Si chiamava Saly, aveva cinque anni. Nello scatto vincitore del World press photo 2024, il concorso di fotogiornalismo più importante al mondo, non si vede un centimetro del suo corpo senza vita. E non si vede nemmeno il volto della zia, Ines Abu Maamar, che lo stringe forte a sé. Mohammad Salem, fotografo dell’agenzia Reuters,
Solitudine
Spesso chi soffre di solitudine non se ne rende conto, ma può essere la causa di molte patologie, comun denominatore di tutte le malattie mentali.
Come per un esplosivo effetto serra, al chiuso della propria mente,
o della propria famiglia, i problemi sembrano ingigantirsi,
assumere drammaticità e perdere i loro contorni reali.
La solitudine, quella subita più o meno consapevolmente,
è terreno di coltura di molte patologie, comun denominatore
di tutte le malattie mentali, causa ed effetto di qualsiasi
dipendenza. Da sempre la funzione della comunità è di
contrastare, con la condivisione degli eventi principali della
vita, gli effetti della solitudine.
Spesso l’isolamento non è percepito da chi ne soffre:
immersi nella folla della città, a contatto con colleghi e
vicini, sembra l’ultimo dei problemi.
Eppure le relazioni si svolgono fra maschere omologate, secondo
copioni difensivi, non fra persone reali. Ci si costruisce una
facciata socialmente desiderabile, simile ai sorridenti modelli
offerti dalla televisione, e se l’operazione ha successo, gli altri
ce la restituiscono come specchi; ma quest’immagine, che si
è voluta dare, ci è poi estranea. Il nucleo vero del
se’, protetto da un bozzolo che lo difende, ma lo isola, non viene
mai riconosciuto.
La paura del giudizio altrui blocca la spontaneità con cui
la fragilità vorrebbe emergere; le persone più
vulnerabili si vergognano di mostrare la propria umanità,
preferiscono nascondersi e recitare una parte standard.
Alla fine non si riesce più a condividere i propri stati
d’animo con nessuno, nemmeno con se’ stessi. E il risultato
è una profonda e inspiegata sofferenza, o azioni estranee a
se’ stessi. Si sa che il simile cura il suo simile, come in
omeopatia: il contatto reale con chi ci assomiglia anche solo per
alcuni aspetti profondi è terapeutico. Le terapie di gruppo
e i gruppi di autoaiuto funzionano, al di là delle tecniche,
proprio per questo effetto aspecifico dell’essere con dei simili:
si possono aprire porte e finestre, lasciar entrare ed uscire la
vita e le emozioni, sdrammatizzare e perdonarsi.
Olga Chiaia
Psicologa Psicoterapeuta
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