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Jeroen Swolfs ha ideato il progetto fotografico Streets of the World con l’obiettivo di mostrare i lati positivi della vita quotidiana in tutto il mondo.
In una società in cui l’alterità è costantemente alimentata (da certi politici e da certa cattiva stampa), caratterizzata da una crescente sfiducia verso l’altro, in cui lo straniero è sempre più spesso usato come capro espiatorio, il giornalista freelance Jeroen Swolfs prova ad offrirci un’altra prospettiva attraverso il libro fotografico Streets of the World. “Volevo cercare di mostrare un aspetto più positivo della vita quotidiana in tutto il mondo – ha spiegato – con particolare attenzione a ciò che ci unisce, alle cose buone di cui siamo capaci, alle cose che condividiamo come esseri umani”.
L’idea centrale di Streets of the World è proprio questa, mostrare in che modo io, tu, un contadino di Kabul, una donna in Myanmar e un impiegato olandese siamo uguali, non come siamo diversi. Dal 2006 Jeroen Swolfs ha viaggiato in lungo e in largo, visitando 195 paesi, per documentare gli aspetti politici e sociali delle nazioni visitate. Viaggiando si è accorto di come certi posti, nonostante fossero giudicati negativamente dai media, fossero in realtà intrisi di umanità e diversi da come erano stati dipinti.
“Avendo lavorato con giornali e riviste a livello internazionale, ho cominciato a notare l’enfasi con cui trattano di solito le notizie più scioccanti e negative – ha dichiarato Swolfs. – Naturalmente vicende negative accadono in tutto il mondo, ma ho anche visto tante cose buone, che però non hanno mai avuto alcuna attenzione da parte dei media”.
Dal 2009 Swolfs ha iniziato a fotografare le strade che ha incontrato sul suo cammino. Il fotografo non desiderava ritrarre momenti straordinari, bensì scene di quotidianità, perfino banali ma in fondo rassicuranti e comuni in tutto il mondo e in tutte le società. “Pensavo che le strade sarebbero state il posto migliore per cercare queste immagini. È dove ci riuniamo, dove tutto ciò di cui siamo capaci è visibile, il male, ma anche il bene”.
In sette anni Swolfs ha dunque ritratto 195 paesi con altrettanti scatti, in 193 nazioni ha girovagato senza sapere quello avrebbe fotografato. “Non ho mai scelto la strada che avrei fotografato – ha rivelato – tanto ci sarei inciampato”. Solo a Baghdad e Mogadiscio, a causa dei potenziali pericoli, ha pre-selezionato le strade da immortalare.
Il fotografo cercava in particolare di documentare episodi di amicizia e amore, risate, persone che lavorano insieme e bambini, ma anche, nei luoghi più difficili, sentimenti come speranza, perseveranza e fratellanza.
Tra le fotografie ce n’è una scattata in un’antica strada di Baghdad, Al-Mutanabbi, che ospita librerie e bancarelle di libri all’aperto. Nel 2007 la strada è stata colpita da una potente auto-bomba che ha devastato la via e ucciso oltre venti persone. “Avevo letto di quell’episodio e ho deciso in precedenza di voler fotografare quella strada – ha raccontato Swolfs. – Sapevo che la via era stata ricostruita molto velocemente dopo l’attacco. La bomba ha avuto l’effetto opposto di quello prefissato, anziché dividere le persone le ha riunite portandole a ricostruire la vecchia strada”.
Tutte le fotografie sono state scattate da Swolfs nello stesso modo, la stessa angolazione, lo stesso punto di vista, la stessa profondità di campo, gli stessi ISO. Tutte le immagini hanno dunque, come ha spiegato il fotografo, “l’orizzonte alla stessa altezza”. Gli scatti mostrano centri urbani, luoghi turistici, mercati. “Le strade sono essenziali per la cultura – ha affermato Swolfs – sono gli spazi comuni che condividiamo, in cui possiamo incontrarci, parlare, non essere d’accordo, essere amichevoli, imparare, confrontarci, amare e vivere, sono la quintessenza delle città”.
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