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Perché usare dei pretesti per sminuire Greta Thunberg e la protesta dei giovani, degli studenti che lottano contro i cambiamenti climatici? La risposta non c’è, ma le distrazioni di massa, in questo caso, non funzionano.
La parola élite dev’essere balzata al vertice delle ricerche e delle tendenze di motori di ricerca e social network, altrimenti non si spiegano i numerosi commenti seguiti allo sciopero mondiale per il futuro che difendono le élite per “dimostrare” che Greta Thunberg, 16 anni, abbia mirato al bersaglio sbagliato. E che anzi, Thunberg stessa non sia coerente perché mangia la banana a colazione, che a chilometro zero non è. Commenti che affermano come quanto fatto finora per il clima, pressoché nulla, sia stato fatto “grazie” ai governi, alle minoranze illuminate. Che se fosse stato per la “popolazione mondiale” a quest’ora eravamo già fritti, altro che bolliti. Tutti a guardare il dito, al posto della luna.
Eppure, se il movimento Fridays for future è nato, cresciuto ed esploso lo scorso 15 marzo, è proprio perché i governi e le istituzioni, ai quali i giovani continuano a dare fiducia riconoscendo la loro autorevolezza e il loro potere, non hanno fatto abbastanza, per non dire nulla, contro il riscaldamento globale. Ed è a loro che milioni di studenti chiedono aiuto perché sanno che non possono fare tutto da soli. Del resto, contro il riscaldamento globale non basta cambiare stile di vita, non servono promesse o divieti che entreranno in vigore tra qualche anno: noi “abbiamo bisogno di una profonda trasformazione di interi settori della società, in particolare del settore energetico”, ha affermato Youba Sakona, vicepresidente del Gruppo intergovernativo sui cambiamenti climatici (Intergovernmental panel on climate change, Ipcc). Sono i cittadini che possono decidere di spegnere tutte le centrali a carbone, oggi? Sono i comuni cittadini che possono imporre una tassa sui voli aerei per ridurre le emissioni di CO2? Sono gli studenti che possono chiedere un adeguamento del prezzo della carne che viene allevata in modo intensivo dall’altra parte del Pianeta? La risposta è no, a poter fare tutto questo sono le élite alle quali i giovani stanno chiedendo azione.
E non è vero che le persone non capiscono o non riconoscono il problema. Non è vero che per gli italiani il riscaldamento globale non è un tema fondamentale. Per noi italiani, la minaccia più grave a livello globale è rappresentata dai cambiamenti climatici. Lo pensa il 28 per cento degli intervistati che hanno risposto al sondaggio annuale commissionato dall’Ispi, l’istituto che si occupa di politica internazionale con sede a Milano. Una percentuale più che raddoppiata rispetto al 2017 (quando il clima era stato citato dal 13 per cento) e che ha scalzato il terrorismo islamico dal primo posto, indicato dal 16 per cento, in calo di 22 punti rispetto all’anno precedente.
Non stupiamoci, quindi, se allo sciopero mondiale per il futuro di venerdì 15 marzo, organizzato dalle ragazze e dai ragazzi che in questi pochi mesi hanno dato vita ai Fridays for future, l’Italia abbia contribuito più di ogni altro Paese al mondo. A cominciare da Milano, dove 100mila persone hanno sfilato da largo Cairoli a piazza Duomo. Circa un milione di studenti ha riempito le piazze di decine di città italiane – a fronte di un totale di 1,6 milioni in tutto il mondo, nessun continente escluso. Numeri che hanno trasformato lo sciopero del 15 marzo nella più grande azione per il clima della storia, secondo l’ong 350.org.
Di certo la figura di leader assunta da Greta Thunberg, la personalizzazione della lotta piuttosto che la sua parcellizzazione, ha influito positivamente sull’entusiasmo dimostrato dagli italiani. Se da un lato, infatti, siamo sempre stati una popolo incline a seguire personalità forti (anche nell’accezione negativa del termine), dall’altro la giovane ragazza svedese ha dimostrato che “nessuno è troppo piccolo per fare la differenza” e chiunque può contribuire alla lotta, può fare pressione sui “veri” leader, quelli che con le loro scelte possono cambiare il corso della storia in un tempo breve.
Già, il tempo. Quello che oggi manca. Gli scienziati che fanno parte dell’Ipcc, fondato nel 1988 dalle Nazioni Unite proprio per studiare il fenomeno, ci hanno dimostrato, scritto, detto, urlato che non c’è più tempo. Per limitare l’aumento della temperatura media globale entro 1,5 gradi rispetto all’epoca pre-industriale – ed evitare così la trasformazione del clima sulla Terra – bisogna dimezzare le emissioni globali di CO2 entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. E per farlo ci vogliono azioni rapide e drastiche. I giovani l’hanno capito perché vivranno le conseguenze dell’inazione sulla loro pelle e hanno indetto per il 24 maggio un secondo sciopero mondiale per il futuro.
Una banana a colazione non è coerente con lo sciopero per il clima che Greta Thunberg tiene davanti al parlamento di Stoccolma ogni venerdì? Mai dito fu così piccolo di fronte a questa superluna.
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