Con la schiscetta dabbawala delle cuoche di Altatto, il delivery è “a rendere”

Dall’incontro di tre giovani donne in una famosa cucina stellata, nasce un bistrot vegetariano che punta alla sostenibilità anche nel delivery, con una insolita schiscetta.

Tre giovani cuoche si incontrano nel 2015 nella cucina di Pietro Leemann, al Joia di Milano. Da lì l’idea di partire con un progetto proprio: Altatto. Un servizio di catering, poi diventato un bistrot in zona Greco a Milano, con al centro la sostenibilità e la stagionalità, seguendo i principi di tradizione, ispirazione e innovazione. A novembre 2020, durante l’anno più difficile per la ristorazione, decidono di “creare un pasto con zero usa e getta”: lo fanno seguendo la tradizione milanese della schiscetta e ispirandosi anche ai dabbawala indiani, creando, finalmente, un innovativo delivery con il vuoto a rendere.

schiscetta
Cinzia, Giulia e Sara le tre cuoche di Altatto © Altatto

Chi sono le tre socie di Altatto

Altatto è la storia di un incontro, un racconto tutto al femminile lungo oramai sei anni, nato tra i fornelli della cucina stellata del Joia. Cinzia De Lauri è la socia più giovane, la passione per la cucina la accompagna da sempre e, una volta conseguito il diploma artistico, si iscrive all’Alma per trasformare la sua passione in una professione. Dopo un’esperienza sul Lago d’Orta, da Fabrizo Tesse, secondo storico di Cannavacciuolo, approda alla cucina vegetariana del Joia di Pietro Leemann, dove per due anni approfondisce tecniche e metodo. Si occupa con Sara delle preparazioni salate, ma le sue abilità nel problem solving e la sua determinazione le permettono di trainare le scelte imprenditoriali di Altatto e la gestione delle forniture del ristorante. Giulia Scialanga, approdata alla cucina dopo aver lavorato nel mondo della moda, si appassiona in particolare alla pasticceria. Il suo cambio di vita avviene a Parigi, al Cordon Bleu, dove si forma e impara le basi della cucina tradizionale francese. Si specializza poi in cucina italiana all’Alma, per poi fare esperienza a Pantelleria a La Nicchia, a Torino al Tajutt e a Milano al Ristorante Daniel. In seguito arriva nella cucina di Pietro Leemann. Per Altatto si dedica a ciò che più le appartiene, coltivando le pubbliche relazioni e il rapporto con il cliente. In cucina prosegue sperimentando la pasticceria e specializzandosi in dolci vegani. Sara Nicolosi, dopo il triennio universitario in antropologia culturale, decide di cambiare strada e dedicarsi alla sua grande passione: la cucina. Frequenta l’Alma, e grazie allo stage da Philippe Lévéillé acquisisce la capacità di muoversi in cucina. È con lo chef Pietro Leemann che scopre le sue grandi passioni: la cucina vegetariana e la capacità organizzativa. Sara si dedica alle preparazioni salate del menù e coordina la parte creativa e l’immagine di Altatto.

Giulia ci racconta in questa intervista la storia di Altatto e di come sono arrivate all’idea del delivery sostenibile con la schiscetta dabbawala.

Da dove nasce l’idea del nome Altatto?
Altatto prende il suo nome da uno dei cinque sensi, quello preposto alla percezione degli stimoli che interessano la superficie esterna del nostro corpo. Tatto significa infatti contatto, ed il contatto implica un sentire profondo che entra in rapporto con la parte più viscerale delle nostre emozioni; non a caso è il primo senso a svilupparsi già nella pancia materna. L’organo per eccellenza del tatto è la pelle, e la concentrazione di ricettori tattili maggiore è sulle dita, le labbra e la lingua. Le percezioni che vengono raccolte possono essere di tipo fisico quali forma, dimensione, consistenza e temperatura oppure vi possono essere percezioni di tipo chimico come il pungente, il piccante, il rinfrescante: le cosiddette sensazioni sinestetiche. I recettori tattili presenti in bocca e sulla lingua cooperano con quelli del gusto e dell’olfatto per il riconoscimento degli alimenti. La scelta di questo nome determina infatti l’importanza che ha per noi la matericità e il coinvolgimento di tutti i sensi nell’atto di cibarsi. Per questa ragione proponiamo spesso con il nostro catering finger food, e, ora anche nel bistrot, piatti che si mangino con le mani, per coinvolgere anche questo senso. Mangiare con l’aiuto delle mani secondo noi è infatti il modo migliore per cogliere l’anima dei cibi. Per noi cuochi, poi, il tatto, insieme al gusto, è il senso più coinvolto che esista, tutto quello che cuciniamo infatti passa dalle nostre mani prima ancora di essere assaggiato.

