Quando l’arte trova “casa” nel paesaggio, possono nascere luoghi di racconto che vanno al di là delle opere stesse. Il risultato è spesso sorprendente.
Chi era Ulay, l’artista che con la compagna Marina Abramovic ha fatto la storia della performance art
A 76 anni è morto Ulay, il performer tedesco protagonista di uno dei connubi artistici e sentimentali più travagliati del mondo dell’arte.
Non siamo abituati a parlare di performance art. Quanti di voi ne hanno vista almeno una? Pochi. Ma in molti hanno di certo sentito nominare Ulay e Marina Abramović. La loro arte era – è – proprio quella della performance art. Un modo di comunicare che utilizza il proprio corpo per trasmettere messaggi di solito davanti a un pubblico. La morte il 2 marzo 2020 di Ulay, pseudonimo per Frank Uwe Laysiepen, è la scomparsa di uno dei più grandi performer che questa giovane arte abbia mai avuto. Una vita che a tratti è parsa essa stessa una forma d’arte, vissuta come una performance e divisa in parte con Marina Abramović che si autodefinisce “nonna della performance art”.
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Ulay&Marina: l’amore per la stessa forma artistica
A 76 anni, dopo aver lottato a lungo contro il cancro, è morto a Lubiana, dove viveva da tempo, Frank Uwe Laysiepen. Nato il 30 novembre (come Marina) del 1943 in Germania, Ulay cominciò la sua carriera artistica negli anni Settanta, facendosi notare da subito per il suo utilizzo non convenzionale della fotografia, abbinata alla performance. È nel 1976 però, quando incontra Marina Abramović in una galleria di Amsterdam, che inizia a dedicarsi totalmente alla performance art: i due si innamorano e danno il via a un sodalizio artistico e personale che li vedrà insieme per 12 anni. Saranno gli anni migliori della loro vita lavorativa e sentimentale, ma anche i peggiori. Il duo indaga profondamente la relazione uomo donna attraverso la performance e sperimenta così forme espressive totalmente innovative, dirompenti e talvolta consideate estreme e oscene. La fama cresce ma il rapporto si deteriora man mano.
La loro serie diventata celebre è intitolata Relation works: si tratta di un progetto che va dal 1976 al 1988 (come la loro relazione) e comprende numerose azioni, alcune entrate nella storia per la loro forza comunicativa. La coppia è sperimentale in tutto ciò che fa: nei primi anni vissuti insieme per esempio viaggia a bordo di un furgone per tutta l’Europa condividendo ogni spazio, il lavoro, il loro amore. Ma il progetto estremo è forse The lovers: The great wall walk, la performance che nel 1988 sancisce la separazione (lavorativa e amorosa) tra i due artisti che decidono di percorrere l’intera muraglia cinese partendo dagli estremi opposti, per incontrarsi e dirsi addio nel centro esatto. Il “viaggio” dura novanta giorni, ed è un’azione epocale.
La performance scandalosa a Bologna
Tra i momenti di celebrità vissuti dal duo artistico certamente c’è quello relativo alla performance Imponderabilia proposta in Italia alla Galleria d’arte moderna di Bologna nel giugno 1977. Ecco cosa accadde: per accedere al museo, circa 350 persone dovevano passare tra i corpi nudi dei due artisti posti l’uno di fronte all’altro, a pochi centimetri di distanza; lo spazio strettissimo (definito “porta vivente” da Marina) obbligava quindi le persone a entrare di traverso e a scegliere se rivolgersi verso Marina o verso Ulay. Ulay spiegò così il senso dell’azione: “È questo il gioco di Imponderabilia: in un secondo devi prendere una decisione, ancora prima di poter comprendere perché.” Dopo circa un’ora dall’inizio della performance, la polizia fece irruzione e interruppe l’evento ritenuto osceno per la nudità dei corpi.
L’incontro dopo anni al Moma
Dopo anni di duri scontri per questioni economiche legate ai diritti dei loro progetti, Ulay e Marina nel 2010 si sono ritrovati davanti al pubblico alla personale della Abramović “The artist is present” al Moma di New York: Ulay è comparso a sorpresa tra il pubblico ed è stato invitato a sedersi davanti all’artista per guardarla negli occhi. Quando lei lo ha visto, è scoppiata in lacrime. Immagini che hanno fatto il giro del mondo e hanno forse chiuso il cerchio del loro legame personale e artistico.
La malattia raccontata in un documentario
Tutto era arte e performance per Ulay, anche la malattia che lo colpì per la prima volta nel 2011: nel documentario “Project cancer” realizzato dal regista Damjan Kozole si raccontano non solo dodici mesi di chemioterapia (dal novembre 2011 al novembre 2012), ma anche l’avventura creativa di uno degli artisti più significativi della performance art, della body art e della Polaroid art.
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