Hokkaido, quel Giappone selvaggio che ti porta nel cuore delle comunità

Niseko, Toya-Usu e Shiraoi sull’isola di Hokkaido non sono mete per semplici turisti, ma per viaggiatori che vogliono entrare in contatto con le comunità.

Se dovessimo descrivere l’Hokkaido con una parola sarebbe “vasto”. In un paese come il Giappone, dove gli spazi sono generalmente ristretti, le grandi vallate, le foreste infinite e l’oceano sconfinato di quest’isola rappresentano un’eccezione.

Grande il doppio della Svizzera, Hokkaido è l’isola principale della regione settentrionale e la seconda più grande del Giappone. È anche relativamente da poco che è entrata a fare parte del territorio nazionale: conosciuta storicamente come Ezo, l’isola venne colonizzata a partire dal 1869 in un processo che risultò nell’assimilazione forzata dei suoi abitanti indigeni, gli Ainu, e nella loro “trasformazione” in cittadini giapponesi.

Il lago Poroto a Shiraoi dal resort Kai Poroto
Vista del lago Poroto a Shiraoi dal resort termale Kai Poroto © Mara Budgen

Quando si viaggia a Hokkaido, è facile percepire che la sua storia e la sua identità sono diverse da quelle del resto del paese. Oltre che per i suoi panorami unici, più selvaggi rispetto a tante altri parti del Giappone, si contraddistingue per la forte presenza della cultura Ainu e delle tracce ancora visibili della colonizzazione. La maggior parte dei turisti viene in Hokkaido per la neve fresca (il cosiddetto powder che attrae ogni anno centinaia di migliaia di sciatori e snowboarder da tutto il mondo), le terme, i prodotti del mare e, nei mesi più caldi, i campi di fiori e il trekking. Ma queste terre hanno ancora di più da offrire. Qui, infatti, è possibile entrare in contatto con tante comunità locali diverse, conoscere le loro realtà e le sfide che sono impegnate ad affrontare.

Dalla località di Niseko, molto di più di una mera destinazione sciistica, alla simbiosi tra esseri umani e un vulcano nel Geoparco mondiale dell’Unesco di Toya-Usu, al museo Upopoy sulla cultura Ainu a Shiraoi: queste sono tre mete che aspirano a modelli di turismo sostenibile e responsabile e che, benché diverse tra loro, hanno lo scopo comune di dare valore alle comunità e restituire qualcosa all’ambiente.

Niseko, più di un paradiso del powder

Quando passano sopra il mar del Giappone, i venti siberiani accumulano umidità che viene poi rilasciata su Hokkaido nella forma di grandi quantità di neve leggera, asciutta e farinosa (da qui il nome powder, che significa “polvere” in inglese). Queste precipitazioni graziano anche la cittadina di Niseko, che conta solo cinquemila abitanti, ma è una delle destinazioni principali al mondo per gli amanti della fresca, con fino a 1,75 milioni di visitatori annui prima dell’avvento della pandemia da Covid-19.

Quello che molti non sanno, però, è che questa è anche una cittadina dalle idee progressiste e all’avanguardia. Il tutto è cominciato nel 1994 con l’elezione di Seiji Osaka a primo cittadino di Niseko, all’epoca il sindaco più giovane del Giappone (35 anni). Osaka intraprese alcune riforme che hanno trasformato la struttura dell’amministrazione locale: oltre ad avere libero accesso alle informazioni sulle finanze pubbliche, i cittadini di Niseko hanno molte opportunità per partecipare nelle decisioni locali.

“Chiunque può sostituirmi in qualsiasi momento perché tutto quello che riguarda il nostro lavoro viene condiviso con il pubblico”, ha spiegato l’attuale sindaco Kenya Katayama al quotidiano Japan Times nel 2020.

Mount Yotei Niseko neve
Il monte Yotei (che è un vulcano) è una delle vette iconiche di Niseko © Marek Okon/Unsplash

A partire da questo approccio democratico, Niseko ha sviluppato negli anni una forte coscienza ambientale e sociale, come evidenzia l’adozione di alcune regole per limitare l’impatto negativo del turismo. Ad esempio, un’ordinanza locale prevede che i nuovi edifici non superino una certa altezza e le cosiddette “regole di Niseko”, o Niseko Rules, stabiliscono che gli sciatori fuori pista possono uscire dai confini degli impianti sciistici solo tramite appositi cancelli.

Per quanto riguarda le iniziativi ambientali, Niseko ha dichiarato di voler raggiungere le emissioni nette zero entro il 2050 ed è stata scelta dal governo giapponese come modello di città ecologica e città Sdgs del futuro (gli Sdgs sono gli Obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite). Uno dei progetti che ricade sotto queste iniziative è l’Sdgs block, un modello di distretto sostenibile ed efficiente dal punto di vista energetico. Il complesso è ancora in costruzione, ma per realizzarlo sono già in corso alcune sperimentazioni interessanti, ad esempio per testare la capacità dei pannelli solari di sopportare il peso di grandi quantità di neve.

