice watch è un’opera dell’artista danese-islandese Olafur Eliasson, esponente di una generazione che usa l’arte contemporanea per parlare d’attualità.

Ice watch e Gallery climate coalition
Ice watch, opera di Olafur Eliasson e Minik Rosing, 2018, Tate modern a Londra © Justin Sutcliffe

La nascita della Gallery climate coalition

Dopo la prima prova in Danimarca, Eliasson si è posto la domanda su quale fosse l’impatto di questa sua installazione e su come potesse migliorarla. Non molti artisti se ne preoccupavano all’epoca. Si è fatto allora assistere da una associazione che, da pioniera, calcolava l’impronta carbonica nel settore culturale e artistico, l’inglese Julie’s bicycle (i due report di Parigi e Londra furono poi resi pubblici). “Dopo questo, un altro momento di rottura è avvenuto nel 2019, quando la Tate, uno dei musei più importanti del mondo, con cui pure Eliasson aveva collaborato, dichiarava la sua ’emergenza climatica’ e iniziava un percorso di cambiamento”, spiega Louisa Buck, critica d’arte e giornalista esperta di arte contemporanea.

La dichiarazione seguiva una crescente sensibilizzazione portata avanti negli anni da alcuni artisti, culminata a inizio 2020 nella fondazione della Gallery climate coalition (Gcc). “La parte cosiddetta commerciale del mondo artistico è stata più lenta nella sua presa di coscienza, ma siamo tutti esseri umani e da tempo ci stavamo domandando come diventare più responsabili. È stato il gallerista Thomas Dane a radunare il primo gruppo di fondatori, inclusi giornalisti come me, altri galleristi, direttori di fiere importanti come Frieze. La pandemia ha fermato tutte le altre nostre attività e ci ha permesso di costruire le fondamenta della Gcc”, continua Buck.

fondatori Gallery climate coalition
I membri fondatori della Gallery climate coalition a Londra © Gcc

Il ruolo della coalizione

La prima domanda che si sono posti è stata: “Quante sono le emissioni del mondo dell’arte?”. Risposta: circa 70 milioni di tonnellate annue di CO2, come l’intera Austria (18 milioni se si sottraggono i voli dei visitatori). Il secondo step è stato mettere a disposizione dei membri uno strumento per calcolare le proprie emissioni. Così è stato creato un carbon calculator pensato sulla base delle necessità di chi lavora nel mondo culturale. Da quel primo gruppo, in soli due anni, la Gallery climate coalition è arrivata a contare 800 membri in tutto il mondo: chiunque può associarsi, ma deve sottoscrivere il patto di dimezzare le proprie emissioni entro il 2030 – rispetto alla media pre-pandemia – e diventare zero waste entro la stessa data. Sono membri della Gcc artisti come Gary Hume, che ha contestato la sponsorizzazione della British petroleum di un premio della National portrait gallery, ma anche agenzie che si occupano di logistica delle opere o case d’asta come Christie’s.

Nel novembre 2021 la Gallery climate coalition ha pubblicato un Decarbonisation action plan redatto da un consulente climatico, con una strategia in dieci passi per guidare i soci verso gli obiettivi del 2030. “I nostri membri devono programmare annualmente il calcolo delle emissioni per misurare i progressi. Deve diventare un’abitudine, come la dichiarazione delle tasse”, recita il Plan. All’interno della Gcc si sono poi formate delle commissioni di addetti ai lavori per supportare i consulenti climatici con dettagli sulla gestione pratica dei propri membri. Le tre attività più inquinanti per un’istituzione che lavora nell’arte sono: il trasporto delle opere e delle persone che avviene principalmente per via aerea, l’energia utilizzata dagli edifici soprattutto per mantenere la temperatura costante, l’utilizzo di molti materiali e imballaggi non riciclabili.

The weather project e Gallery climate coalition
L’opera The weather project di Olafur Eliasson, 2003, Tate modern a Londra © Olafur Eliasson

La logistica è sicuramente il problema più impattante, che è stato affrontato di recente con il lancio della Shipping campaign, un documento contenente una serie di linee guida per spedire maggiormente via nave o in treno. Questa soluzione non è sempre facile per diversi motivi, come la reticenza delle compagnie ad assicurare opere in viaggi lunghi e meno sicuri, o le tempistiche davvero frenetiche delle fiere d’arte in tutto il mondo. La Gallery climate coalition si pone quindi come intermediario per fare lobbying con i partner di settore, come assicurazioni e corrieri, per spingere tutti verso soluzioni di trasporto più responsabili (di recente Christie’s e lo spedizioniere Croizer hanno istituito una rotta regolare via nave tra Londra e New York, che abbassa le emissioni dell’80 per cento rispetto alla rotta aerea).

