Biodinamica. Adriano Zago: “la misura del cambiamento è anche nel fastidio che dà, altrimenti non c’è rivoluzione”

Rigenerazione e salute. Sono le parole chiave che è tempo di sovrascrivere a quelle attuali di impoverimento e degrado, imposte dall’agricoltura intensiva. Una sostituzione che scuote equilibri e merita attenzione.

Il concetto di agricoltura biodinamica, nonostante questa pratica agricola esista da cent’anni, è per molti versi ancora poco chiaro fuori dalla cerchia degli addetti ai lavori. Sfuggono i contorni delle sue dinamiche, come opera nel concreto per offrire cibi sani. Inoltre, non sappiamo quanto dare ascolto a quella parte di scienza, e di stampa, che periodicamente le si oppone – anche con veemenza – cercando di demolirne la credibilità, seminando diffidenza.

Per entrare nell’essenza della biodinamica e comprendere consapevolmente di cosa si tratta, abbiamo ascoltato una delle voci più interessanti e preparate sul tema in Italia. Adriano Zago è un agronomo ed enologo di profonda esperienza sul campo, consulente per molte aziende biodinamiche e produttore di vino nel suo podere Mastrilli in Toscana, formatore e divulgatore, che in un’ora e mezza di piacevole chiacchierata ci ha accompagnato per mano alla scoperta della ricchezza e della sensibile complessità di questo metodo agricolo, che rigenera, nutre e attiva la vitalità del suolo dialogando con la natura. E che mette in moto un circolo virtuoso il cui fine ultimo è arricchire la salute dell’ambiente e delle persone. Con cibi che esprimono il territorio, cresciuti in aziende agricole floride, anche economicamente.

Partiamo dalla base, cos’è l’agricoltura biodinamica?
La biodinamica è un metodo agricolo applicabile a tutte le colture e a tutti gli allevamenti. Fondamentale è definirne le priorità, la salute come prima cosa: del suolo, delle coltivazioni e la salute dell’alimento che si mangia. In biodinamica si considera vivo tutto il sistema con cui l’azienda agricola ha a che fare, quindi il terreno, le piante, gli animali e le persone. È una visione che ispira ma che richiede anche moltissima pratica. In sintesi, lo scopo della biodinamica è produrre alimenti sani e vitali.

Si sente spesso parlare di agricoltura rigenerativa. Quanto lo è quella biodinamica?
Nata nel 1924, la biodinamica è documentalmente la prima agricoltura al mondo ad essersi presa a cuore i temi della biodiversità, dell’ecologia e della salute, decenni prima che lo facessero i movimenti di agroecologia, comparsi negli anni Sessanta. In pratica fino ad allora c’era solo l’agricoltura biodinamica a parlare e a fare agroecologia. Per prima ha codificato, ha messo a fuoco le ombre dell’approccio industriale che stava prendendo piede e che già allora iniziava a danneggiare i suoli. Rudolf Steiner è stato il primo a lanciare l’allarme su come da questa nuova agricoltura industriale stessero emergendo diversi problemi, e consideriamo che allora non c’erano certo i problemi che abbiamo oggi. Quindi sì, la biodinamica è a tutti gli effetti agricoltura rigenerativa.

agricoltura biodinamica
Un ambiente radicale che funziona rende la pianta forte e produttiva © Inedita

L’ecosistema è parte integrante della biodinamica. Parlando di biodiversità, come se ne prende cura la biodinamica?
Prendiamo ad esempio la viticoltura. Da cosa ti accorgi che un vigneto è biodinamico? Da un suolo che funziona bene. La biodiversità è legata alla microbiologia del suolo, perché una microbiologia più ricca ha più sostanza organica. Nel vigneto si lavora con tante specie per far funzionare il suolo, per renderlo complesso, stabile, resiliente e te ne accorgi perché quel vigneto può avere all’interno degli elementi di biodiversità, come alcuni alberi, degli animali, ad esempio delle pecore o delle galline, potresti vedere delle siepi attorno a questo vigneto, potresti vedere la vicinanza e il dialogo tra una siepe e una foresta. Un dialogo che nel vigneto è molto funzionale, perché lì dentro ci sono tante cose utili: insetti benefici per la coltivazione, un microclima equilibrato, temperature e umidità controllate; potresti vedere che nella stessa azienda ci sono coltivazioni diverse rispetto al vigneto, come degli orti, che lo fanno funzionare meglio e lo rendono più forte. È risaputo che il vino racconti un territorio, dunque la coesistenza nel vigneto di animali, prodotti dell’orto, alberi, arricchisce il racconto che il vino fa di quel territorio. Diciamo che quello biodinamico è un organismo agricolo aziendale, un vigneto che si beve e si mangia.

