
Il sistema di valutazione delle minacce alla fauna dell’Australia, secondo i conservazionisti, è inadeguato a prevenire l’estinzione delle specie in pericolo.
Migliorare la protezione delle specie ombrello australiane, secondo un nuovo studio, consentirebbe di proteggere il 46% delle specie in più.
L’inarrestabile emorragia di specie animali e vegetali cui stiamo assistendo, ritenuta da molti esperti la sesta estinzione di massa della storia del pianeta, è una delle sfide più urgenti che l’umanità deve affrontare. Per cercare di invertire questa drammatica tendenza, l’attuale tasso di estinzione sarebbe fino a mille volte superiore a quello naturale, la maggior parte delle nazioni ha ratificato la Convenzione sulla diversità biologica (Cbd) e intrapreso numerose iniziative.
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A livello globale, tuttavia, non vengono stanziati fondi sufficienti per le attività di conservazione. È pertanto necessario ripensare le strategie di tutela per ottimizzare le risorse a disposizione. Ad esempio selezionare alcune specie prioritarie, dette specie ombrello, potrebbe aumentare notevolmente l’efficienza degli sforzi per la conservazione, ottenendo risultati migliori senza ulteriori investimenti.
È quanto emerso dallo studio Use of surrogate species to cost‐effectively prioritize conservation actions, condotto da un gruppo di ricercatori dell’università del Queensland. La ricerca, pubblicata sulla rivista Conservation biology, ha valutato i vantaggi legati a una migliore tutela delle cosiddette specie ombrello, ovvero quelle specie la cui conservazione comporta, indirettamente, la conservazione di molte altre specie presenti nello stesso ecosistema. Gli scienziati hanno sviluppato un nuovo metodo per individuare tali specie, che consideri, oltre l’areale di diffusione, anche le minacce che devono affrontare, le azioni necessarie per proteggerle e i costi di queste operazioni.
Il metodo è stato applicato dai ricercatori al contesto australiano, per indirizzare le politiche di conservazione nazionali. Il governo australiano, attualmente, ha identificato 73 specie ombrello la cui tutela è ritenuta prioritaria. Gli studiosi dell’università del Queensland hanno creato un nuovo elenco di specie ombrello che, in base alle previsioni, consentirebbe di proteggere un numero più elevato di specie.
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“I nostri risultati mostrano che della tutela prioritaria riservata alle specie ombrello beneficia solo il 6 per cento di tutte le specie terrestri minacciate d’Australia – ha affermato Michelle Ward, principale autrice dello studio -. Questa percentuale potrebbe salire al 46 per cento, mantenendo lo stesso budget, se si scegliessero specie ombrello più adatte. Ciò si traduce in un aumento di sette volte dell’efficienza di gestione”.
Come si spiega questa netta disparità tra l’attuale risultato e quello prefigurato dallo studio? “Uno dei motivi principali è che molte specie ombrello sono state scelte in base al fascino che esercitano sull’opinione pubblica, piuttosto che alla loro efficienza nel proteggere altre specie”, ha spiegato Ward.
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Per realizzare il nuovo elenco i ricercatori hanno analizzato la distribuzione e le minacce cui sono sottoposte le circa 1.800 specie animali terrestri a rischio in Australia. Hanno quindi esaminato i costi delle azioni necessarie per affrontare tali minacce. La sovrapposizione delle specie, sia spaziale che per quanto riguarda i fattori di rischio, ha permesso di realizzare la nuova lista delle specie ombrello.
Il koala, l’astore rosso e il trifoglio viola, secondo lo studio, sarebbero specie ombrello più efficienti, ma nessuna di queste figura al momento nell’elenco delle specie prioritarie stilato dal governo federale.
L’approccio teorizzato dai ricercatori australiani può chiaramente essere utilizzato anche per altri paesi per ottimizzare le proprie attività di conservazione della biodiversità. “Riteniamo che le nazioni di tutto il mondo possano migliorare sensibilmente la selezione di specie ombrello prioritarie per azioni di conservazione, utilizzando questo approccio di priorizzazione trasparente, quantitativo e oggettivo”, hanno concluso i ricercatori.
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Questo metodo, tuttavia, da solo non può bastare per contrastare l’angosciante perdita di fauna selvatica in atto, ma, ha precisato Michelle Ward, “deve essere sostenuto da forti leggi nazionali volte a proteggere la natura da ulteriori distruzioni”.
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