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Sulla base delle analisi condotto dall’Efsa, Coldiretti ha stilato una classifica dei dieci cibi contaminati importati che possono facilmente finire nei nostri piatti.
Nel dossier “La crisi nel piatto degli italiani nel 2014”, presentato al Teatro Palapartenope di Napoli, Coldiretti ha stilato un’interessante blacklist dei cibi contaminati che presentano residui di sostanze chimiche elaborando i dati del Rapporto 2014 sui residui dei fitosanitari in Europa realizzato dall’Efsa, Agenzia europea per la sicurezza alimentare.
Con il 61,5 per cento dei campioni risultati irregolari, il primato tra i prodotti alimentari meno sicuri in vendita in Italia se l’è aggiudicato il peperoncino che arriva dal Vietnam: nel 2013 ne abbiamo importati 273.800 chili per preparare sughi piccanti, insaporire l’olio o condire piatti, senza alcuna informazione per i consumatori. Nel peperoncino esaminato è stata rilevata la presenza in eccesso di difenoconazolo, ma anche di hexaconazolo e carbendazim che in Italia, sul prodotto, sono vietati.
“Un pericolo legato al fatto che, sotto la pressione della crisi, aumenta il commercio di surrogati, sottoprodotti e aromi artificiali oltre che di alimenti a basso costo ma a rischio elevato, come dimostra il fatto che le importazioni agroalimentari in Italia hanno raggiunto la cifra record di 39 miliardi di euro nel 2013 con un aumento del 20 per cento rispetto all’inizio della crisi nel 2007”, ha spiegato Coldiretti.
“A preoccupare”, continua Coldiretti, “è anche l’arrivo sul territorio nazionale nel 2013 di 1,6 milioni di chili di lenticchie dalla Turchia che, secondo l’Efsa, sono irregolari in un caso su quattro (24,3 per cento) per residui chimici in eccesso e delle arance dall’Uruguay che presentano il 19 per cento dei campioni al di sopra dei limiti di legge per la presenza di pesticidi come imazalil ma anche di fenthion, e ortofenilfenolo vietati in Italia”.
Il resto della classifica comprende le melagrane dalla Turchia (40,5 per cento di irregolarità), i frutti della passione dalla Colombia (25 per cento), l’ananas del Ghana (15,6 per cento), le foglie di tè dalla Cina (15,1 per cento), il riso indiano (12,9 per cento) che con un quantitativo record 38,5 milioni di chili nel 2013 è il prodotto a rischio più importato in Italia, i fagioli dal Kenya (10,8) e, all’ultimo posto, i cachi da Israele (10,7 per cento).
L’Italia, che secondo l’Efsa vanta livelli di sicurezza unici in Europa, con una quantità di prodotti agroalimentari con residui chimici sopra i limiti pari allo 0,2 per cento (nove volte meno della media europea e 32 volte meno i livelli medi extracomunitari), si trova a dover fare i conti con un pericolo che riguarda soprattutto i consumatori più colpiti dalla crisi, costretti a rivolgersi ad alimenti a basso costo, ricchi di ingredienti di scarsa qualità e facilmente contaminati.
“In questo contesto è importante la decisione annunciata dal Ministro della Salute, On. Beatrice Lorenzin, di accogliere la nostra richiesta di togliere il segreto e di rendere finalmente pubblici i flussi commerciali delle materie prime provenienti dall’estero per far conoscere anche ai consumatori i nomi delle aziende che usano ingredienti stranieri per poi magari parlare di Made in Italy nelle pubblicità”, ha sottolineato il presidente della Coldiretti Roberto Moncalvo.
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