Spiegaci meglio cosa si intende per organismo agricolo aziendale?
È la dicitura tecnica dell’azienda biodinamica, il linguaggio specifico con cui viene descritto e si può comprendere cos’è la biodinamica. Nel 1924 Steiner è il primo ad affermare che un’azienda funziona solo se è un organismo, perché al suo interno ha gli elementi e le soluzioni ai propri problemi. Si riferisce al primo anello di debolezza dell’agricoltura dell’epoca, che inizia ad avere un approccio industriale: la monocoltura.

Il sistema agricolo quando diventa semplice, si fragilizza. Un modo per rendere semplice e fragile un sistema agricolo è proprio quello di praticare la monocultura esasperata, perché lì dentro ci sono poche soluzioni ai problemi, quindi poche risorse, poche opzioni.

Mantenere complesso un vigneto e l’azienda agricola, invece, è sì complicato da gestire, ma sul lungo periodo – perché i conti agricoltura si fanno sempre sul lungo periodo e non sull’annata -, rende quell’azienda sostenibile sia dal punto di vista economico che ecologico.

Questo è ben visibile nei vigneti delle aziende che hanno scelto il biodinamico già diversi anni fa: si tratta di aziende che ora sono super reputate, famose, i cui vini sono oggettivamente buoni. In queste aziende, la coesistenza di colture diverse dalla vite consente di sviluppare una visione più complessa del vigneto. E a beneficiarne è la qualità del vino.

Qual è il rapporto tra biodinamica e scienza?
Direi essenziale, considerando che già allora le otto conferenze di Steiner si intitolavano “Impulsi scientifico spirituali per l’evoluzione dell’agricoltura”. Ci sono tantissimi studi che validano l’agricoltura biodinamica, tra cui uno studio importantissimo di qualche anno fa, dell’Inra, Institut national de la recherche agronomique, che è una sorta di Cnr francese, che ha preso in esame 120 studi di agricoltura convenzionale, biologica e biodinamica e ha validato che l’agricoltura biodinamica è quella che riesce a garantire una stabilità ecologica migliore nei suoli.

Si è diffusa una visione critica sulla biodinamica perché ci sono anche studi che invece puntano a dimostrare il contrario. Benissimo, la scienza non ha mai avuto come obiettivo quello di essere d’accordo con se stessa. La scienza è dialogo, è discussione, non ideologia. Lavori scientifici sulla biodinamica ce ne sono tantissimi, molti di questi dimostrano che funziona, altri no.

La difficoltà della scienza, che non riguarda solo la biodinamica, è dover misurare i sistemi complessi, smontando i vari pezzi per valutare se quei pezzi, tolti e rimessi, funzionano o meno. È molto difficile, per come è strutturata la scienza, dimostrare la validità di un sistema nel suo insieme.

Certo, è interessante vedere come le polemiche giornalistiche recenti non abbiano distolto dal loro lavoro le aziende, anche grandi, che fanno biodinamica e non abbiano demotivato chi ancora non la fa dall’iniziare a farla.

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Vitalità e salute del suolo sono prioritarie in biodinamica © iStock

Cosa risponderesti a chi taccia la biodinamica di anti scientificità e stregoneria, ad esempio per l’uso del cornoletame?
La risposta è il caloroso invito a venire a vedere di persona le bellissime aziende biodinamiche che funzionano, con bilanci floridi e vini che hanno ottenuto i cento punti di scala Parker, il massimo punteggio della scala di qualità ideata da Robert Parker. Ne abbiamo diverse da poter mostrare, così come esistono studi scientifici di valore in cui non viene usata la parola stregoneria. Invito le persone ad approfondire per andare oltre il pregiudizio. Non ci sono mai state come ora così tante aziende agricole biodinamiche certificate, non certificate, grandi, piccole, in giro per i continenti, nel campo del vino o di altri settori. Alla luce di questo sviluppo mi viene da pensare: se non funziona, com’è che ci sono un sacco di aziende che la stanno facendo con profitto?