 

 

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Qual è il vostro concetto di sostenibilità e come lo trasferite nel vostro percorso gastronomico e di vita quotidiana?
La sostenibilità è uno degli elementi cardine del nostro progetto. Tanti sono gli aspetti che determinano la sostenibilità nel nostro lavoro: a partire dalla scelta vegetariana applicata a prodotti locali che rispecchiano la nostra filosofia. Altatto negli anni ha compiuto diverse scelte in questa direzione. Partendo da un concetto di catering alternativo che si basasse sul one-bite, proprio allo scopo di eliminare tutti i supporti superflui usa e getta che caratterizzano questo universo. I menù stagionali sono infatti serviti su dei vassoi concepiti in cera per poter essere riutilizzati e sciolti dopo ogni evento, permettendoci di interpretare il “su misuraevitando sprechi. Grazie a questa visione innovativa, Altatto ha ricevuto anche un riconoscimento da parte di Legambiente per il progetto Plastic Free. Naturalmente, anche il bistrot doveva incarnare la nostra filosofia ed essere coerente con la nostra visione, da qui la scelta di proporre un menù degustazione basato sulla micro stagionalità. Le lunghe carte dei ristoranti tradizionali infatti ci sembravano tutt’altro che sostenibili. La direzione che la ristorazione potrà prendere per divenire sostenibile e priva di sprechi sarà proprio quella di ridurre la scelta dei piatti per evitare avanzi. I produttori, con i quali instauriamo sempre un rapporto, sono coloro che dettano le scelte dei prodotti all’interno del nostro menù. La scelta del menù dipende da quello che la terra ci offre e dalla massima qualità del prodotto, rivoluzionando il rapporto cliente/fornitore. Un altro aspetto legato alla sostenibilità è stato quello di creare un ciclo: ecco che nel periodo dei carciofi, ad esempio, le foglie e i gambi, che normalmente vengono buttati, serviranno a fare un fantastico cynar che serviremo al baretto. Questa è un po’ la logica che detta le nostre scelte e ci permette di ridurre al massimo gli sprechi, pur rispettando moltissimo il concetto di freschezza e qualità del prodotto.

 

 

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Quanto tempo dedicate alla ricerca dei produttori e delle materie prime, e quanto allo sviluppo delle ricette? Quali influenze avete nella vostra cucina?
La ricerca del prodotto è uno degli aspetti fondamentali di Altatto, è proprio dal prodotto e dalla stagionalità infatti che nascono i nostri menù, che cambiano mensilmente. L’entusiasmo di scoprire un nuovo prodotto e volerlo servire in tavola ai nostri clienti ci guida moltissimo nella costruzione delle nostre degustazioni. Questo è per noi un lavoro incessante, di idee ed ispirazioni, che va coltivato quotidianamente. Anche la parte creativa è molto importante. Nel momento in cui creiamo un nuovo piatto, infatti, le fonti di ispirazione sono molteplici. Le suggestioni iniziali possono derivare da varie e differenti esperienze: un viaggio recente, un ricordo, un profumo o un ingrediente con il quale entriamo in contatto per la prima volta. Ci piace, nel presentare il piatto, descriverlo sotto tre diversi punti di vista: ispirazione, tradizione, innovazione. Per ispirazione si intende proprio lo stimolo che ci arriva dall’esterno, che può essere un’esperienza stellata o un cibo assaggiato in una bancarella di qualche lontano paese. Per tradizione intendiamo invece, i gusti e le esperienze che conosciamo da quando siamo bambine. Mentre per innovazione intendiamo il tocco originale che diamo ad ogni piatto per renderlo nostro ed unico, grazie alla costante sperimentazione che caratterizza il nostro lavoro, e alle tecniche applicate.

 

 

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Avete iniziato con il catering e poi avete aperto il bistrot. Lo scorso anno, dopo i mesi di lockdown, avete deciso di lanciarvi in una formula alternativa: il baretto. Cosa avete imparato da questa esperienza?
Il baretto, nato in primavera, è stato pensato per limitare i danni della riduzione dei coperti, già poco numerosi, del nostro bistrot. Si è rivelato un luogo che ci ha regalato tante emozioni: è stato bello aprirci al nostro piccolo quartiere e conoscerne gli abitanti, che prima guardavano con curiosità il bistrot e ora si sedevano ai nostri tavolini trascorrendo una serata piacevole e assaggiando i nostri piattini della settimana, per poi divenire nuovi clienti. Un altro aspetto bellissimo è stato che i nostri clienti, che si avventurano a Greco, hanno trovato uno spazio esterno dove fare l’aperitivo prima di cena o trascorrere la serata dopo mangiato, affezionandosi e scoprendo un angolo di Milano insolito, in una via nascosta. Il baretto, allegro e informale, è anche per noi un luogo dove trascorrere una serata piacevole, o finito il servizio bere un bicchiere con i nostri amici.

