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Gli agenti atmosferici, l’estrema siccità e l’assenza di manutenzione stanno irrimediabilmente deteriorando la città di Ur, una delle più antiche e importanti eredità sumeriche, nell’odierno Iraq meridionale.
Al principio fu lo stupore. La Ziqqurat, la torre templare a gradoni, appare maestosa all’orizzonte. È una torrida giornata d’inizio estate e la luce accecante del sole di mezzogiorno circonda la terra arida e brulla. In sumero, questo tempio del dio Nannar, il dio Luna per i sumeri, era chiamato Etemenniguru, la “casa dalle fondamenta imponenti”. Oggi, attorno alla Ziqqurat, s’intravedono solo distese sabbiose avvolte da un venticello caldo e ardente. I canneti e i rivoli d’acqua sono stati gradualmente sostituiti da campi rinsecchiti color ocra. Tutto è asciutto e inaridito.
Siamo a Ur, una delle più antiche e importanti città sumeriche, nell’odierno Iraq meridionale a 17 chilometri da Nassiriya. Conosciuta oggi come Tell al-Muqayyar, “la collina bituminosa”, Ur è stata la capitale di un impero che alla fine del III millennio a.C. ha avuto cinque sovrani e un potere enorme su tutta la Mesopotamia.
Fondata in una posizione geografica molto vantaggiosa, a metà tra il Tigri e l’Eufrate, Ur era un porto di mare, attraversata da canali navigabili che la mettevano in contatto con altre città sumeriche, facilitando gli scambi e i commerci. A farci da guida in questa preziosa culla di storia ci sono attivisti della società civile irachena dell’Iraqi civil society solidarity initiative, ricercatori e archeologi iracheni e internazionali, uniti nella difesa del patrimonio culturale e ambientale minacciato dai cambiamenti climatici e dall’incuria.
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“Questa è una città dove sono state fatte scoperte straordinarie, sia dal punto di vista storico, sia da quello archeologico. Sono stati scoperti templi, mausolei, le tombe reali, e questo meraviglioso E-dublamakh”, spiega, indicando un arco, Abdullah Amir al-Amdani, archeologo anglo-iracheno specializzato in Archeologia mesopotamica. “Questa era la più antica corte di giustizia nota nella storia dell’uomo. Qui è nata la scrittura, la legge, il sistema Stato e la forma complessa di società che conosciamo”, racconta al-Amdani.
Oggi gli agenti atmosferici, l’estrema siccità e l’assenza di manutenzione stanno irrimediabilmente deteriorando la città di Ur, la Ziqqurat, così come gli archi, i più antichi al mondo. “Se non agiamo in fretta, l’antica città di Ur potrebbe sparire a causa dell’erosione del vento e delle condizioni ambientali sempre più proibitive”, spiega il direttore del sito archeologico Ali Khadim Ghanim. “Non solo Ur, ma anche Eridu e Uruk andrebbero protette dallo stato iracheno e dalla comunità internazionale”.
Nel 2016, grazie alle campagne degli attivisti iracheni, le città di Ur, Eridu e Uruk sono state inserite nella lista del Patrimonio mondiale dell’Unesco insieme alle paludi del sud dell’Iraq. Un traguardo fondamentale che riconosce la forte connessione tra l’ambiente dei fiumi e le città. “C’è un motivo storico molto preciso se Ur, Eridu, Uruk sono diventate la culla della civiltà”, spiega, davanti alla Ziqqurat, Franco D’Agostino, docente di Assiriologia all’università Sapienza di Roma. “Erano immerse in una realtà ambientale molto simile a quella delle paludi mesopotamiche. Se non ci fossero state le paludi e i fiumi, non avremmo avuto i sumeri e la civilizzazione che conosciamo. La cultura delle paludi e l’ambiente possono aiutarci moltissimo a capire la storia di questi tre siti”.
Sono anni che Franco D’Agostino lavora in Iraq. L’archeologo guida, insieme a Licia Romano, una missione italo-irachena che ha recentemente individuato presso Abu Tbeirah un porto risalente al III millennio a.C. Questa scoperta ha aperto nuovi scenari di ricerca sulla vita nelle città del sud della Mesopotamia, ma anche sulle ragioni del loro abbandono. La forte connessione con le paludi del delta, quindi con un ambiente estremamente sensibile ai cambiamenti climatici e al regime delle precipitazioni, potrebbe chiarire i motivi della scomparsa dell’insediamento di Abu Tbeirah.
Benché oggi Ur, Eridu e Uruk siano geograficamente lontane dalle paludi, le tre città erano culturalmente legate all’ecosistema circostante. Dello stesso avviso è Rasham Salim, un artista d’origini irachene e uno degli ultimi costruttori delle antiche barche a remi della tradizione mesopotamica, indispensabili ai sumeri per il trasporto e il commercio con le altre popolazioni. Lo incontriamo all’interno di una mudhif, una tipica casa per gli ospiti costruita con canne e corde, davanti a un piatto di masguf, la carpa affumicata. Ha da poco presentato i sui ambiziosi Safina projects, volti a far rivivere le barche e gli antichi mestieri dell’Iraq.
“Senza il Tigri e l’Eufrate, non avremmo avuto i canali e senza i canali non avremmo avuto le barche e la cultura che ne è derivata. Oggi, quando vai nelle paludi, trovi barche fatte con la fibra di vetro e di resina, materiali che non sono di questo ambiente”, spiega l’artista. Il progetto di Salim si concentra sulla protezione del patrimonio culturale mesopotamico, l’artigianato, il materiale e le tecniche, nonché il ricamo tradizionale. Salim crede, infatti, che la protezione dell’ambiente possa preservare la cultura irachena. “Credo ci sia una connessione tra l’artigianato e l’ambiente. Questo legame alimenta ciò che chiamiamo civiltà e cultura. Per la prima volta lo stiamo perdendo. Solo proteggendo l’ambiente, proteggeremo questa cultura millenaria mondiale”, conclude Salim.
Prima di ripartire per Baghdad attraversiamo le paludi mesopotamiche dove gli abitanti, i Ma’dan, vivono ancora in case galleggianti fatte di canne raccolte dall’acqua e sopravvivono pescando e allevando bufali. È difficile immaginare che questa florida riserva naturale possa un giorno trasformarsi in deserto. I cambiamenti climatici e l’assenza di politiche idriche interne rischiano però di cancellare per sempre questo straordinario ecosistema, i suoi abitanti e la sua cultura millenaria.
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