“Esistono artisti e gallerie che hanno smesso del tutto di prendere aerei, ma è una scelta difficile da applicare, soprattutto per le grosse istituzioni. La collaborazione fra tutti nel settore è fondamentale per arrivare al 2030 facendo ognuno la propria parte per raggiungere almeno il 50 per cento di riduzione delle emissioni. Parallelamente la Gcc ha contribuito a raccogliere fondi insieme a Christie’s e alla charity Client Earth. L’iniziativa ha coinvolto diversi importanti artisti internazionali, che hanno ceduto le proprie opere per essere vendute a sostegno del lavoro di Client Earth”, termina Buck.

Il contributo italiano

A inizio 2022 si è formata la costola italiana della Gallery climate coalition, di cui fanno parte importanti gallerie, come la sede napoletana della Thomas Dane, la Cardi gallery e Kaufmann repetto. Nel gruppo fondatore c’è anche la fondazione Palazzo Strozzi di Firenze che, proprio a settembre, inaugurerà una grande mostra di Olafur Eliasson, la più completa mai organizzata in Italia, in combinazione con un’opera site specific che l’artista porterà al Castello di Rivoli, a Torino. “La mostra di Eliasson è l’ultima di una serie che abbiamo voluto dedicare ad arte contemporanea e tematiche di ambiente e sostenibilità”, spiega il direttore Arturo Galansino. “Non abbiamo avuto dubbi nell’aderire alla Gallery climate coalition, perché questa sensibilità fa da sempre parte della fondazione Strozzi, sia a livello di programma espositivo che di gestione del museo. Nel 2018 abbiamo ospitato il progetto The Florence experiment dell’artista tedesco Carsten Höller in collaborazione con il neurobiologo vegetale Stefano Mancuso, il cui scopo era indagare il rapporto tra esseri umani e piante. Nel 2020 è stato l’argentino Tomás Saraceno con la mostra Aria a mostrarci come ogni nostro gesto influisca sull’ambiente circostante”.

Galansino conferma che la logistica delle opere è sicuramente una delle sfide centrali anche per loro. Non può ancora rivelare nulla sulla collaborazione con Eliasson, ma lo studio dell’artista è noto per essere sensibile su questo tema (nel 2020 sono arrivati a spedire le opere in Giappone tramite Transiberiana e poi in nave per una mostra a Tokyo). “Da tempo abbiamo persone delegate a pensare agli aspetti di sostenibilità dei materiali e delle installazioni, nonché un responsabile ambientale che supervisiona tutto. Nelle aziende ormai è una figura abbastanza presente, ma nei musei è qualcosa di nuovo. Sono davvero tematiche giovani per il nostro settore. Anche solo imballare un’opera d’arte richiede materiali di provata sicurezza, non sono scelte semplici. Inoltre, il nostro museo è in un palazzo quattrocentesco e il sistema energetico non è propriamente all’avanguardia. Qualsiasi adeguamento dev’essere pensato tutelando l’edificio, ma siamo certi di poter fare numerosi passi avanti e aprire la strada a molti altri che vorranno seguirla”, conclude Galansino.

The Florence experiment
The Florence experiment, 2018, laboratorio di analisi piante di fagiolo, fondazione Palazzo Strozzi © Attilio Maranzano

La rapida crescita dei membri della Gallery climate coalition in tutto il mondo testimonia indubbiamente la volontà di molti di fare la propria parte entro il 2030, soprattutto se facilitati nel percorso da una guida e da strumenti semplici da usare. L’Italia, terra d’arte per eccellenza, può dare un contributo importante. Come per altri settori, gli intervistati confermano che è il cambio mentale a essere il primo passo fondamentale, nonché, notoriamente, il più difficile da compiere: ripensare quegli schemi che ci sembrano immutabili – solo perché mai messi in discussione finora – è un impegno sempre più urgente.

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