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Tre donne combattono il coronavirus unendo l’arte e la scienza
Vi raccontiamo la storia di tre donne che hanno reso accessibili a tutti le nozioni scientifiche sul coronavirus attraverso l’arte.
La Giornata internazionale dei diritti della donna quest’anno cade nel bel mezzo della terza ondata di coronavirus, che sta travolgendo l’Italia e il mondo intero. Ci sono tanti modi di combattere il virus: sicuramente quello di medici e infermieri e, più in generale, di tutti gli operatori sanitari, ormai da un anno in prima fila negli ospedali; ma c’è anche quello più silenzioso e meno appariscente di alcuni artisti, che mettono al servizio della comunità le loro opere per aiutare in questa lotta. È quello che hanno fatto Avesta Rastan, Radhika Patnala e Nujuum Hashi. Tre donne che hanno unito il talento artistico con le loro competenze del campo della scienza, della salute e della tecnologia.
Avesta Rastan
Esperta di comunicazione scientifica visiva, Avesta Rastan, 25enne di origine iraniana e canadese ma stabilitasi in California, si è resa conto già da inizio pandemia che mancavano delle infografiche in grado di spiegare in modo chiaro e semplice come il virus attaccasse il corpo umano. “Ho trovato molte illustrazioni e modelli 3D del virus e delle sue proteine, ma non ho mai visto cosa ci ha fatto realmente”, ha spiegato.
Così Rastan, che è anche membro della Association of medical illustrators, ha pensato di usare le sue capacità e la sua formazione nell’illustrazione patologica (il disegno della malattia) per aiutare un pubblico più ampio e, dopo una serie di ricerche e approfondimenti, ha realizzato un’infografica che in pochissimo tempo è diventata virale sui social media di tutto il mondo. Anche il World economic forum l’ha condivisa, considerandola di estrema utilità per tutti. Pensate che in tantissimi l’hanno contattata per richiederla anche in altre lingue e si sono offerti di tradurla, con il risultato che oggi è disponibile in 18 lingue diverse. “Non lavoro in prima linea e non sono nella sanità, ma si può aiutare in qualsiasi modo e per me questo è stato usare la mia arte”.
Radhika Patnala
Radhika Patnala è una neuroscienziata ed è anche la fondatrice e direttrice della start up Sci-Illustrate, agenzia creativa che fornisce servizi di design e comunicazione visiva alle aziende biotecnologiche e sanitarie. Come Rastan, anche Patnala, nata in India e trapiantata a Monaco, in Germania, dopo gli studi a Singapore e in Australia, ha dato libero sfogo al suo talento artistico, realizzando una serie di illustrazioni in dieci parti, chiamata Covid dreams.
“Mi sono imbattuta in questa notizia molto interessante, in cui si diceva che le persone affette da Covid-19 facevano sogni strani. Ho pensato che fosse una cosa incredibile da esplorare e approfondire. E poi volevo mettermi alla prova raffigurando una cosa molto seria e triste in modo insolito e visivamente diverso”, racconta Patnala.
La serie racconta diversi aspetti della malattia, dalle illustrazioni che rappresentano in dettaglio com’è fatto il virus alla rappresentazione di come appare la bocca di qualcuno dietro la mascherina. È stato dagli anni del suo dottorato in immunologia ed epigenetica che Patnala ha ricominciato ad esplorare la sua vena artistica. D’altra parte, racconta, “gran parte del mio dottorato di ricerca prevedeva l’osservazione al microscopio del tessuto neurale e dell’interazione di cellule diverse e ogni volta mi stupivo di quanto fosse bella l’architettura dei tessuti dell’organo stesso”.
La pandemia, per Patnala, non ha comportato grossi cambiamenti nella sua vita lavorativa di tutti i giorni ma sicuramente “ha fatto luce sull’incredibile lavoro che le persone svolgono continuamente nei laboratori”.
Nujuum Hashi
Infine c’è Nujuum Hashi, 26 anni e una carriera da infermiera nel Somaliland poi abbandonata per dedicarsi all’arte, nonostante i dubbi della famiglia. Hashi, che ora vive a Mogadiscio, in Somalia, ha un percorso leggermente diverso rispetto a Rastan e Patnala: lei il coronavirus l’ha vissuto sulla propria pelle. Era appena tornata da un viaggio in Kenya, nell’aprile dello scorso anno, quando si è resa conto di aver contratto il virus. “Prima ho avuto mal di testa, poi mi è venuto anche mal di gola. Ho perso l’olfatto, avevo i brividi e sentivo freddo; avevo le vertigini e l’emicrania. Ho perso l’appetito, gli occhi sono diventati molto secchi e sensibili alla luce. Il mio cervello non era in grado di fare alcun lavoro creativo”, racconta Hashi.
Ciononostante si è rifiutata di lasciare che la malattia distruggesse le sue ambizioni e il percorso intrapreso negli ultimi anni. Così nel periodo di isolamento è rimasta comunque “connessa” con il mondo esterno: ha tenuto delle lezioni sull’arte in diretta Instagram, quando ancora era malata, ha insegnato alle persone come disegnare dei visi o delle mani. “Volevo mostrare al mondo che stavo combattendo il virus e che stavo facendo del mio meglio. Quando ho sentito che il mio cervello stava recuperando la sua vena creativa, ho realizzato un’illustrazione di me in un incontro di boxe contro il coronavirus: volevo mostrare che stavo combattendo. Ero arrabbiata con questa malattia e quest’immagine voleva essere una celebrazione”.
Oltre alle illustrazioni incentrate sulle sue esperienze, Hashi ha disegnato e dipinto scene per incoraggiare gli altri a stare attenti ed essere più consapevoli della comunità che li circonda. Troviamo un’immagine del virus che fa un tour mondiale e un tributo ai medici e alle infermiere in prima linea che cercano di salvare vite umane. Ma anche tante illustrazioni che hanno l’obiettivo non solo di combattere il virus, ma soprattutto la disinformazione che si porta dietro.
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