Gran Hirafu Niseko impianto sciistico
Niseko, una destinazione famosa per gli sport invernali, sta cercando di limitare l’impatto del turismo © Frederick Wallace/Unsplash

Niseko è inoltre stata scelta come uno dei “migliori villaggi turistici nel mondo” (best tourism villages) secondo l’Organizzazione mondiale del turismo dell’Onu per le sue “politiche che danno importanza all’ambiente e che derivano dall’autonomia dei residenti”. È anche l’unico comune giapponese ad avere aderito alla dichiarazione di Glasgow per l’azione climatica nel turismo, sempre dell’Onu.

In quanto firmataria della dichiarazione, Niseko è tenuta a espandere e rendere pubblico il suo programma per la lotta contro la crisi climatica. Nonostante abbia già intrapreso alcune azioni come l’uso dell’energia geotermica per riscaldare gli edifici, il comune ha ancora tanta strada da fare per raggiungere la neutralità carbonica. In questo senso, non è ancora un modello di città ecologica a tutti gli effetti, ma aspira ad esserlo come conferma Masao Aoki, coordinatore per la sostenibilità della Città di Niseko: “Vorrei che raggiungessimo i vertici del turismo sostenibile come abbiamo già fatto nel settore del turismo invernale”.

I molti riconoscimenti che Niseko può vantare sono solo punti di passaggio in un percorso che, si spera, porterà questa località calda del turismo sulla neve a rispettare i suoi impegni come una delle 100 migliori storie sostenibili del Pianeta, titolo assegnatoli dall’organizzazione olandese Green destinations nel 2020 e 2021.

Toya-Usu, l’incontro tra comunità e un vulcano

A 40 chilometri in auto da Niseko, le acqua azzurre e placide del lago Toya, un lago craterico, contrastano con le fumarole bollenti sulla superficie del monte Usu, uno stratovulcano attivo. Così attivo da essere stato lo scenario di ben quattro eruzioni nell’ultimo secolo, con quella del 1910 che è passata alla storia per avere portato alla prima evacuazione pre-eruzione di successo e al primo rilevamento sismico al mondo. L’ultima eruzione, che risale al 2000, ha causato l’evacuazione di 10mila residenti e, benché non ci siano state vittime, in molti hanno perso le loro case.

Il lago e il vulcano fanno parte del Geoparco mondiale dell’Unesco di Toya-Usu, un’area di oltre mille chilometri quadrati che include quattro comuni. Uno di questi, Toyako, ha ospitato il 34esimo vertice del G8 nel 2008. Per l’occasione, è stato costruito un centro interattivo per i visitatori che ospita un piccolo museo e l’anno seguente Toya-Usu è diventato un geoparco mondiale dell’Unesco.

“Il numero di visitatori è aumentato dopo l’inaugurazione del geoparco”, dice Emiko Kawaminami, una guida turistica locale e proprietaria di un centro termale (onsen in giapponese); le persone vengono qui per conoscere il monte Usu, le attività di prevenzione contro i disastri naturali e il rapporto speciale che esiste tra gli abitanti locali e il vulcano, o anche solo per ammirare questo paesaggio unico.

Emiko Kawaminami vulcano meister del Geoparco mondiale dell'Unesco di Toya-Usu
Emiko Kawaminami, una “volcano meister” del Geoparco mondiale dell’Unesco di Toya-Usu, in cima alla funivia del monte Usu © Mara Budgen

Nel 2009, Kawaminami è diventata la prima donna volcano meister (“maestro del vulcano”). Il titolo di volcano meister, il primo del suo genere al mondo, viene assegnato ad alcuni rappresentanti della comunità locale – per un totale di circa 60 al momento – in seguito a un corso di formazione e un esame con l’obiettivo di dare loro le conoscenze necessarie per educare i visitatori sulla geologia e sulle caratteristiche naturali della zona.

Kawaminami spiega che per molto tempo l’approccio nel settore turistico era quello di nascondere i danni causati dalle eruzioni. La mentalità, però, è cambiata radicalmente: oggi, i turisti vengono a Toya-Usu per conoscere il vulcano e il modo in cui le persone coesistono con il suo ambiente instabile, ad esempio visitando gli edifici distrutti e altre rovine lasciate dalle eruzioni o uno dei tanti musei del geoparco, come il museo in memoria di Mimatsu Masao che racconta la storia di un signore locale che ha dedicato la sua vita allo studio del monte Usu.

Nessuno sa quando sarà la prossima eruzione. Nonostante questo faccia paura, la comunità locale ha saputo coltivare un profondo rispetto per il monte Usu e un senso di gratitudine per i suoi doni, come le acque termali che sono emerse dopo l’eruzione del 1910, la cenere vulcanica che favorisce la coltivazione degli alberi da frutto e l’energia geotermica, usata per riscaldare le serre.