Dal tuo osservatorio cosa vedi?
C’è sviluppo, cioè ci sono i numeri, le aziende, anche molto importanti, e belle. C’è una Demeter che sta sempre meglio a livello di certificazione e c’è riconoscimento per l’agricoltura biodinamica come strumento per la qualità. Non l’unico, ma sicuramente funziona molto bene. Tra quelli che ho provato, continua a convincermi.

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Adriano Zago © Inedita

Tornando al tuo lavoro, quali sono i vantaggi della biodinamica applicata alla vigna e al vino? Cosa ci racconta un vino biodinamico?
Ci racconta in modo ancora più convincente un territorio perché è un metodo che non ha all’interno dei sistemi di interferenza rispetto alla libera espressione della pianta. Se io diserbo, se concimo, se faccio tutto quello che è previsto in un sistema industriale, rendo meno unico il mio vigneto perché il mio suolo non è più capace di esprimersi rispetto alle sue potenzialità. La vigna altrettanto, il vino pure. Ma se  invece, in modo rigorosamente tecnico e professionale, con agronomi, enologi, produttori super professionisti creo un’azienda biodinamica in cui agronomia, enologia, business, organizzazione aziendale, risorse umane sono in equilibrio, vedrò che grazie alla biodinamica quel vino sarà autentico, unico e buono, perché non ci può essere una vera espressione del terroir se quel terreno non è libero di esprimersi, se in cantina standardizzo il mio vino, se in campagna faccio un uso smodato di concime che porta dentro la pianta quello che nel terreno non c’è.

La viticoltura biodinamica è applicabile a qualsiasi dimensione di azienda?
Certo, è adatta anche ad aziende molto grandi: ho condotto la conversione di Avignonesi, per esempio, 200 ettari di viticoltura solidamente biodinamica da ormai diversi anni. Un’esperienza che è stata portata anche in altre aziende nelle quali ho collaborato, come Ceretto per citarne una. Ulteriori aziende di grande prestigio sono Foradori, Ampeleia, Emidio Pepe, Arianna Occhipinti e tantissime altre. Se una grande realtà vuol lavorare bene in biodinamica, può farlo anche meglio di un’azienda piccola perché ha maggiori risorse economiche, un’economia di scala, un’organizzazione aziendale, una reattività diversa. Abbiamo ampiamente sfatato il mito dell’irrealizzabilità del biodinamico su grandi numeri. Da decenni in Australia esistono aziende biodinamiche da migliaia di ettari, dunque ormai è stato dimostrato con la pratica che non c’è limite alla superficie biodinamica in viticoltura.

Hai ideato il progetto Cambium, di cosa si tratta?
Cambium è un’azienda nata con lo scopo di supportare lo sviluppo delle attività biodinamiche attraverso tre strumenti diversi, legati alla consulenza, alla formazione e allo sviluppo aziendale vero e proprio. È una piattaforma di professionisti, siamo una quindicina, pronti a risolvere la complessità dei bisogni delle aziende attraverso un pool di competenze molto ampio. Lavoriamo in maniera molto sartoriale, quindi a seconda dei bisogni dell’azienda interveniamo ad hoc. Il nostro principio ispiratore è quello dell’ambiente radicale in natura. L’ambiente radicale è un ambiente fatto di tantissime connessioni e di scambio di informazioni: quando l’ambiente radicale funziona bene la pianta è forte, allo stesso modo noi cerchiamo di portare all’azienda quello di cui ha bisogno per diventare forte. Questo ci permette di lavorare con aziende molto diverse. Sono un agronomo, un enologo e un coach Icf (International coaching federation). Questa ultima competenza acquisita negli anni con delle formazioni post universitarie permette a me e ai colleghi coach che fanno parte di Cambium di sostenere le aziende nella loro organizzazione interna in termini di risorse umane, funzionamento dei team, di tutto quello che serve ora nelle aziende. Nelle aziende agricole biodinamiche, dopo aver lavorato bene su tutti gli ambiti produttivi, serve lavorare come in una grande azienda sulla retention dei capitali umani, per esempio. Prima non c’era bisogno, invece ora c’è bisogno di lavorare sul recruiting, sulla comunicazione interna dei gruppi perché oggi non è più sufficiente lavorare solo in funzione del creare un buon vino, dobbiamo creare salute anche nell’organizzazione aziendale.

