L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
Un missile balistico lanciato dalla città di Sunan, in Corea del Nord, ha percorso 2.700 chilometri sorvolando il Giappone. Dura reazione di Tokyo e Seul.
Due minuti prima delle sei di mattina ora locale (quando in Italia erano ancora le 23), dalla città di Sunan, non lontano dalla capitale Pyongyang, le autorità militari della Corea del Nord hanno premuto il pulsante di accensione di un missile balistico a lunga gittata. Si è trattato dell’ennesimo test ordinato dal regime di Kim Jong-un, che stavolta ha assunto un carattere particolarmente inquietante per la comunità internazionale e, soprattutto, per le nazioni vicine.
Il missile ha infatti percorso 2.700 chilometri in quattordici minuti prima di affondare nelle acque del Pacifico, 1.180 chilometri ad est di Capo Erimo, la punta meridionale dell’isola giapponese di Hokkaido. Non a caso, le prime reazioni sono arrivate proprio dal governo di Tokyo, che ha parlato di “minaccia senza precedenti” (benché sia la terza volta che un lancio sorvola l’arcipelago nipponico). Il test nordcoreano ha fatto scattare il sistema giapponese di monitoraggio militare J-Alert, che prevede la diffusione di un messaggio di allerta alla popolazione delle zone sorvolate. Anche la circolazione di tutti i treni è stata sospesa per circa venti minuti.
China calls for restraint after North Korea missile launch over Japan https://t.co/iJl4lcYwAX pic.twitter.com/U8wv40P2Ej
— Reuters Top News (@Reuters) 29 agosto 2017
Tokyo – assieme alla Corea del Sud e agli Stati Uniti – ha per questo domandato una riunione d’urgenza del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che dovrebbe essere effettuata in giornata. Seul, in particolare, ha fatto sapere attraverso il proprio presidente Moon Jae-in di voler chiedere una “potente dimostrazione di forza” in risposta al lancio del missile. E senza attendere le decisioni dell’Onu, ha ordinato a quattro caccia F-15K di effettuare una simulazione di bombardamento, sganciando otto bombe Mark-84 da una tonnellata ciascuna.
Nelle acque sudcoreane proseguono intanto le manovre militari congiunte di Seul e Washington – fortemente osteggiate da Kim Jong-un -, mentre i servizi segreti sudcoreani parlano di un possibile nuovo test nucleare da parte di Pyongyang. Il rischio concreto, dunque, è quello di un’escalation: occorrerà verificare in particolare quali saranno le scelte del presidente americano Donald Trump. Non è la prima volta, infatti, che i rapporti con gli Stati Uniti sono così tesi. Nell’estate del 1998, il lancio di un missile da parte del regime asiatico sorprese Washington, dal momento che testimoniò in modo inequivocabile i progressi nel settore operati dagli apparati militari nordcoreani.
L’allora presidente Bill Clinton decise di tentare la via diplomatica, dapprima inviando a Pyongyang il segretario alla Difesa William Perry, quindi ricevendo due anni dopo alla Casa Bianca Jo Myong-rok, all’epoca vice-presidente della Commissione di difesa nazionale, organo militare supremo nordcoreano. Le parti, alla fine, si impegnarono a “porre fine alle ostilità” e posero le basi per un accordo globale sugli armamenti. Politica che però non fu proseguita da George W. Bush negli anni successivi.
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