“Prima, odiavo il vulcano”, dice Kawaminami. “Poi ho iniziato a imparare di più su di lui e ora mi sento orgogliosa di potere condividere la mia conoscenza con gli altri”.

Lago Toya Hokakido Geoparco mondiale dell'Unesco di Toya-Us
Il lago Toya fa parte del Geoparco mondiale dell’Unesco di Toya-Usu © Stephen Fang/Unsplash

Upopoy, l’unico museo nazionale Ainu

Shirauoi significa “il luogo della mosca cavallina” nella lingua indigena Ainu e da questa parola deriva il nome di Shiraoi, una piccola città a un’ora di treno da Sapporo, la capitale di Hokkaido. Il territorio di Shiraoi è paludoso e non sorprende che uno dei suoi laghi si chiami Poroto, o “grande palude” in Ainu. Una palude, sì, ma anche un paesaggio selvaggio e affascinante.

Sulla riva del lago Poroto si trova il museo e il parco nazionale Ainu dell’Upopoy. Inaugurato a luglio 2020, è l’unico museo nazionale dedicato al gruppo indigeno e rappresenta la punta di diamante degli sforzi del governo giapponese per promuovere la cultura Ainu – cosa che è obbligato a fare secondo una legge del 2019, la prima a riconoscere ufficialmente gli Ainu come popolazione nativa del Giappone.

Upopoy museo ingresso principale
Il museo dell’Upopoy visto dall’ingresso principale © Mara Budgen

Oltre che espiare gli errori del passato – ovvero la quasi totale distruzione di un’identità Ainu – il museo e il parco hanno l’obiettivo di “promuovere il riconoscimento e la consapevolezza rispetto alla cultura e alla lingua Ainu”, dice Masahiro Nomoto, direttore del dipartimento per la promozione culturale della fondazione per la cultura Ainu, un’organizzazione con finanziamenti pubblici che opera l’Upopoy.

In totale, il complesso ha attratto 800mila visitatori dall’apertura. In mostra nella sezione permanente del museo, divisa in sei aree tematiche, ci sono oggetti della vita quotidiana e delle cerimonie degli Ainu, e materiali didattici sulla loro storia, sulla cultura e sulle relazioni con altri gruppi etnici.

L’Upopoy è anche un luogo in cui vengono preservati le arti, l’artigianato, le usanze e la lingua Ainu. Ad esempio, si tengono giornalmente spettacoli di danza e diversi artigiani vengono impiegati dalla struttura per realizzare oggetti tradizionali. Inoltre, l’Ainu è una delle lingue usate sui pannelli informativi del museo-parco.

Masahiro Nomoto, direttore del dipartimento per la promozione culturale della fondazione per la cultura Ainu ainu kotan
Masahiro Nomoto, direttore del dipartimento per la promozione culturale della fondazione per la cultura Ainu, presso il kotan (o villaggio) Ainu dell’Upopoy © Mara Budgen

Non tutti però vedono l’Upopoy come un tentativo sincero da parte del governo di celebrare un’identità giapponese multietnica. Alcuni accusano il museo di raccontare una versione distorta e non Ainu-centrica della storia e di avere trasformato la cultura indigena in un’attrazione turistica senza riconoscere la continua lotta per i diritti Ainu, ovvero contro la discriminazione e le disuguaglianze socio-economiche che tutt’ora affliggono queste comunità.

“È importante che siano gli Ainu a guidare e a beneficiare economicamente da questo tipo di turismo, e che la cultura originale non venga modificata sostanzialmente”, commenta Kimihiro Kayano, gestore di Nibutani Yanto, una pensione nel distretto a maggioranza Ainu di Nibutani, a un centinaio di chilometri a est di Shiraoi.

L’Upopoy rappresenta dunque un turismo che porta beneficio alle comunità? La risposta è soggettiva. Da un lato, il museo-parco rende la cultura Ainu visibile agli occhi del grande pubblico, tra cui molte persone che hanno poca o non hanno nessuna conoscenza di questa realtà. Dall’altro, rimane da capire se l’Upopoy abbia davvero un impatto positivo sulla popolazione indigena.

Upopoy museum main exhibition hall Ainu artefacts
In mostra al museo dell’Upopoy ci sono molti oggetti Ainu © Mara Budgen

Questo scenario complesso evidenzia come il turismo sostenibile e quello responsabile si possono caratterizzare più facilmente come un viaggio e non una destinazione. Nel creare visioni ambiziose di quello che aspirano a diventare – un comune a emissioni zero, un centro di educazione sui vulcani o un fulcro della cultura Ainu – le comunità di Niseko, Toya-Usu e Shiraoi vogliono incoraggiare i viaggiatori a portare a casa non solo souvenir, ma esperienze profonde che possano arricchirli.

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