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L’azienda agricola biodinamica è concepita come un organismo che custodisce al suo interno le risorse per affrontare eventuali problemi © Podere Mastrilli

Per far conoscere davvero la biodinamica al grande pubblico, non dovrebbe essere anche il settore a uscire dal guscio in cui è sempre un po’ stato?
Sono totalmente d’accordo. Parli con uno che lavora consapevolmente sulla comunicazione, anche se ha una formazione produttiva. Vengo da giorni in cui praticamente sto lavorando nelle aziende proprio su questo, quindi sull’importanza di farsi conoscere, perché le aziende se ne stanno accorgendo.

All’importanza del fare, dobbiamo affiancare gli argomenti del non fare, tra cui la comunicazione.

Veniamo da un settore in cui per troppi anni – perché funzionava in realtà -, bastava dare importanza al fare, alla qualità. Senza spiegarla. Se trent’anni fa ci fossimo anche preoccupati di raccontarci, ora ci troveremmo con un po’ di lavoro fatto. Quindi è proprio un sì, sono d’accordo. C’è tantissimo da fare perché penso che, bene, sia stata spiegata poche volte. Bisogna avere la maturità di sapersi valorizzare.

C’è innovazione nella biodinamica?
È la sua base. Mi spiego: c’è stato qualcuno, Steiner, che cento anni fa ha detto cose che guardavano al futuro e oggi sono ancora attualissime, partendo da una serie di intuizioni visionarie. Quando faccio consulenza strategica, mi ritrovo spesso a dire “meno male che l’azienda è sana, visitabile, ha dei punti di attrazione, è predisposta all’ospitalità, ha delle altre colture nel suo paniere”. Tutte “caselle” che sono rimaste aperte perché l’azienda ha applicato i principi di sviluppo dell’agricoltura a biodinamica. Un’azienda convenzionale che ha “x” ettari unicamente in viticoltura, che non si è saputa differenziare e non ha identità, è l’azienda perfetta per essere in crisi e non avere i sistemi per uscirne. Un’azienda con gli stessi ettari che invece ha sviluppato altre colture, magari secondarie, in armonia con l’ambiente e la biodiversità, offre ospitalità ed è visitabile, sa fronteggiare un’eventuale crisi.

Come vedi il futuro della biodinamica?
Vedo la possibilità di un grandissimo futuro perché ha dimostrato che funziona ed è capace di dare grandissime risposte con strumenti semplici e concreti. Vedo però un futuro complicato perché c’è una volontà di discredito proprio perché funziona.

Quando si vuole cambiare qualcosa, la misura del cambiamento è inevitabilmente anche nel fastidio che si dà, altrimenti non stiamo facendo la rivoluzione, almeno spettinarsi un po’ bisogna, no?

Quindi mi va bene che ci sia una risposta negativa molto forte, perché fa parte del gioco. Mi preoccupa però il fatto che dall’altra parte ci sia tanta aggressività e tanto discredito da parte di sistema molto molto forte a cui l’agricoltura biodinamica dà fastidio. Questo è innegabile. È un sistema super organizzato, ma oggi meno supportato dalle istituzioni rispetto al passato. E c’è un fatto: l’agricoltura biologica negli ultimi anni è emersa grazie a degli aiuti giusti, dovuti. L’agricoltura biodinamica, essendo qualcosa che non è riconosciuto a livello ufficiale, non ha mai avuto aiuti mirati. Si è sviluppata ed è sopravvissuta cento anni senza aver mai avuto una sovvenzione specifica. Certo, ha beneficiato di parte delle sovvenzioni al bio, perché un’azienda biodinamica deve essere prima di tutto bio, ma la forza dell’agricoltura biodinamica è stata arrivare fin qua con le sue gambe, con un’organizzazione privata, con una Demeter che è un ente di certificazione internazionale privato che si automantiene, con una credibilità costruita nel tempo coi fatti.

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