L’amministrazione Usa ha sospeso le domande per l’immigrazione delle persone provenienti da 19 paesi. Nel frattempo vanno avanti le retate nelle città.
L’inaridimento della Siria, accentuato dall’attività umana, avrebbe contribuito a scatenare il conflitto che affligge il Paese e provocato milioni di profughi.
Milioni di sfollati, migliaia di morti, continui flussi di profughi che arrivano in Europa. Le conseguenze della guerra in Siria, scoppiata nel marzo 2011 sull’onda delle proteste della primavera araba, sono evidenti. Più sfaccettate potrebbero essere invece le cause che l’hanno scatenata.
Una delle cause principali è di natura politica, il regime di Bashar al-Assad ha negato troppo a lungo le libertà basilari ai siriani e la possibilità di avere libere elezioni, scatenando la rivolta antigovernativa sfociata poi in guerra civile.
Tra i motivi che avrebbero favorito lo scoppio del conflitto ce ne sarebbe anche uno banale e antico, come l’acqua. Tra il 2007 e il 2010 infatti il paese è stato colpito da una grave siccità, la peggiore registrata in Siria nell’ultimo secolo, che ha lasciato senza lavoro un milione di piccoli agricoltori e causato la migrazione della popolazione rurale verso le città. Uno studio pubblicato a marzo sui Proceedings of the National Academy of Sciences afferma che la siccità che ha afflitto la Siria ha acuito i disordini sociali aggravando la preesistente instabilità politica.
Secondo i ricercatori angloamericani la crisi idrica, provocata dalla diminuzione delle precipitazioni invernali e dall’aumento delle temperature, è stata probabilmente resa peggiore dai cambiamenti climatici provocati dall’uomo. “Non stiamo dicendo che la siccità abbia causato la guerra – ha spiegato Richard Seager, climatologo del Lamont-Doherty Earth Observatory della Columbia University, e coautore dello studio. – Quello che pensiamo è che, insieme a tutti gli altri fattori scatenanti, abbia aiutato a spingere gli eventi oltre la soglia di non ritorno”.
Oltre al cambiamento del clima la carenza d’acqua in Siria sarebbe imputabile alla gestione insostenibile delle falde, sfruttate eccessivamente fino all’esaurimento dei pozzi di irrigazione. Il caso della Siria conferma come gli effetti del degrado ambientale e del riscaldamento globale possano influire sensibilmente sulla stabilità politica di un paese con conseguenze di portata globale.
Come la famosa frase secondo cui il battito d’ali di una farfalla è in grado di provocare un uragano dall’altra parte del pianeta. Il mondo è un’entità unica e interconnessa, non è diviso in compartimenti stagni, confini e frontiere non sono che disegni sulle mappe, guerre che scoppiano in territori lontani possono avere effetti a catena anche su altre nazioni che pensano di esserne estranee.
Dal meeting internazionale Giustizia ambientale e cambiamenti climatici, svoltosi a Roma lo scorso 10 settembre, è emerso che i cambiamenti climatici avranno conseguenze negative sugli sforzi per ridurre la povertà, causando un aumento della malnutrizione e provocando fino a 250 milioni di rifugiati climatici nei prossimi anni. Il ministro dell’Ambiente italiano Gian Luca Galletti, aprendo il convegno, ha ricordato che ”ognuno deve prendersi le proprie responsabilità, la strada da intraprendere non è solo quella dei soldi ma è quella di un grande impegno morale ed etico”.
È banale dirlo, ma cercare di risolvere le cause delle migrazioni piuttosto che tentare di controllarle è la soluzione migliore. Le cause ambientali delle guerre non sono da sottovalutare, cibo e soprattutto acqua diventeranno sempre più preziosi, ripristinare il sistema naturale dei paesi (e di conseguenza le loro economie) aiuterebbe a ridurre la povertà e i conflitti.
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