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Povertà, l’Italia studia “un reddito di inclusione” per chi non ce la fa
Al parlamento italiano sono allo studio ben tre diverse proposte di legge per il contrasto alla povertà. E una di queste prefigura anche una misura di cui si discute da tempo, ma che finora è sempre stata lontana dall’essere davvero ipotizzata in Italia: un “reddito di inclusione”, individuato come livello essenziale delle prestazioni da garantire
Al parlamento italiano sono allo studio ben tre diverse proposte di legge per il contrasto alla povertà. E una di queste prefigura anche una misura di cui si discute da tempo, ma che finora è sempre stata lontana dall’essere davvero ipotizzata in Italia: un “reddito di inclusione”, individuato come livello essenziale delle prestazioni da garantire uniformemente in tutto il territorio nazionale. Ma per razionalizzare il sistema assistenziale, i disegni di legge (che sono deleghe, ovvero tracciano solo dei principi generali ai quali sarà il governo a doversi attenere con delle norme) prevedono anche un riordino delle prestazioni sociali nel nostro paese, che passa per l’ulteriore sviluppo della agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, abbreviata con l’acronimo “Anpal”.
Disoccupati, stranieri, minori: 4,5 milioni di poveri
Il fatto che i disegni di legge presentati sul tema siano ben tre, rende l’idea di quanto la situazione sia seria e urgente: in effetti un milione e mezzo di famiglie residenti in Italia (circa il 6 per cento del totale) sono stimate in condizione di povertà assoluta: si tratta di 4 milioni e 598 mila individui, il 7,6 per cento dell’intera popolazione. A soffrire una condizione di povertà assoluta sono soprattutto nuclei famigliari con un capofamiglia disoccupato (quasi il 20 per cento delle famiglie, con picchi maggiori nel Mezzogiorno), famiglie straniere, famiglie con minori a carico. Ma le norme ipotizzate funzioneranno, in particolare dal momento che finora dal governo sono sempre state sollevate obiezioni riguardanti i costi sociali di un vero e proprio “reddito” fisso per i meno abbienti? E’ troppo presto per dirlo, ha spiegato il presidente dell’Istat Giorgio Alleva, visto che “le leggi delega non contengono elementi sufficienti a condurre valutazioni circa il possibile impatto delle politiche proposte”.
Basta welfare passivo, lavorare al reinserimento
Di certo però, aggiunge l’Istat, i tre testi “associano a misure di sostegno della povertà delle famiglie in condizioni economiche di bisogno, l’individuazione di un percorso di inclusione sociale e lavorativa che ne faciliti il reinserimento” e questo intervento “sembra particolarmente opportuno alla luce di quanto emerge dalle stime sull’incidenza della povertà nelle famiglie con a capo una persona non occupata”. L’istituto di statistica formula una critica molto chiara alle politiche di welfare finora attuate dall’Italia, la cui spesa pubblica in confronto con i paesi europei, “è sbilanciata verso misure passive di supporto al reddito, piuttosto che su servizi di orientamento, formazione e programmi di incentivo all’occupazione. Non possiamo che salutare con entusiasmo questa iniziativa”. Un dato su tutti è significativo, secondo Alleva, di quanto l’Italia abbia finora fatto poco per le famiglie: “basti pensare che circa i due terzi delle risorse destinate alla famiglia e all’infanzia sono rappresentante dal cosiddetto ‘bonus’ 80 di euro”. E sono pure soldi distribuiti male, perché solo un terzo del bonus finisce nelle case di famiglie povere, mentre il resto va a famiglie già benestanti.
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