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MIgliaia di nativi americani protestano contro un oleodotto nel Dakota del Nord che minaccia le terre sioux e il fiume Missouri.
I nativi americani si sono uniti contro la realizzazione del Dakota access pipeline, un oleodotto di 1.700 chilometri voluto dalla compagnia Energy Transfer Partners. Le proteste sono cominciate nella Standing rock Sioux tribe, una riserva d’indiani d’America vicino a Cannon Ball, nel Dakota del Nord, che per prima si è opposta all’opera: il primo oleodotto che dovrebbe trasportare bakken shale (gas naturale e petrolio estratto dalle bakken formation, formazioni rocciose ricche di combustibili fossili) passando per l’Iowa, fino ad arrivare alle raffinerie dell’Illinois. L’oleodotto dovrebbe costare 3,7 miliardi di dollari, attraversare 50 città in quattro stati e trasportare 570mila barili di petrolio equivalente al giorno. A suon di tamburi, la Standing ha riunito i membri di 27 tribù provenienti anche da stati lontani, quali Nevada e Washington.
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La protesta è iniziata ad aprile quando la compagnia ha annunciato di voler far passare l’oleodotto sotto il fiume Missouri. Una minaccia per il territorio della riserva indiana gestita da Standing Rock Sioux. Il Missouri è l’unico corso da cui i nativi possono attingere l’acqua. A aprile sono stati fermati almeno 20 manifestanti accusati di violazione di domicilio e disordini.
Gli arresti hanno spinto attivisti e personaggi del mondo dello spettacolo (tra cui l’attrice americana Susan Sarandon) a sostenere la battaglia dei nativi contro la compagnia petrolifera, la quale ha interrotto le attività dopo alcuni scontri tra manifestanti e lavoratori. La Standing rock Sioux tribe ha presentato una denuncia contro la Army corps of engineers per la mancata consultazione delle popolazioni locali prima di iniziare i lavori e per aver violato le leggi sulla protezione dei siti storici e naturali. I giudici si esprimeranno non prima della settimana del 14 settembre.
2.500 persone di 47 tribù differenti hanno protestato negli ultimi giorni. I nativi si sono riuniti tenendo rituali, eseguendo canti e pregando. I sioux hanno richiamato l’attenzione ricordando la tormentata relazione tra nativi e colonizzatori. Secondo Carolyn Harry, rappresentante della riserva Pyramid lake Paiute tribe vicina a Reno, “il colonialismo americano esiste ancora oggi, solo in forma diversa. 500 anni fa si usavano le baionette e fucili, oggi il fracking”.
Secondo Patrick Burtt della colonia Dresslerville, il conflitto in nord Dakota è rappresentativo dei problemi che tutti i nativi vivono nell’intero continente. “Molti indigeni stanno combattendo la stessa battaglia. Standing Rock Sioux è riuscito a far convergere diverse proteste sotto un’unica voce”.
Non sono solo i nativi a lamentarsi dei danni causati dai lavori, ma anche gli agricoltori della zona. Francis Goebel, ad esempio, possiede 66 ettari nella contea di Sioux, in Iowa. I suoi campi di soia sono stati danneggiati durante i carotaggi, i quali hanno fatto fuoriuscire il liquido nero che proveniente da sotto si è mischiato con il terriccio soprastante. “Se la natura ha deciso di tenerli separati ci sarà una ragione” ha denunciato Goebel, unendosi alla protesta.
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