Settimana del pianeta Terra 2016, la mappa degli eventi

di Simona Denise Deiana e Emanuele Rigitano Dal 16 al 23 ottobre grazie alla Settimana del pianeta Terra in tutta Italia sarà possibile partecipare a tanti geoeventi (vedi mappa) dedicati al piacere della scienza e del turismo culturale. Tra storia ed enogastronomia, 313 geoeventi in 230 località italiane organizzati da università e scuole, enti di ricerca e locali,

di Simona Denise Deiana e Emanuele Rigitano

Dal 16 al 23 ottobre grazie alla Settimana del pianeta Terra in tutta Italia sarà possibile partecipare a tanti geoeventi (vedi mappa) dedicati al piacere della scienza e del turismo culturale. Tra storia ed enogastronomia, 313 geoeventi in 230 località italiane organizzati da università e scuole, enti di ricerca e locali, associazioni culturali e scientifiche, parchi e musei. La Settimana del pianeta Terra è un festival scientifico che, nato nel 2012, è diventato oggi il principale appuntamento delle geoscienze in Italia.

LifeGate ha partecipato e vi racconta in anteprima due dei numerosi eventi proposti dalla settimana. Due luoghi molto diversi tra loro, due esperienze sorprendenti e insieme formative per conoscere meglio il nostro territorio.

La miniera d’oro di Chamousira in Valle d’Aosta

Partiamo dal nord d’Italia per descrivervi un’esperienza unica che sarà possibile vivere durante la Settimana del pianeta Terra: a Brusson, in Val d’Ayas, sarà aperta al pubblico una miniera d’oro lunga oltre 1500 metri e attiva fino all’inizio del ‘900, i cui giacimenti pare fossero sfruttati già all’epoca dei Salassi, antica popolazione di origine celtica che fondò la città di Ivrea prima di essere sconfitta dai Romani.

Qui è stato estratto oro fino al 1983, poi le miniere sono state abbandonate per parecchi decenni e le parti impiantistiche e di trattamento del minerale sono andate purtroppo perse. A partire dall’estate del 2016, la miniera rappresenta una meta attrattiva non solo per il turismo culturale, ma anche per quello scientifico.

La galleria visitabile è un luogo che oggi appare fuori dal tempo e forse per questo davvero affascinante: ha un andamento irregolare e collegamenti con altri livelli della miniera (non percorribili dai turisti), è dotata inoltre di un suggestivo impianto di illuminazione pensato per ricreare l’effetto creato da una lampada in mano a una persona che cammina per riportare il visitatore agli inizi del ‘900. Vivere, anche solo per qualche minuto, la vita di un minatore, ci fa capire quanto faticoso ma insieme incredibile, fosse quest’attività, così come ci racconta chi lavorò nella miniera di Chamousira.

Per raggiungere la miniera si lascia l’automezzo presso il parcheggio situato a monte della frazione Delaz, dove si imbocca poi il sentiero che porta all’entrata. Si tratta di un percorso di pochi minuti e facilmente accessibile anche a i meno sportivi.

Per chi desiderasse vedere con i propri occhi l’oro che veniva estratto qui, un interessante campione aurifero del filone presente in miniera – denominato Speranza – è esposto nel  Museo delle Alpi al Forte di Bard, nello spazio dedicato al Parco minerario. L’esemplare pesa 5 chilogrammi ed è alto circa 50 centimetri.

Il Vulcano laziale dei Castelli romani alla Settimana della Terra 2016

Scoprire la natura con nuovi occhi” che non siano solo meramente turistici. Perché non c’è solo l’Etna quando si parla di vulcani in Italia ma anche interessanti luoghi non lontani magari da dove abitiamo. Natura e urbanizzazione si mescolano nel Parco regionale dei Castelli romani, un’area di 15mila ettari che ha i due terzi della superficie ricoperta di boschi, con 350mila abitanti in 15 comuni da Albano a Velletri. Il patrimonio geologico di eccellenza dei Colli Albani, come fa l’associazione Geonatura, è ideale per  puntare sulla valorizzazione del geoturismo. La zona è ideale per la coltivazione di ulivo e vite, l’esempio più noto è il vino Frascati che raccoglie denominazioni Doc e Docg.

lago albano laziale fiori
Panoramica del lago di Albano con il canadair che si rialza in volo. Foto di Emanuele Rigitano

Prime tappe: Lago di Albano e di Nemi

Prima tappa della visita è il lago di Albano o di Castelgandolfo. Ci è stato spiegato che il lago si stende su un vulcano complesso in stato quiescente. Ha vissuto tre fasi che vanno da 600mila a 20mila anni fa: la prima è quella che ha generato la catena dei Colli tuscolani e dell’Artemisio, la seconda l’apparato delle Faete e il Monte Cavo,
la terza fase (idromagmatica) ha originato i bacini occupati dagli attuali laghi vulcanici di Nemi ed Albano (e altri crateri).

Al lago di Nemi il tentativo è di farlo diventare geoparco con il supporto dell’Unesco. Nemi, ci confessa la guida, si può considerare uno dei borghi più belli dei Castelli romani. La fase più recente di formazione è detta idromagmatica, perché l’abbondante presenza di acqua incontrò il magma dando vita a esplosioni violente che originarono i crateri, tra cui i due che formano il lago di Nemi.

 

La terra vulcanica, si sa, è molto fertile. Questa terra è stata ben sfruttata fin dai romani, che con l’abbassamento del livello dell’acqua coltivarono la terra e costruirono un tempio dedicato a Diana, dea del bosco e della caccia. A proposito di boschi, qui non mancano: ce ne sono sia di castagno non originari che pini e aceri. Queste zone hanno anche donato a Roma materiali edilizi degni di nota, come il basolato nato dalle colate del vulcano e il peperino che fino agli anni ’60 veniva estratto a Marino, il paese della famosa canzone.

La forma del lago di Nemi è circolare mentre quella del lago di Albano è più allungata. Siamo capitati in una mattinata di esercitazioni di un Canadair, uno degli aerei che raccolgono l’acqua per spegnere gli incendi.

“È mejo er vino de li Castelli”

La prossima tappa spezza un po’ rispetto alle interessanti lezioni di geologia e descrivono uno dei frutti di questa terra, quello di Bacco. A Monteporzio Catone c’è il Museo diffuso del vino. È allestito in tre diversi ambienti, degli antichi tinelli dove si produceva il vino nei centri storici. Nel museo presenti attrezzature per fare il vino fino a circa il 1860, quando l’agricoltura non era meccanizzata.

Sapevate ad esempio che la vite europea in quanto tale non esiste quasi più? È stata ibridata con quella americana (le radici per la precisione) a causa di un parassita, la fillossera, che mangiava le radici perchè poco profonde. Nelle isole è possibile trovarle grazie alla presenza di terra sabbiosa che blocca lo sviluppo della fillossera: i vini di queste viti vengon definiti “piedefranco” in quanto libero dalla radice americana.

Del famoso vino, il Frascati, ne esistono tre tipi, tra cui alcuni premiati e alcune aziende biologiche. La visita è stata occasione anche per degustare il vino di un’azienda locale che rende famosa questa zona.

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