Nigeria, Eni e Shell accusate di tangenti per ottenere concessioni petrolifere
390464 01: Villagers mill about the dirt streets of the impoverished village of Akaraolu, Nigeria in March 2001 while the two-hundred-foot tall Oshie gas flare looms constantly in the background. The column of fire has burned constantly since it was lit in 1972. Natural gas emissions are an inevitable by-product of oil drilling, but they can be harnessed or be re-injected into the ground. Flaring is the cheapest alternative. (Photo by Chris Hondros/Getty Images)
La procura di Milano annuncia la chiusura delle indagini che vedono i colossi del petrolio Eni e Shell accusati di corruzione internazionale in Nigeria.
390464 01: Villagers mill about the dirt streets of the impoverished village of Akaraolu, Nigeria in March 2001 while the two-hundred-foot tall Oshie gas flare looms constantly in the background. The column of fire has burned constantly since it was lit in 1972. Natural gas emissions are an inevitable by-product of oil drilling, but they can be harnessed or be re-injected into the ground. Flaring is the cheapest alternative. (Photo by Chris Hondros/Getty Images)
Due colossi dell’energia potrebbero finire in tribunale: la Procura di Milano intende processare l’italiana Eni e l’olandese Shell per aver comprato concessioni per estrazioni petrolifere in Nigeria con una tangente da un miliardo di dollari offerta a diversi politici nigeriani, tra cui l’ex ministro del petrolio Daniel Etete. Un “avviso di conclusione delle indagini e deposito degli atti” di fine dicembre, anticipa l’effettiva richiesta di rinvio a giudizio che potrebbe arrivare entro 20 giorni a meno che le difese non ribaltino le convinzioni maturate dai pm Fabio De Pasquale e Sergio Spadaro titolari dell’inchiesta.
Tra gli imputati ci sono undici persone fisiche che devono rispondere al reato di “corruzione internazionale”. Tra di loro Claudio Descalzi, attuale presidente di Eni nominato dal governo di Matteo Renzi, e Paolo Scaroni ex presidente Eni ora vicepresidente della banca d’investimenti Rothschild.
Secondo la procura la somma di 1,09 miliardi di dollari che Eni avrebbe speso per ottenere la concessione decennale del campo di esplorazione petrolifera Opl 245 – immenso giacimento di petrolio in Nigeria stimato in 500 milioni di barili – sarebbe frutto di accordi illeciti tra la compagnia petrolifera italiana, il governo nigeriano in qualità di intermediario e la società nigeriana Malabu Oil & Gas, vero destinatario del pagamento, controllata dall’ex ministro nigeriano del petrolio Dan Etete.
L’intera vicenda giudiziaria ha origine da fatti avvenuti nel 2010 quando l’affarista italiano Gianluca Di Nardo viene contattato dal ministro Etete per piazzare la concessione su cui la sua società lucrava dal 1999. Di Nardo coinvolge immediatamente Luigi Bisignani che, attratto dalle prospettive economiche, si mette subito a lavorare i vertici di Eni, sui quali ha molta influenza. Proprio dalle intercettazioni emerse dall’inchiesta sulla cosiddetta P4, che vede al centro Bisignani, vengono ricostruiti gli accordi commerciali tra Di Nardo, Scaroni e Descalzi che allora dirigeva la parte Oil&Gas di Eni.
Questa prima fase della trattativa non va però a buon fine a causa dell’intervento da parte del governo nigeriano che accusa Etete di appropriazione indebita della concessione. Il fatto non rallenta la corsa al petrolio di Eni che infatti continua a trattare direttamente con il governo chiudendo l’affare alla stessa cifra accordata in precedenza: 1,09 miliardi di dollari che Eni versa nelle casse dello stato africano, a cui si aggiungono 115 milioni da parte della Shell. Una parte dei soldi viene poi trasferita dal governo alla Malabu, probabilmente per regolare i contenziosi aperti in precedenza.
La concessione incriminata riguarda una riserva petrolifera da 500 milioni di barili / Foto di PIUS UTOMI EKPEI/AFP/Getty Images
Le carte di Londra
La Malabu però non fa i conti con altri due presunti intermediari coinvolti nell’affare, il nigeriano Emeka Obi e il russo Ednan Agaev, che la citano in giudizio davanti alla High Court di Londra reclamando un mancato pagamento, forse la percentuale promessa per la mediazione, dove Obi ne esce vincitore.
Alla luce di tutto questo i pm milanesi chiedono alla Corte di giustizia di Londra di congelare in via preventiva una somma di 83 milioni di dollari depositati su conti riconducibili alla Malabu e altri 110 milioni sequestrati in Svizzera, sempre da conti appartenenti o riconducibili alla società nigeriana e da lì ricostruiscono l’intera vicenda.
Una veduta aerea del delta del Niger dove si concentrano i danni delle estrazioni di petrolio / Foto di PIUS UTOMI EKPEI/AFP/Getty Images
Eni prende le distanze
Ora Eni ha preso atto della chiusura dell’indagine ribadendo “la correttezza dell’operazione relativa all’acquisizione della licenza per lo sfruttamento del blocco OPL 245, conclusa, senza l’intervento di alcun intermediario, da Eni e Shell con il Governo nigeriano”. L’azienda italiana sottolinea di aver incaricato uno studio legale americano per verificare la regolarità di ogni passaggio e che al momento “non sono emerse prove di pagamenti da Eni a funzionari del Governo nigeriano”. Anche la Shell ha insistito sul fatto di non aver pagato direttamente Malabu e che tutte le transazioni in denaro sono passate su un conto di deposito a garanzia tenuto dal governo della Nigeria.
Aggiornamento del 31/01: la Commissione d’inchiesta sui crimini economici e finanziari della Nigeria ha ottenuto dall’Alta Corte Federale un’ordinanza che autorizza il governo nigeriano ad intimare alla società italiana e alla Shell di restituire la licenza per sfruttare il giacimento OPL 245.
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