I cambiamenti climatici continuano a pesare sugli ecosistemi montani. Durante la stagione invernale, soprattutto le stazioni di media montagna si trovano in grande difficoltà, ormai da molti anni ormai. Tanto che in alcune località, in particolare quelle appenniniche e delle valli alpine meno in quota e più assolate, ogni anno si lotta per riuscire a riaprire per una stagione ancora gli impianti di risalita, per via della mancanza di neve.
Neve, deficit complesso del 52 per cento in Italia al 13 dicembre
Il monitoraggio di Fondazione Cima indica che, dopo segnali incoraggianti alla fine di novembre, con condizioni termiche e di precipitazione favorevoli sulle principali catene montuose, le temperature più alte della prima parte del mese di dicembre hanno inciso negativamente sugli accumuli di neve. Tanto che, su scala nazionale, il deficit complessivo è pari al 52 per cento (secondo dati aggiornati al 13 dicembre).
Parallelamente, ci attendiamo un dicembre fortemente sopramedia per quanto concerne le temperature, e l’ondata di calore durante la prima decade del mese ci ha già fatto intuire cosa questi significhi: fusione intensa, specialmente alle quote medio-basse. pic.twitter.com/BUBQNjZ5sY
“Il limite principale di questa prima fase stagionale – si legge nel rapporto – è rappresentato dalla scarsità delle precipitazioni. Su molte aree del Paese, e in particolare sul Nord-Ovest e sugli Appennini centrali, novembre ha registrato quantitativi sensibilmente inferiori alla norma, con anomalie negative di precipitazione che hanno raggiunto anche il -60 per cento rispetto ai valori medi. In assenza di apporti significativi, il potenziale offerto dalle basse temperature non si è tradotto al momento in un accumulo duraturo e consistente”.
Un recupero parziale durante i giorni di Natale su parte delle Alpi
Come spiegato da 3B Meteo, tuttavia, la situazione è cambiata negli ultimi giorni grazie a una vasta perturbazione che ha portato notevoli quantitativi di neve soprattutto sulle Alpi occidentali. “Nella giornata di Natale si sono avuti accumuli fino a mezzo metro e oltre su alto Piemonte e Valle d’Aosta orientale oltre i 1.500 metri, 30/40 centimetri sulle valli torinesi (ma con accumuli anche superiori a quote più elevate), 20/30 centimetri sulle Alpi Liguri e Marittime, queste ultime interessate nei giorni precedenti da precipitazioni di intensità eccezionali, con lo spessore totale del manto nevoso che supera i 2 metri a Prato Nevoso”, spiega il portale specializzato.
Ciò nonostante, la dinamica di lungo periodo – esacerbata dal riscaldamento globale – resta critica. E per quanto riguarda la stagione invernale 2025-2026, Fondazione Cima sottolinea come il deficit sia “ben visibile osservando l’evoluzione dei principali bacini idrici alpini. Nel Po, l’incremento registrato a novembre è stato seguito da una fase di sostanziale stagnazione nelle prime due settimane di dicembre. Un rallentamento di questo tipo, all’inizio della stagione, rappresenta un elemento critico perché introduce un ritardo che, se non recuperato nei mesi successivi, può riflettersi sull’intero bilancio idrico invernale. Al 13 dicembre, il deficit nel bacino del Po era pari al 48 per cento”.
Dorsale appenninica in particolare difficoltà
Benché le precipitazioni della settimana di Natale abbiano certamente controbilanciato almeno in parte la situazione, per centinaia di stazioni sciistiche si pone da tempo la questione della riconversione. Occorrono alternative allo sci e alla neve, proposte diverse per mantenere vivo il turismo ed evitare lo spopolamento.
Ciò vale soprattutto lungo la dorsale appenninica. Fondazione Cima, per l’inizio di questa stagione invernale, sottolinea che “le quote più basse e le frequenti fluttuazioni di temperatura tipiche di questa zona del Paese rendono l’accumulo nivale particolarmente sensibile anche a brevi fasi miti”. In un’area come gli Appennini, infatti, “manca l’apporto glaciale, e sapere quanta neve è accumulata in montagna durante l’inverno è particolarmente critico”.
Proprio per monitorare meglio queste dinamiche, Fondazione Cima ha introdotto quest’anno un indicatore integrato sull’intero arco appenninico. Il dato che ne risulta è particolarmente preoccupante: il deficit complessivo è pari al 67 per cento: “Un dato che restituisce con chiarezza la fragilità dell’accumulo in queste aree già nelle prime fasi della stagione”.
Anche in Francia situazione critica per la neve. Vetta del Monte Bianco in calo
Ma perfino sulle cime più alte la situazione è inquietante. Un recente studio della Fondazione Montagna di Courmayeur ha spiegato che la vetta del Monte Bianco si sta abbassando, a causa della fusione della calotta di ghiaccio che la ricopre. Tanto che la quota della montagna più alta dell’arco alpino è scesa a 4.807 metri.
Non a caso, anche sui versanti francesi delle Alpi le condizioni della neve sono particolarmente complesse. Perfino in Alta Savoia e in Savoia circa il 20 per cento delle piste risulta chiuso, e a Val-Cenis gli sciatori subito prima di Natale potevano seguire un’unica striscia di neve per poter scendere a valle, larga pochi metri.
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