Shell incassa profitti da record mentre 14mila nigeriani chiedono giustizia

Shell incassa 40 miliardi mentre cresce la povertà energetica. E due comunità nigeriane denunciano il colosso per i danni ambientali nel delta del Niger.

  • Mentre cresce il numero di famiglie che non riesce a pagare le bollette, la Shell incassa 40 miliardi di profitti grazie alla crisi energetica. È il doppio di quanto incassato nel 2021.
  • Intanto, 14mila firmatari chiedono giustizia all’alta corte di Londra per i danni ambientali nel delta del Niger.

La compagnia petrolifera anglo-olandese Shell ha registrato profitti da record: 40 miliardi di dollari nel 2022, grazie principalmente al rialzo dei prezzi del gas provocati dalla guerra in Ucraina. Un traguardo che ha suscitato molta indignazione, perché se da una parte Shell ha raddoppiato il suo profitto rispetto al 2021, dall’altra ci sono milioni di famiglie che non riescono più a pagare le bollette.

La notizia del profitto record arriva proprio mentre 14mila nigeriani chiedono giustizia alla corte inglese per i danni ambientali e sociali provocati dalla Shell nel delta del Niger: la denuncia è arrivata all’alta corte di Londra e la Shell è accusata di aver inquinato le acque del delta e rovinato la vita a migliaia di famiglie autoctone.

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Petrolio nel delta del Niger © Milieudefensie/Flickr

Gli abitanti del delta del Niger chiedono risarcimenti a Shell

La denuncia è partita da una comunità agricola della zona di Ogale, sul delta del Niger, che si è unita alla comunità di Bille, in gran parte composta da pescatori. In totale sono 13.652 le denunce raccolte, migliaia di appelli individuali che chiedono al gigante petrolifero di ripulire l’area inquinata e risarcire i locali. Coltivare e pescare, infatti, non è più possibile in quest’area della Nigeria distrutta dalle continue fuoriuscite di petrolio: l’inquinamento ha ucciso i pesci, contaminato l’acqua potabile e rovinato i terreni agricoli. La maggior parte dell’acqua proveniente dai rubinetti o dai pozzi ha un forte odore di petrolio ed è visibilmente marrone.

La risposta di Shell non si è fatta attendere: per la compagnia multimiliardaria, le comunità locali non hanno alcun diritto ai risarcimenti e non possono costringerla a ripulire l’area. Per Shell, gli abitanti di quella zona non possono chiedere un risarcimento per degli sversamenti avvenuti cinque anni fa e ha puntualizzato che responsabili delle fuoriuscite sono le bande armate locali, e non la compagnia petrolifera.

L’inquinamento è causa di 11mila morti premature all’anno

Il caso contro Shell da parte degli abitanti del delta arriva proprio mentre la compagnia si sta preparando a lasciare il sito di estrazione e raffinazione, dopo più di 80 anni di sfruttamento e sostanziosi guadagni. L’avvocato che difende i locali ha detto al Guardian che “Shell sta cercando di lasciare l’area per sottrarsi alle responsabilità della devastazione ambientale”. In un momento in cui il mondo è concentrato sulla transizione energetica “la decisione di Shell pone degli interrogativi sull’eredità ambientale delle compagnie dei combustibili fossili”.

Le operazioni di Shell nello stato africano continuano a rappresentare una parte significativa dei profitti dell’azienda. In un rapporto del 2011, il Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (UNEP) ha rivelato l’impatto devastante dell’industria petrolifera nell’Ogoniland e ha raccomandato che venisse realizzata “la più grande operazione di pulizia terrestre della storia”, fissando a 1 miliardo di dollari il costo dell’attività, circa il 3 per cento dei profitti di Shell nel 2022. Ma come è stato dimostrato da diverse ong nei loro dossier, la gente dell’Ogoniland sta ancora aspettando.

Addirittura, un rapporto dell’università di San Gallo in Svizzera ha rilevato che i bambini nel delta del Niger hanno il doppio delle probabilità di morire nel loro primo mese di vita se le loro madri vivono vicino a una fuoriuscita di petrolio. Lo studio parla di 11mila morti premature all’anno.

Shell e le big oil devono contribuire al fondo “loss and damage”

Ma torniamo ai guadagni. Paul Nowak, segretario generale del Trade union center, associazione di categoria inglese, ha detto che i profitti di Shell sono “osceni” e “un insulto alle famiglie lavoratrici”. L’aumento dei profitti di Shell e dei suoi concorrenti durante il 2022 ha spinto il governo britannico a introdurre una tassa sui guadagni “inaspettati” (windfall tax) per gli operatori del mare del Nord, che è stata successivamente inasprita dal cancelliere, Jeremy Hunt.

Shell non ha sborsato un euro fino a ottobre, giustificandosi che entro la fine dell’anno avrebbe perso almeno 2 miliardi di introiti a causa della tassa. Nessuno si aspettava di assistere a un guadagno tanto alto da parte delle big oil: Shell ha infine comunicato di aver versato 1,9 miliardi in tasse. Per Elena Polisano, attivista di Greenpeace Uk, “i leader mondiali hanno appena istituito un nuovo fondo per pagare le perdite e i danni (loss and damage) causati dalla crisi climatica. Ora dovrebbero costringere i mega-inquinatori storici come Shell a contribuire al fondo”.

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Inquinamento da petrolio nel Delta del Niger © George Osodi/The Goldman Environmental Prize

La Shell investe nelle rinnovabili meno di quanto comunichi

La Shell è stata anche accusata di sopravvalutare quanto sta spendendo per le energie rinnovabili, e per questo rischia di essere indagata e potenzialmente multata dal regolatore finanziario degli Stati Uniti. L’azienda ha speso 12,3 miliardi di dollari in progetti legati ai combustibili fossili, rispetto ai 3,46 miliardi di dollari della sua divisione per le energie rinnovabili.

“Le persone hanno tutto il diritto di essere indignate per gli enormi profitti che Shell ha realizzato nel bel mezzo di una crisi energetica che ha spinto milioni di famiglie nella povertà” ha dichiarato Jonathan Noronha-Gant, attivista di Global Witness. “Shell è più ricca perché noi siamo più poveri”. Per tutta risposta, la società, che vale 165 miliardi di dollari, ha intrapreso una revisione della sua divisione dedicata alla fornitura di energia domestica, mettendo a rischio 2.000 posti di lavoro.

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