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Quando è arrivato il secondo lockdown e Milano è piombata in zona rossa, invece di lanciarvi subito di nuovo sul delivery, avete deciso di fare un passo indietro. Di riflettere per “fare ciò che ci rende più serene, stare nella natura”. Siete andate a raccogliere le olive. Sembra che siate tornate con una nuova idea di delivery: la schiscetta dabbawala.
Quando ci hanno detto di chiudere nuovamente, il nostro pensiero è stato proprio quello di riconnetterci tutte insieme alla natura e coltivare un aspetto importante che caratterizza il nostro team, l’amicizia. Quando ci ritroviamo fuori dal lavoro per qualche giorno, di solito in montagna da Giulia, non è solo un momento di svago, ma anche una pausa di riflessione, è li che è nato Altatto catering, è li che abbiamo iniziato a pensare alla gastronomia. Volevamo distinguerci dal primo lockdown cercando di creare un prodotto più in linea con le nostre ideologie, rivoluzionando l’idea secondo la quale il delivery necessariamente produce spazzatura. Volevamo dare un segnale di cambiamento ed evoluzione. Con la crescita del delivery, necessario per noi ristoratori, l’impatto ambientale di consumare il pasto di un ristorante a casa è purtroppo cresciuto moltissimo. Sulla base di queste riflessioni è nata l’idea di creare un pasto con zero usa e getta, grazie alla schiscetta. Ci siamo affidate ai tre concetti base della nostra cucina. Tradizione: la schiscetta milanese che ci ricordiamo ancora da quando da piccole andavamo a scuola. Ispirazione: il dabbwala indiano, memoria dei nostri viaggi. Innovazione: adoperare per il delivery un oggetto a basso impatto ambientale. L’idea è quella di entrare questa volta nelle case con un concetto forte e allo stesso modo “rubando” meno tempo possibile.
Quello che proponiamo, infatti, è una schiscetta disponibile per la fascia del pranzo, in acciaio inox, che contiene un menù completo, che è possibile scaldare e mangiare direttamente nel suo contenitore, e lavare in lavastoviglie. Questo per evitare sprechi, non riempire le pattumiere, e in pochi minuti garantire un pasto completo senza distogliere chi lo riceve dal proprio lavoro. Resistente, duraturo e versatile, la schiscetta è un oggetto semplice e divertente al tempo stesso, ogni ripiano con una pietanza diversa. La schiscetta non è pensata come un oggetto da acquistare ma come un contenitore della nostra gastronomia; dalla seconda consegna in poi, restituendoci la schiscetta lavata se ne riceve un’altra al prezzo esclusivo del pasto, senza il costo del packaging. La nostra aspirazione infatti è quella di creare una rete di consumatori consapevoli e, magari un giorno insieme ad altri ristoratori, ampliare il movimento e consentire con questa formula di acquistare prodotti diversi da realtà differenti che condividano la nostra visione. Due diversi menù, uno vegetariano e uno vegano, verranno sempre proposti sul nostro sito. Consegniamo a Milano il mercoledì, giovedì, venerdì tra le 12 e le 14, ordinando il giorno prima entro le 18:00.

 

 

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Bar di quartiere e delivery con vuoto a rendere, entrambi hanno una forte impronta legata alla comunità locale. Come hanno risposto gli abitanti di Milano?
Non ci aspettavamo così tanto riscontro, il delivery con la nostra schiscetta fa sold out dalla prima settimana, e questo per noi ha significato tanto, il fatto che i nostri clienti continuino ad ordinare ha reso concreto il nostro sogno: il vuoto a rendere.

Una curiosità: cosa mangiate voi per colazione, pranzo e cena?
La nostra dieta è principalmente vegetariana, e se siamo a lavoro mangiamo tutte insieme i ritagli dei menù che proponiamo ai nostri clienti. Il che ci permette di variare moltissimo e avere un alimentazione super equilibrata!

Nuovi progetti? Se vogliamo guardare al futuro con ottimismo, come lo vedete per Altatto?
Ritornare presto alla normale riapertura!

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